Anche i più fermi oppositori politici e i più severi critici dell’operato di Silvio Berlusconi si sarebbero volentieri mantenuti, in occasione del suo decesso, in un silenzio rispettoso della morte di un essere umano e del cordoglio delle persone a lui affettivamente legate, rinviando a un momento successivo bilanci e valutazioni della sua parabola politica e imprenditoriale, anche se l’attiva presenza nella vita pubblica del partito da lui fondato e delle imprese di sua proprietà non avrebbero reso possibile il “consegnare alla storia”, a un tempo remoto, ogni giudizio. Purtroppo le spropositate celebrazioni – dal funerale di Stato (che i familiari avrebbero potuto rifiutare) addirittura nel Duomo di Milano, al lutto nazionale di sette giorni, bandiere a mezz’asta ecc. – hanno reso eticamente impossibile tacere i motivi di dissenso che obbligavano a esplicitare i giudizi sul politico e sull’imprenditore. A cominciare dallo stile, privo di qualunque tratto di sobrietà e discrezione, che le esequie hanno rispecchiato. Altri tratti positivi della persona, che anche gli avversari riconoscevano (una disposizione alla generosità, il desiderio di compiacere ed elargire, sia pure per essere apprezzato) non vanno negati. Purtroppo sono oscurati dagli altri.

Tutti i gravi e molto gravi motivi di riserva e di critica sono stati espressi e ripetuti negli anni. Essi possono essere richiamati per sommi capi: frequentazioni con persone vicine alla mafia, sospettabili di essere connesse con le oscure origini della sua grande ricchezza; pratica politica tesa in primo luogo, se non in modo esclusivo, a tutelare sé stesso e le proprie aziende, con leggi ad personam (circa 60), in favore proprio e delle proprie imprese, governando con un eclatante conflitto di interessi; condanna definitiva a 4 anni per frode fiscale con conseguente decadenza da senatore e contestuale perdita del titolo di Cavaliere della Repubblica; il ricorso ad ogni possibile cavillo e stratagemma per difendersi non nei processi, ma dai processi e farli andare in prescrizione; l’inopportuna, anche se lecita, scelta di farsi rieleggere dopo dieci anni di allontanamento dai pubblici uffici; le ambizioni non celate di essere eletto Presidente della Repubblica, malgrado il passato tutt’altro che specchiato.

E se qualcuno trova eccessive queste critiche, altri invece ritiene che non siano sufficientemente mirate.

Uno storico esponente della destra siciliana, custode della memoria di Paolo Borsellino, Fabio Granata, denuncia unassordante silenzio”, anche della sinistra, sui 30 milioni lasciati da Silvio Berlusconi a Marcello Dell’Utri (condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa; quella fattispecie di reato che ora si vorrebbe abolire).

