Conosciamo ancora troppo poco dello stile di governo della nuova Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Invece, il suo stile di leadership, così come l’abbiamo inteso in questi anni di opposizione, durante l’ultima campagna elettorale e nella sua autobiografia (Io sono Giorgia. Le mie radici, le mie idee), è ben noto.

Di seguito prendiamo in esame due tratti distintivi inequivocabili dello stile di leadership di Giorgia Meloni, attingendo al suo discorso politico: “io sono un soldato” e l’uso del termine “nazione” riferendosi all’Italia.

Con una premessa: prendiamo le distanze da qualunque considerazione sull’altezza dei tacchi, sul colore dei tailleur o sull’acconciatura di Giorgia Meloni e gradiremmo che anche i futuri commenti dei media ci risparmiassero giudizi su questi particolari. Anche perché è un accanimento che si perpetua sempre e solo quando sono le donne a ricoprire ruoli pubblici.

Primo tratto distintivo. Giorgia Meloni si definisce “un soldato”, il linguaggio bellico è da lei preferito per descrivere le sue “battaglie” politiche. La sua vita è stata una sfida continua, ha bruciato le tappe e stabilito diversi record: prima donna a capo di un movimento giovanile di destra (Azione Giovane), il Ministro più giovane della storia repubblicana (Ministro della Gioventù nel IV Governo Berlusconi, 2008-2011), la prima donna a guidare un partito, prima donna italiana a capo di una grande famiglia politica nel Parlamento europeo (Conservatori e Riformisti Europei). Traguardi senza dubbio pregevoli, ma sempre con lo stile del “capo”: per lei “il capo deve essere un capo, deve dimostrare che è il più forte, il più coraggioso”. Anche perché, “quando stai dalla parte che viene considerata quella sbagliata non ti puoi permettere il minimo errore. Oggi possiamo dire che la destra c’è, cresce e vince”. Sempre nella sua autobiografica, Giorgia Meloni cita Margaret Thatcher che leggeva una poesia di Charles Mackay, nei momenti difficili: “non hai nemici, dici? Se non ne hai, è infimo il lavoro che hai fatto”.

E se la leadership femminile non confezionasse nemici a tutti i costi? Se non fosse necessariamente “contro” qualcuno, ma inclusiva e rispettosa delle diversità? Se fosse più collaborativa, generatrice di fiducia e dunque di delega, capace di dialogo e mediazione, proprio perché portatrice di una visione “altra” e differente. Se fosse una leadership non urlata, ma alternativa al dominante modello di potere mascolino muscolare? Di donne che, appena raggiungono posti di responsabilità, incarnano uno stile di leadership peggiore di quello degli uomini ne conosciamo già altrove. In politica ce lo risparmieremo volentieri. 

Il secondo tratto distintivo è l’uso di “nazione”, termine dalla forte carica emotiva – almeno per tutte le rivoluzioni e le guerre combattute in sue nome – ma dal contenuto semantico assai vago e complesso. Nel discorso pronunciato alla Camera il 25 ottobre 2022 Giorgia Meloni ha ripetuto 11 volte “nazione”; nella sua autobiografia vi ricorre regolarmente ogni volta che parla dell’Italia. Premesso che nella nostra Costituzione la parola “nazione” compare tre volte (artt. 9, 67 e 98), quella della Meloni appare come una scelta precisa di un’impostazione sovranista, etnica e identitaria, pericoloso preludio al nazionalismo. Anche perché la sua famiglia politica europea, quella dei Conservatori e dei Riformisti, ha l’obiettivo di costruire l’”Europa delle Nazioni”. Ma la storia dell’Unione Europea mostra che ogni Stato nazionale diviene un Paese membro dell’Unione, all’interno di un quadro normativo sovranazionale. 

Se proprio il termine Paese, per nominare la comunità politica italiana, è ritenuto troppo vago, perché non usare Repubblica, più evocativo della “cosa pubblica” e del bene comune? Come conciliare, in maniera pacifica, il nazionalismo con l’evidente pluralismo delle nostre società contemporanee? Il ruolo istituzionale di Giorgia Meloni non richiederebbe forse di guardare all’Italia come a una comunità democratica coesa e solidale – come più volte richiamato dal Presidente Mattarella –, a un “noi” inclusivo delle differenze?

Ora che Giorgia Meloni è la prima donna a Palazzo Chigi, Il “soffitto di cristallo” della politica ha conosciuto il suo punto di rottura. Il cristallo, un particolare tipo di vetro, se non è temperato quando si rompe produce lame, grosse schegge acuminate e taglienti. Se invece è temperato si riduce in piccoli pezzi, per lo più innocui. A noi, al nostro modo di fare cultura e di essere presenza sociale, il compito di temperare il cristallo, di vigilare affinché una volta rotto il soffitto, le schegge non feriscano tutti coloro che sono nella stanza.

 

 

Attribuzione foto: Quirinale.it

  • Chiara Tintori

    Politologa e saggista, già redattrice della rivista Aggiornamenti Sociali.