Nella delibera del 19 maggio 2023 del Consiglio di Istituto del plesso scolastico Iqbal Masiq in materia di sospensione della didattica il riferimento al ʻĪd al-fitr era esplicito mentre le ragioni didattiche risultavano consequenziali e secondarie. Ma nessuno fece obiezione.

A quasi un anno di distanza sorge il caso Pioltello e la successiva delibera del marzo scorso capovolge il quadro: la delibera diviene tecnica e fondata esclusivamente su motivazioni inerenti l’organizzazione didattica. Che significa ciò? Che nella prima la decisione di adattare il calendario scolastico «alle specifiche esigenze ambientali», come recita la lett. c) dell’art. 10 D. Lgs 297/1994 in materia di autonomia scolastica, dimostrava attenzione verso la componente musulmana della popolazione scolastica, quella che Roberto Pagani, diacono permanente della Diocesi di Milano, ha definito «lettura della realtà più che adeguata nel particolare contesto di Pioltello».

Approccio ‘buonista’? Per alcuni sì, per altri semplicemente europeista, se è vero che nel Rapporto del 2017: Competenze per una cultura della democrazia. Vivere insieme in condizioni di parità in società democratiche e culturalmente diverse, il Consiglio d’Europa invitava le nuove generazioni a condividere il valore «della diversità culturale» e sviluppare l’«atteggiamento» di «apertura all’alterità culturale e ad altre credenze, visioni del mondo e pratiche diverse».

La seconda delibera ha tutt’altra genesi e motivazione. Nasce in seguito all’ispezione ministeriale e il richiamo alla dimensione etnico-religiosa viene del tutto omesso ad esclusivo vantaggio dei profili tecnici legati all’organizzazione del carico didattico e del calendario delle festività scolastiche previste a livello regionale. Le due delibere raccontano storie diverse e richiedono distinte considerazioni.

In riferimento alla prima la domanda da porsi è se siano o no ben argomentate le dichiarazioni rilasciate da alcuni rappresentanti istituzionali: mi riferisco al Vicepresidente della Commissione Affari costituzionali della Camera, Riccardo De Corato; al Governatore della Lombardia Attilio Fontana e all’eurodeputata della Lega Silvia Sardone.  Per il primo: «In Italia vige la religione cattolica e cristiana, non musulmana e islamica. Pertanto questi ultimi, si devono attenere alle regole in vigore nella nostra nazione»; per il secondo la scelta fatta dal Consiglio di Istituto è «assolutamente fuori luogo. (Poiché) non è detto che per rispettare le feste religiose si debba chiudere una scuola (…)». Infine per Silvia Sardone la decisione di chiudere la scuola è una «scelta scandalosa» di «integrazione al contrario». Queste affermazioni meritano qualche riflessione.

In considerazione al fatto che in Italia «viga la religione cattolica» è un dato indiscutibile, ma è altrettanto incontrovertibile che dall’entrata in vigore della Costituzione nel ‘48 la Chiesa cattolica non sia più Chiesa di Stato; che dal 1989 la Corte costituzionale abbia fatto assurgere al rango di ‘principio supremo’ il principio di ‘laicità’ da cui far discendere la natura “pluralistica” della Repubblica dove «hanno a convivere, in uguaglianza di libertà, fedi, culture e tradizioni diverse» (Corte cost. n. 440/1995); e infine che la comunità scolastica di fede musulmana non ha affatto derogato alle regole “in vigore nella nostra nazione”, ha piuttosto beneficiato, così ricorda il Direttivo Nazionale dell’Associazione Nazionale dei dirigenti scolastici, dell’art. 10 comma 3 lett. c) del D. Lgs. 16/04/1994, n. 297, in forza del quale il Consiglio d’Istituto ha potere deliberante per quanto concerne «l’adattamento del calendario scolastico alle specifiche esigenze ambientali».