Accanto a questo va richiamata l’indole e la politica culturale delle imprese guidate da Berlusconi. In primo luogo televisioni commerciali, cui poi sono seguite le acquisizioni di quotidiani, case editrici, in generale mezzi atti a influenzare direttamente l’opinione pubblica. La televisione commerciale è una attività certamente lecita. Tuttavia le tv berlusconiane, nella ricerca, pur ovvia, del guadagno e del prevalere sulla concorrenza, hanno immesso molti programmi trash, e in generale abbassato a un livello infimo la qualità della comunicazione e dell’intrattenimento, assecondando le peggiori tendenze del pubblico e rivolgendosi a quegli spettatori che si ritenevano più sprovveduti. Le trasmissioni non dovevano mai essere al di sopra del livello degli spettatori. Piuttosto al di sotto. È noto come Berlusconi abbia detto: se il 10% della popolazione è intelligente, io mi rivolgo all’altro 90% (il giudizio sul 90% resta a suo carico). Con effetto a cascata questo ha abbassato anche il livello di altre emittenti che hanno cercato di rincorrere il pubblico che le abbandonava. Senza dimenticare che la costruzione del grande impero berlusconiano (a cominciare dalla discussa modalità di acquisto di Villa San Martino ad Arcore) è avvenuta spesso in conflitto con le leggi (di qui i molti processi) e in aperta ostilità verso il potere giudicante non di rado tacciato di essere il cancro della nazione. E tutto ciò per tacere dei comportamenti personali, che, ancorché imbarazzanti, tali non sono rimasti, essendo esibiti e sbandierati dallo stesso protagonista, come titoli di vanto. Si parla in particolare del modo di considerare e “utilizzare” le donne, come comprabili quali fonti di svago e piacere per sé o per altri (promesse in premio alla squadra di calcio). Tutti questi elementi almeno reprensibili per l’etica di molti, che in certi casi hanno configurato ipotesi di illecito (processi per prostituzione di minorenni) e che ripugnano alla coscienza civile attuale, impegnata a difendere dignità e vita delle donne, sono stati ignorati o rifiutati o (benché invano) contestati ovviamente da quanti hanno fatto parte delle sue imprese, della sua parte politica o sono stati e sono alleati con essa. Ma anche da moltissimi altri che non hanno tratto alcuna utilità dal sostenerlo. Tra loro non pochi cattolici. E qui sta il problema. Perché? C’è il tema di fondo del rapporto complesso di idealizzazione e affidamento tra cittadini e governanti; la tendenza alla cosiddetta “cachistocrazia”, ossia ad affidare il potere ai peggiori, ai meno competenti e qualificati, ai più spregiudicati; c’è il miraggio dell’uomo forte al quale demandare ogni cosa: una dimissione di responsabilità in prima persona, particolarmente ricorrente in Italia, in cui la democrazia è recente e anche fragile, non ha radici profonde nella coscienza civile. Questo può valere in generale, per molti altri esponenti politici. Ma è qui opportuno concentrarsi sul caso specifico. Si sottolinea come le aziende di Berlusconi abbiano dato lavoro a tantissime persone. È vero. Ma anche le fabbriche di armi da guerra danno lavoro. Non per questo canonizzeremmo i produttori. I messaggi delle tv berlusconiane, non sufficientemente controbilanciati dal fatto che includessero qualche bella trasmissione religiosa e qualche telegiornale intelligente, sono stati armi da guerra contro l’intelligenza, lo spirito critico, il buon gusto, la sobrietà, la decenza e la volontà di partecipazione attiva democratica, inducendo invece un atteggiamento da spettatori/fruitori. Hanno trasmesso l’idea che ciò che conta sia guadagnare denaro e che tutto sia merce che si può vendere e comprare. Anche le coscienze. Altri (così Letizia Moratti) hanno fatto cenno positivamente al “popolo di Berlusconi” che ha condiviso il “sogno di Berlusconi”. Quale sogno? Una Italia prospera, in cui l’iniziativa privata fiorisca cooperando al benessere comune? Una Italia libera da eccessi burocratici? Questa è la faccia presentabile del sogno. Quella subliminale, che ha attratto in verità molti è invece: tutti potete diventare miliardari, e godere la vita in tutti i sensi e modi, se siete capaci e vi fate furbi, come me. Un messaggio ingannevole. Giacché non è possibile un mondo di “tutti miliardari”: perché uno diventi miliardario molti debbono guadagnare infinitamente di meno. Un messaggio, inoltre, “corruttivo” delle coscienze, centrato su un individualismo edonista, lontano anni luce non solo dai valori evangelici cui, dichiarandosi cristiano cattolico, Berlusconi avrebbe dovuto ispirarsi, ma basilarmente dai valori di solidarismo democratico della nostra Costituzione (v. all’ Art. 3 “i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”); a tale messaggio si riconduce anche la nota espressione “mettere le mani nelle tasche degli italiani”, riferendosi alle tasse. Il sottinteso è che pagando le tasse il cittadino versa a un potere estraneo e non, invece, contribuisce ad assicurare a sé e alla comunità quei servizi essenziali (infrastrutture; sanità; scuole; trasporti; forze dell’ordine; amministrazione dello Stato; mantenimento del territorio ecc.) cui nessuno può provvedere “in proprio”.  Questo spiega l’apprezzamento e il sostegno di alcuni, anche di molti che, pur non traendone diretti vantaggi, abbiano condiviso e condividano tale visione delle cose. Ma torna la domanda. Perché tanti lo hanno sostenuto e lo sostengono, anche tra quanti non inseguono affatto il sogno e il modello berlusconiani, senza alcun tornaconto personale e conducendo una vita agli antipodi del modello “berlusconiano”? La risposta in questi casi è che Berlusconi è stato visto e apertamente sostenuto, anche e in particolare, da esponenti illustri della Chiesa e gerarchia cattolica, come il difensore “dal comunismo” (pur essendo l’Unione Sovietica scomparsa cinque anni prima della “discesa in campo” di Berlusconi) e dalla cultura “di sinistra. Una idiosincrasia di una parte non piccola del mondo cattolico, gravida di conseguenze negative e sulla quale è necessario tornare sempre di nuovo a riflettere criticamente. Non importa se le politiche economiche berlusconiane non hanno realizzato affatto le promesse di “un milione di posti di lavoro” e di “pensioni a 1000 Euro”, e anzi, nel 2011, hanno portato il Paese sull’orlo della bancarotta. L’importante è che non fosse di sinistra.  L’avversione a tutto ciò che è di sinistra avrebbe potuto e dovuto trovare rimedio nella esperienza dell’eccellente governo dell’Ulivo, presieduto da Romano Prodi, che certo non portò “i cosacchi in Piazza San Pietro”.

Berlusconi ha lasciato al Paese una eredità tremenda: innanzitutto la “personalizzazione” dei partiti politici, la spinta al decremento della partecipazione democratica e a forme di accentramento del potere in un’unica mano; e, insieme, il berlusconismo come deviazione morale individuale e nazionale dai valori  della nostra Carta Costituzionale, ossia, l’idea che il fine della vita sia l’arricchimento, l’essere vincenti e potenti, avere più degli altri, e che tutto si possa vendere e comprare: anche e non ultime le persone. La nostra Costituzione invece promuove la partecipazione democratica attiva di tutti i cittadini; dà impulso ed impegna alla rimozione degli “ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (Art. 3); concepisce il lavoro come contributo al progresso materiale o spirituale della società (Art. 4); promuove la armonizzazione della iniziativa economica privata a fini sociali e ambientali (art. 41); pone sotto tutela della legge la proprietà privata al fine di determinarne limiti, modalità di acquisto per assicurarne la funzione sociale e renderla accessibile a tutti (Art. 42); conosce il concetto di “indegnità morale” (Art. 48, in relazione alla privazione del diritto di voto).

È del berlusconismo come veleno sottile, strisciante o esplicito, che dovremmo e dovremo occuparci. Ed è solo per questo effetto che ci vediamo costretti a occuparci ancora una volta di Berlusconi, invece di limitarci a pregare che riposi in pace e trovi misericordia come anche noi speriamo di trovare.

(Foto: www.wikipedia.it)

 

  • Maria Cristina Bartolomei

    Già professoressa di Filosofia morale e di Filosofia della religione presso l’Università degli Studi di Milano. Teologa, fa parte della direzione della rivista Filosofia e Teologia.