Sono passati due anni da quando una donna ha varcato per la prima volta la soglia di Palazzo Chigi.
È tempo di chiedersi: quali tratti emergono nel suo stile di leadership? Che tipo di narrazione supporta l’azione di Meloni? E le altre donne hanno avuto benefici dalla rottura del “soffitto di cristallo”?
Lo stile
Giorgia Meloni sfoggia aplomb e sfrontatezza. Governa con lo stile del condottiero con scarsa propensione alla delega, al di là della stretta cerchia di famigliari. È “una donna sola al comando”, del resto il mito del capo è un retaggio della sua area politica. Meloni mostra una leadership muscolare, simile alla tipica leadership maschile, per avere così credibilità e successo. Come lei stessa afferma nella sua autobiografia: “il capo deve essere un capo, deve dimostrare che è il più forte, il più coraggioso”. Pur enfatizzando alcuni tratti della sua femminilità – la maternità, fra tutti – il tono della sua voce, spesso urlato e aggressivo, svela la fatica di assumere un profilo istituzionale, dopo decenni di opposizione.
Pare che, preoccupata di “fare la storia”, Giorgia Meloni si stia lasciando guidare dal rancore e dal desiderio di rivalsa provenienti dal suo passato personale e politico. Abbandonata dal padre all’età di tre anni, Meloni è l’outsider che arriva al vertice del Governo con una storia alle spalle di dolore e di abbandono. Il senso di rivalsa nasce anche dall’essersi formata politicamente assieme ai vinti. Da qui emerge un altro tratto distintivo della leadership di Meloni: il vittimismo. La convinzione che vi sia un “lavoro di demonizzazione che si fa intorno a noi” (dichiarato a Sallusti in La versione di Giorgia, p. 161), l’ossessione dei nemici sfocia nella sindrome dell’accerchiamento, in cui emerge uno stile lagnoso.
In questi due anni di Governo Meloni ha mostrato una scarsa propensione al dialogo e a qualunque forma di contraddittorio – i suoi video-monologhi sono oramai preferiti alle conferenze stampa –. Le critiche sono un inaccettabile sabotaggio della maggioranza. Il dissenso, linfa vitale delle democrazie in buona salute, è d’intralcio e vissuto come un tradimento al quale reagire con intolleranza e repressione. Qualunque problema o potenziale conflitto sociale ottiene risposte securitarie. In questo Giorgia Meloni pare smemorata, visto che, già Presidente del Consiglio, aveva esaltato la libertà di contestare, perché nella sua storia di giovane militante di un partito di opposizione organizzare e partecipare alle manifestazioni era stato per lei molto formativo.
La comunicazione
Lo stile della comunicazione politica – dalle televisioni ai social, che lo staff di Meloni maneggia abilmente – è volto a costruire il personaggio Giorgia Meloni, con grande teatralità e risvolti epici sugli eventi della sua vita, ma che è ben diverso dalla politica Giorgia Meloni; e la linea di confine tra la persona e il personaggio è labile, così la prima risulta inafferrabile e la costruzione del personaggio arbitraria. La tattica comunicativa di Meloni è quella tipica degli influencer: intervenire su qualunque avvenimento, per rispondere alla richiesta di rappresentanza valoriale e politica da parte della propria community. Così facendo la Presidente del Consiglio rischia di trattare ciò su cui interviene con approssimazione e superficialità, nonché di frammentare e polarizzare il dibattito (esito molto gradito alla logica dei social). La semplificazione della realtà, speculando sulle paure reali dei cittadini e offrendo risposte scomposte, urlate e banali, è un tratto distintivo del populismo.
La comunicazione di Meloni scivola spesso nella propaganda, con intenti manipolatori. Pensiamo alla colpevolizzazione delle vittime (ad es. le persone migranti morte nei naufragi) con l’intento di sfumare, quando non ribaltare, la realtà dei fatti.
La comunicazione di Meloni cela l’incoerenza delle sue scelte politiche, come se non avesse bisogno di far corrispondere le sue azioni di governo al suo pensiero (o alle promesse elettorali), perché il cittadino medio è ben contento di sentirsi rappresentato da questo stile incoerente, che legittima le proprie contraddittorietà. E l’incongruenza paga in termini di gradimento. Pur suscitando reazioni polarizzate di amore o di odio, Giorgia Meloni ha un indice di approvazione di 44 (Cfr Ipsos, 16 settembre 2024). Forse perché è l’immagine del riscatto femminile?
Giorgia e le altre donne
Quando Meloni ha chiesto di essere chiamata “il Presidente”, sbeffeggiando la grammatica italiana, ha fatto una scelta di linguaggio chiara, a svantaggio del femminile, ma coerente con la sua storia politica. Le donne di destra sono protette dal patriarcato perché spesso sono le prime a supportare i privilegi dello stesso. Giorgia Meloni è espressione del potere patriarcale, lo incarna senza sentire il bisogno di prenderne le distanze. E la sua azione di governo è volta a irrigidire proprio i ruoli stabiliti dalla società patriarcale: la divisione netta dei compiti tra uomo e donna, il ruolo materno esaltato per il bene della patria. E qui entra in gioco la questione del merito individuale, messo in risalto da Meloni, definendosi underdog: se è riuscita a emergere lo deve solo a sé stessa, al suo “valore” che le ha permesso di valicare le discriminazioni. Giorgia Meloni non crede nella solidarietà femminile, ne pare interessata a una leadership plurale, inclusiva, che rechi vantaggio alle donne di oggi e di domani. Quale capitolo nuovo apre la leadership di Giorgia Meloni, nella storia dell’universo femminile? Lei rivendica il diritto – sacrosanto – di portare sua figlia nei viaggi istituzionali, ma quante altre donne possono portare i figli al lavoro? Quali interventi strutturali ha messo in campo per agevolare la vita delle donne nel mondo del lavoro (dalla parità di retribuzione alla conciliazione lavoro e famiglia), e non solo?
La cultura politica di cui è espressione Giorgia Meloni ha una concezione inegualitaria e gerarchica degli esseri umani. Lei stessa ricorda che nelle sezioni di destra in cui si è formata politicamente vigeva il principio che “tutti gli uomini di valore sono fratelli”. Come si conciliano le politiche per le donne, in qualunque condizione si trovino, all’interno di questa visione gerarchica della società? Non si finirà per esaltare solo quelle donne che hanno la forza per affermare il proprio “valore”, come di fatto è stata la traiettoria individuale della underdog Meloni?
I leader possono tirare fuori il meglio o il peggio dai propri seguaci. Una leader donna può mettere la propria diversità a servizio delle altre diversità, perché ciò che è inclusivo allarga la realtà.
Con lei a Palazzo Chigi il soffitto di cristallo della politica ha avuto il suo punto di rottura, è stata una conquista delle donne, ma – dopo due anni di Governo – fatichiamo a vederla come una conquista per le donne.
(Foto: www.governo.it)
Grazie Chiara, un’ analisi lucida che fa riflettere e dà il nome giusto alle cose, aiuta a soffermarsi su tanti nodi critici soprattutto per le donne e ci interroga sul senso vero di fare politica.