Sul fatto, poi, che per rispettare una festività religiosa non si debba chiudere necessariamente una scuola può anche essere un’affermazione fondata, basti pensare agli alunni di religione ebraica ai quali viene riconosciuto il diritto di assentarsi dalla scuola senza doverne giustificare l’assenza (artt. 4 e 5 l. 101/1989). Là dove, invece, il rispetto delle festività religiose si traduca nella sospensione della didattica, ciò, sotto il profilo del diritto di libertà religiosa e del principio di eguaglianza, sarebbe accettabile se valesse per tutte le confessioni religiose. Ovviamente mi si obietterà che le festività previste dal calendario regionale sono quelle stabilite legislativamente per via pattizia e che al di fuori di tale quadro nessuna festività religiosa sia ammissibile. In verità ciò non è del tutto vero. Ad esempio, grazie all’autonomia scolastica, i consigli degli istituti scolastici delle valli Valdesi hanno da sempre deliberato di sospendere l’attività scolastica il 17 febbraio. Da ciò lo stupore della comunità religiosa delle valli nell’apprendere da una circolare che la Giunta regionale presieduta da Cirio il 30 giugno 2022 abbia vietato agli Istituti scolastici delle valli Pellice e Chisone, in piena discontinuità con il passato, di sospendere le lezioni disconoscendo le ragioni storico-culturali specifiche del territorio. Decisione rispetto alla quale l’Assessora regionale all’istruzione, in seguito alle proteste di molti sindaci delle valli e consiglieri regionali, ha dovuto fare immediatamente retromarcia affermando che il calendario scolastico, se per un lato è un riferimento per tutti, per altro lato, «non preclude la piena autonomia delle scuole che hanno la facoltà di stabilire adattamenti al calendario, in relazione a esigenze derivanti dall’ampliamento del piano dell’offerta formativa e a specifiche esigenze ambientali. Le scuole, quindi, possono definire delle progettualità legate a tradizioni locali o eventi strettamente collegati al proprio territorio adattandone così l’attività scolastica».

Un calendario scolastico regionale deve dunque certamente tenere conto dell’unitarietà regionale per le famiglie e la gestione dei servizi scolastici, ma le scuole hanno il diritto di operare revisioni sull’offerta formativa al fine di preservare valori come libertà, tolleranza, pace e pluralismo ben lontani dalla ingiustificata e infondata paura dell’onda ‘sostituzionista’ paventata dall’eurodeputata evocando l’immagine dell’integrazione capovolta.

La delibera del marzo 2024, al contrario, disegna uno scenario completamente diverso: quello dove il fattore religioso/culturale, in quanto espressione di un culto ammesso, ma mal tollerato, improvvisamente scompare facendo finta che non esista: diviene solo più una questione di presenza/assenza di studenti a scuola. Quali le conseguenze? Al di là del depotenziamento sotto il profilo dell’inclusività e delle policy di natura integrativa, la verità è che per gli alunni italiani di determinate minoranze ci sarebbero solo più pause tecniche di riposo, non rilevando le ragioni per le quali non vadano a scuola, per tutti gli altri, invece, le pause continuerebbero a essere motivate da ragioni religiose e culturali.  

Mi chiedo se uno scenario di questo tipo sia compatibile con i principi della Carta costituzionale e con una responsabile e matura idea di pluralismo.

Crediti foto: Alissa De Leva su Unsplash

  • Roberto Mazzola

    È Professore ordinario di Diritto ecclesiastico e Diritto interculturale presso l’Università del Piemonte Orientale - Dipartimento di Giurisprudenza, Scienze politiche, Economiche e Sociali; membro del Comitato scientifico del Centro Interuniversitario - Forum Internazionale Democrazia&Religioni (FIDR), e membro del Comitato scientifico del Forum Internazionale ed europeo per gli studi sull'immigrazione (FIERI). Fa parte dell'European Consortium for Church&State Research.