Non si può veramente comprendere l’America senza includere nel quadro la religione americana, di cui il cattolicesimo è parte rilevante, resistente, e in mutamento continuo. Questo è ancora più vero nel secolo XXI: la secolarizzazione negli Stati Uniti non è un ripiegamento in buon ordine della religione, ma una trasformazione della fede (in Dio, nel capitalismo, nella politica, nella scienza, nell’America stessa) in forze ed energie che sono diverse, contraddittorie, e violente. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, dopo l’interludio della breve presidenza di Joe Biden, è un caso emblematico: prodotto di una crisi che è anche religiosa.

La rielezione di Trump il 5 novembre 2024 ha riportato sulla scena non solo un presidente da molti dato per finito dopo il tentativo di rovesciare il risultato delle elezioni del novembre 2020. Ha anche messo in scena un riallineamento nella politica americana in cui il cattolicesimo gioca un ruolo unico e particolare, ben più complesso dello “scisma liquido” in atto da tempo e amplificato dalle reazioni ostili, fin dall’inizio, al pontificato di papa Francesco da parte dell’episcopato, del clero e del laicato militante di tendenze conservatrici e tradizionaliste.

Sulla grande stampa laica nazionale e nelle agenzie di stampa durante i mesi della campagna elettorale era evidente l’attenzione sulle posizioni politiche e il voto dei cattolici rispetto alla candidatura e poi all’elezione di Trump. Dopo il 5 novembre, le bolle dei social media cominciavano a svuotarsi con un esodo dei liberal progressisti, via da X/Twitter acquisito e controllato da Elon Musk nel 2022, verso altri lidi, ovvero deserti, di nuove piattaforme social. La divisione era evidente anche nei media tradizionali. “Dancing in the streets”, titolava giubilante la rivista dei cattolici paleo-conservatori, Crisis Magazine. Più controllato, ma non meno estasiato, Rusty Reno, direttore della tribuna intellettuale del movimento neo-conservatore, la rivista First Things, che spiegava come il risultato elettorale fosse “una buona notizia per i credenti”. Vendicato nella sua campagna contro il progressismo religioso il columnist cattolico conservatore Ross Douthat, che negli ultimi due decenni ha fatto della pagina degli editoriali del New York Times una delle piattaforme più influenti (e paradossali, vista la storia di quel quotidiano, l’equivalente de L’Osservatore Romano o La Civiltà Cattolica per il liberalismo americano) per la rivincita di un neo-populismo politico che si accompagna a un tradizionalismo teologico cattolico che non è affatto marginale negli Stati Uniti. Toni funerei invece nei commenti sulla stampa cattolica liberal. Il ritorno di Trump lancia messaggi urgenti e drammatici a quello che in Italia chiameremmo il cattolicesimo democratico.

Dopo il tentativo di colpo di stato durato due mesi tra novembre 2020 e gennaio 2021, la fine traumatica della presidenza Trump e l’inaugurazione di Biden sembrava assumere un significato quasi salvifico, di una guarigione o una vaccinazione, come quella contro il COVID-19 il cui avvento coincideva con l’avvio della presidenza del settantottenne ex vice di Obama. La prima vittoria di Trump nel 2016 era stata risicata, senza un vero sostegno della maggioranza degli elettori, e il suo mandato non era quello di un presidente capace di trasformare il paese. Il risultato del 5 novembre 2024 ha invece un significato profondamente diverso, anche perché viene dopo il primo e unico mandato del secondo presidente cattolico degli USA, Joe Biden. Una presidenza interrotta, come quella di Kennedy: non per martirio politico avvolto di mistero, ma in un modo più inclemente e spietato, che verrà probabilmente sottoposta a un giudizio impietoso degli storici per il rifiuto di Biden di farsi da parte, fino all’ultimo momento, e per la promessa mancata di fare spazio in tempo a una nuova generazione. Al contrario, era l’elezione di Trump che veniva letta in modo salvifico e martiriale, dopo il tentato assassinio del 13 luglio a Butler in Pennsylvania. L’essere sopravvissuto rafforzava il carisma del sopravvissuto non solo a quel colpo di fucile, ma anche ai tentativi lunghi quasi un decennio di seppellirne la carriera politica sulle pagine dei giornali e nelle aule dei tribunali. L’assassinio di Abraham Lincoln, avvenuto il 14 aprile 1865, Venerdì Santo, per mano di un simpatizzante sudista, venne interpretata come un’espiazione sacrificale per il peccato della schiavitù, che aveva causato le sofferenze della Guerra Civile. Paradossalmente, rispetto al libertino Trump, era molto più secolare l’aura attorno alla fine della presidenza del cattolico devoto e praticante Joe Biden. Spinto fuori dalla scena per limiti di età, il cattolicesimo di Biden rassomiglia a quello in via di dismissione in Occidente.

