Le citazioni inserite nei discorsi del nostro Presidente della Repubblica non sono mai ornamento, ma argomento. Lo riscontriamo con gioia e perfetta sintonia anche nell’alta lezione tenuta a Trieste (3 luglio) alla cinquantesima Settimana Sociale dei Cattolici in Italia [riportata qui integralmente nella sezione documenti]. Davvero un intervento profondo e dettagliato sui valori di democrazia e libertà e sugli strumenti che vengono approntati nei diversi sistemi costituzionali e istituzionali per dare loro verità e concretezza.

Si tratta altresì di un discorso carico di dottrina, ma senza perdere mai il carattere colloquiale ‒ tra le righe incoraggiante ‒ nei confronti dei cittadini, giovani e non, che debbono ritrovare le ragioni per vincere la tentazione dell’astensionismo, perché è pericolosa una democrazia «a bassa intensità», per scongiurare la quale il Presidente non esita ad usare parole forti: defezione/diserzione/rinuncia. Democrazie «imperfette», a causa di urne troppo vuote, producono una diminuzione secca del riconoscimento e della realizzazione dei diritti dei cittadini, perché i diritti, sia quelli di libertà sia quelli sociali, «si inverano attraverso l’esercizio democratico».

Tutto il discorso di Sergio Mattarella meriterebbe di essere commentato e rilanciato passo per passo tanta è la ricchezza culturale e lo slancio “pedagogico” di cui è pieno. Il nostro è davvero un invito non solo a meditarlo, ma a tenerlo costantemente presente, anche per la sua stringata efficacia. Penso, ad esempio, ai passaggi nei quali rammenta che «la democrazia non è mai conquistata per sempre» e a quelli dove ripercorre momenti essenziali della vicenda dei cattolici in politica (citando, fra l’altro, Pio XII e Paolo VI); ma soprattutto penso alla straordinaria miniera di idee, propositi, confronti e progetti che fu la Settimana Sociale di Firenze, nell’ottobre 1945, dedicata a «Costituente e Costituzione» (con importanti interventi, fra gli altri, di Adriano Bernareggi, vescovo di Bergamo, Guido Gonella, Ferruccio Pergolesi ed Egidio Tosato).  

In questo commento a caldo ‒ che vuole essere solo uno stimolo e un invito ad immergersi con intensità e fiducia in un testo di altissima qualità, proposto senza inutili tecnicismi ‒ mi soffermo brevemente su quattro citazioni presidenziali.

Innanzitutto, Mattarella cita Tocqueville, partendo dall’idea del grande pensatore cattolico liberale della prima metà dell’Ottocento, secondo la quale una «democrazia senz’anima» è destinata a implodere, perché le sono venuti meno i contenuti valoriali. Ma la fama di Tocqueville è legata anche al suo concetto di rischio di una «dittatura della maggioranza» o, per dire meglio, di assolutismo democratico. Nel senso che la conquista di un voto di maggioranza ‒ quasi sempre amplificato per effetto di sistemi elettorali variamente maggioritari – abiliterebbe il vincitore a prendersi tutta la posta in gioco, conculcando il ruolo e i diritti imprescindibili delle minoranze.  Qui soccorre allora la citazione di un altro grande filosofo del diritto, Norberto Bobbio che, da positivista, partiva dal rispetto assoluto delle “regole del gioco” procedurali, ma non si esauriva in esse, esaltando generalità ed eguaglianza del voto, pubblicità integrale nel foro pubblico, competizione leale ed aperta e limiti alle decisioni di maggioranza .

A ciò ha obiettato scompostamente Matteo Salvini evocando semmai, dal suo punto di vista, una  «dittatura delle minoranze», ben sintetizzata nella frase riportata dai quotidiani: «chi perde le elezioni vuole imporre il suo modo di vivere e di ragionare». Detto dal più “putiniano” dei nostri politici fa un certo effetto…

Veniamo infine alle due citazioni di costituenti cattolici: Giuseppe Dossetti ed Egidio Tosato. Del primo il Presidente cita la perenne ricerca dell’andare incontro a tutte le esigenze delle persone, sul piano economico, sociale e politico. Di ciò si fece carico particolarmente la prima Sottocommissione all’Assemblea costituente, che aveva nel brillante professorino di Reggio Emilia una delle sue punte di diamante. Essa indicò, all’articolo 3, il compito in-finito della Repubblica di superare gli ostacoli che si frappongono, di fatto, all’uguaglianza di tutti i cittadini e alla piena partecipazione dei lavoratori alla vita pubblica. Ci sovviene, per Dossetti, il ricordo della relazione  da lui svolta a Pordenone (1993), nella quale volle sintetizzare, anche sulla scorta del suo precedente discorso all’Archiginnasio di Bologna (1987), il senso del profondo coinvolgimento nella vita politica del nostro Paese: « ho cercato ‒ disse ‒ la via di una democrazia sostanziale».

Da ultimo, Mattarella cita un passo della relazione fiorentina di Egidio Tosato, il costituzionalista vicentino dell’Università Statale di Milano (maestro di Valerio Onida), appartenente al filone del cattolicesimo politico di impostazione liberale. Parlando della necessità di una Corte costituzionale che si ponesse a garanzia e promozione dei diritti e delle libertà, egli mise ‒ nell’interpretazione che ne dà oggi il Presidente della Repubblica – «un fermo no all’assolutismo di Stato: a un’autorità senza limite, potenzialmente prevaricatrice».

È bello terminare proprio con le parole di Tosato, delle quali il lettore contemporaneo riesce facilmente a trovare raccordi e rinvii con le proposte di riforme costituzionali in itinere: in specie il cosiddetto premierato assoluto. Citate integralmente da Sergio Mattarella, esse suonano così: «Noi sappiamo tutti ormai che la presunta volontà generale [divinizzata da Rousseau, ndr] non è in realtà che la volontà di una maggioranza e che la volontà di una maggioranza che si considera come rappresentativa della volontà di tutto il popolo può essere, come spesso si è dimostrato, più ingiusta e più oppressiva che non la volontà di un principe».

(Foto: www.quirinale.it)

  • Enzo Balboni

    Già professore di Diritto costituzionale, Università Cattolica di Milano.