Giuseppe Fioroni non ha fatto trascorrere neppure ventiquattro ore per annunciare il suo abbandono del PD dopo la vittoria della Schlein. Michele Serra, con la sua proverbiale arguzia ed ironia, ha commentato la notizia osservando che semmai ci si dovrebbe chiedere perché mai nel PD Fioroni ci stesse ancora. Effettivamente non sarebbe il caso di … farne un caso, né di infierire su Fioroni. E tuttavia la non-notizia offre lo spunto per riprendere la questione sulla quale, su queste pagine, Guido Formigoni ha operato una utile puntualizzazione concettuale circa l’idea-concetto di cattolicesimo democratico. Come Guido ha già fatto, più distesamente, nei suoi apprezzati lavori in campo storico-politico e, segnatamente, con riguardo al movimento politico dei cattolici. Al riguardo regna infatti una discreta confusione. Dunque, merita tornarci su.

Al tempo della Dc, Fioroni militava nella corrente andreottiana. Intendiamoci: è un fatto, non una colpa. E tuttavia è problematico iscrivere quella “cultura” e quella politica sotto la cifra del cattolicesimo democratico nell’accezione propria e non generica (e fuorviante) del termine. Cioè per designare riduttivamente (e troppo estesamente) quei cattolici che semplicemente si riconoscono nelle regole e negli istituti della democrazia. Da gran tempo, la storiografia ha circoscritto, meglio definendolo, il perimetro del cosiddetto cattolicesimo democratico inteso come una parte e non come il tutto del più vasto “cattolicesimo politico”. Il quale ha conosciuto molteplici versioni diversissime tra loro: clericali (persino clerico-fasciste) e aconfessionali; tradizionaliste, conservatrici, moderate, progressiste. Per capirci rispetto alla Dc, che resta la pietra di paragone più rilevante: non tutta la Dc fu espressione del genuino cattolicesimo democratico (in talune sue stagioni fu minoritario in essa); per converso la Dc non esauriva in sé il più vasto perimetro di esso.  Vi erano cattolici democratici anche fuori di essa. Semmai cattolici democratici furono e sono coloro che, muovendo da una ispirazione cristiana, coltivano una concezione pregnante della democrazia (Dossetti la definiva “democrazia sostanziale”) protesa all’uguaglianza e alla partecipazione. Cioè una visione della democrazia che non si limiti all’adesione al paradigma e agli istituti della democrazia liberale. Semplificando assai, due sono i principali tratti che connotano più specificamente il cattolicesimo democratico nel senso assegnatogli dalla storiografia e dalla pubblicistica più avveduta: l’aconfessionalità-laicità della politica e delle istituzioni e un orientamento politico naturaliter riformista-progressista. Il primo profilo associabile già a Sturzo e al suo Partito popolare che metteva nel conto che i cattolici conservatori (“fossili”, li definiva) non si riconoscessero nel suo partito; il secondo ascrivibile allo stesso De Gasperi, un sincero democratico, un cattolico liberale, che coniò la celebre formula di un “centro che muove verso sinistra”. Su queste due basi (e con queste nobili ascendenze), a loro volta, si innestano ulteriori varianti e diversi percorsi. In quanto lo stesso cattolicesimo democratico conosce una sua articolazione pluralistica riconoscibile anche ai giorni nostri. Persino nel concreto panorama politico italiano. Esemplifico: vi è un “cattolicesimo popolare” identitario refrattario a partecipare a esperienze e formazioni politiche culturalmente pluralistiche o comunque a disagio in esse; vi è un cattolicesimo liberale-riformista moderato nell’orientamento politico-programmatico ma convintamente disponibile a operare “a modo di fermento” all’interno di forze politiche di varia matrice culturale; vi è un cristianesimo sociale decisamente orientato a sinistra e anch’esso impegnato in formazioni laiche e pluralistiche. Cattolici connotati da una spiccata sensibilità sociale ma, sia chiaro, a loro volta impegnati nella politica e nelle istituzioni.

Poste queste premesse, operata tale classificazione (con tutte le cautele del caso, trattandosi, come usa dire, di idealtipi): è evidente che le si debba contestualizzare. Due soli esempi: le forme concrete da esse assunte devono fare i conti con le regole elettorali che possono rappresentare una gabbia che condiziona posizionamento e collocazione dei soggetti politici in cui operano; così pure tali soggetti si devono misurare con la concreta configurazione dei sistemi politici e con i loro attori. Di nuovo esemplifico: nel caso italiano di oggi, di sicuro, è da escludere che cattolici democratici possano coerentemente situarsi dentro la maggioranza di governo egemonizzata da una destra marcatamente conservatrice e sovranista. Anche perché antifascismo ed europeismo sono altrettanti elementi caratteristici del cattolicesimo democratico.

In via generale, quando si discorre dei cattolici in politica al presente, sarebbe saggio fissare tre caveat. Primo: essere sempre avvertiti che il cattolicesimo è categoria religiosa e non politica. Secondo: che la secolarizzazione spinta della società, della cultura e, di riflesso, della politica fanno dei cattolici una minoranza sociale e politica. Terzo: che, conseguentemente, a produrre militanza politica e orientamento di voto sono di regola fattori altri e non l’appartenenza cattolica. Un’appartenenza debole e selettiva, quella cattolica, persino con riguardo a dogmi e morale, e dunque tantopiù con riguardo alla politica. Giusto o sbagliato che sia, così è. Non a caso, tutti gli studi attestano che la distribuzione del voto dei cattolici non si discosta significativamente da quella dell’elettorato tutto.

Ai tre suddetti caveat tutti ispirati alla cura di distinguere tra religione e politica, ne aggiungerei uno che, invece, risponde all’esigenza di connettere cattolicesimo e politica, sperando di non essere frainteso: l’impegno a prendere sul serio l’insegnamento sociale della chiesa, del Papa e dei vescovi. Certo esso va mediato politicamente (sarebbe improprio immaginare il “partito della dottrina sociale cristiana”, che, per sua natura, ha una valenza universalistica e dunque non può essere appannaggio esclusivo di un partito) ma, neppure, all’opposto, un buon cristiano può ignorare talune sue palesi implicazioni sul pensiero e sull’azione politica. Nella visione e nelle priorità programmatiche. In concreto, essa – la dottrina sociale cristiana – è compatibile con più orientamenti e militanze politiche, non però con tutte. Talune sono in aperto contrasto con essa. Primato della persona, sussidiarietà-pluralismo, giustizia sociale, internazionale e intergenerazionale, salvaguardia del creato, pace sono valori di riferimento meno generici e più impegnativi di quanto ci faccia comodo pensare.

 

  • Franco Monaco

    Pubblicista, già presidente dell’associazione «Città dell’uomo» e parlamentare della Repubblica; fa parte del gruppo di coordinamento della rivista web Appunti di cultura e politica.