Nel 1967, Robert Bellah sostenne che il “mito fondativo” dell’America, ciò che lui chiamava la “religione civile” americana, aiuta a unire la società americana fornendo ai suoi cittadini un senso di origine, direzione e significato. La crisi di civiltà americana – perché di questo si tratta – è una crisi di fede, prima di tutto in se stessa, e non può essere compresa senza valutare in profondità la crisi religiosa, teologica e intellettuale del cattolicesimo.  Il contrasto tra progetto neoconservatore e progressismo teologico permane nella chiesa degli Stati Uniti, ma in uno scenario più complesso. La identity politics attorno alle questioni di genere, orientamento sessuale e razzismo ha ridefinito gli schieramenti a favore del carisma para-religioso trumpiano, di fronte al quale i cattolici americani procedono in ordine sparso, ma comunque lontano dai poli ideologici con cui sono stati identificati dal 1945 a oggi. La politica dei cattolici – anche dei leader della chiesa, chierici e laici – è diventata spesso indistinguibile da quella di qualsiasi altro gruppo interesse. Non è il vecchio problema della homelessness politica dei cattolici. È il rischio di perdere una voce distintiva in questo momento di rischio per la democrazia. E questo non è solo un problema americano.

            Per questo motivo è necessario evitare le caricature, le semplificazioni, e i luoghi comuni. La chiesa cattolica negli USA è quella di origine europea degli italiani e degli irlandesi come quella, preesistente, degli afroamericani e dei cattolici di origine ispanica e francese nel sud e nel sudest; quella che vota Trump ma sostiene anche Sister Helen Prejean, la suora di Dead Man Walking contro la pena di morte; quella dei fratelli Kennedy come del paleo-conservatore Pat Buchanan; quella della bandiera a stelle e strisce in tutte le chiese e quella dell’obiezione di coscienza alla guerra in Vietnam; quella che ha dato al cattolicesimo la teologia sulla libertà religiosa come anche l’intransigentismo della cultura pro life. È una delle chiese più vitali e generose del mondo, come anche una delle più patriottiche e nazionaliste; un cattolicesimo militante e militare, con una cultura delle armi che porta molti uomini delle forze armate a diventare preti, diaconi, catechisti. In un universo sociale disaggregato dalla vita reale grazie al virtuale, di individui senza organizzazioni di riferimento nel mondo del lavoro, la chiesa cattolica rimane un’ancora di salvezza che non ha paralleli a livello nazionale – un attaccamento talvolta solo a livello simbolico ed emotivo, oppure al contrario il riferimento ideologico per opposizione, come persistente incarnazione per eccellenza della necessità di opporsi alla tradizione.

            La chiesa cattolica negli Stati Uniti ha voltato pagina, come il paese che esprime e rappresenta, rispetto al paradigma dei secoli precedenti, e si dirige verso un futuro incerto. È anche più distante dall’Europa e dal Vaticano, ma rimane indispensabile per il cristianesimo e il global Catholicism. È una storia che riguarda anche l’Italia e l’Europa.

(Foto tratta dalla copertina dell’utimo libro di Massimo Faggioli, da pochi giorni in libreria: Da Dio a Trump. Crisi cattolica e politica americana, Scholè Morcelliana, 2025, pp. 240)

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    Professore nel Dipartimento di teologia e scienze religiose alla Villanova University (Philadelphia).