Si è tornati recentemente a parlare del ruolo dei cattolici democratici nella politica italiana. Iniziative come quella dell’associazione «I popolari» all’Istituto Sturzo, articoli, riflessioni, dibattiti. Credo sia opportuno tornare a discutere del senso di questa categoria, non in astratto, ma per capire bene di cosa stiamo parlando rispetto all’agenda politica attuale. Non essendo in effetti un concetto univoco, e tantomeno una categoria ideologica definita, l’espressione “cattolicesimo democratico” può rappresentare e comunicare una serie di posizioni anche piuttosto diverse tra loro, nonostante alcuni dati simili e condivisi. Non convince una rilettura della storia recente troppo concordista, che recuperi dalla tradizione un presunto filo conduttore che porta dalla storia democristiana (magari della sinistra interna…) al Ppi e alla Margherita, fino all’Ulivo e poi al Pd, senza identificare cesure e contraddizioni.

Se dovessi provare a rappresentare cosa significhi oggi usare questa espressione, proverei a schematizzarne almeno tre versioni. Si badi bene: si tratta in tutti i casi di componenti del centro-sinistra. Allargare il concetto in modo ancora più estensivo ad altre forme di cattolicesimo politico mi parrebbe francamente un nonsenso, anche se abbiamo esempi di gruppi che interpretano ancora l’identità fornita dall’ispirazione cristiana come istanza di distacco e non riconoscimento delle ormai storiche cesure bipolari.

La prima è la versione che potremmo definire “popolare”. È uno schema mentale che ha molto fatto conto su un’identità specifica, cattolico-identitaria, concorrenziale con la sinistra post-comunista o socialdemocratica, nonostante la scelta di una convergenza politica effettuata fin dai tempi della genesi dell’Ulivo. In questa dinamica, però, l’elemento distintivo non è stato e non è sempre focalizzato in modo univoco: alcuni esponenti di questa visione rivendicano la loro maggiore moderazione sugli argomenti economici e sociali (una vocazione tendenzialmente centrista), altri invece criticano il politicismo dei nuovi alleati e rimproverano loro l’acquiescenza a un modello verticista di politica connesso al maggioritario. A questo esito del riformismo della sinistra postcomunista, tale sensibilità contrappone una visione di democrazia più collegata alla mediazione con la società, ai corpi intermedi e al pluralismo civile. Fa parte di questo approccio una concezione associativa del partito (tutt’altro che leaderistica). La sinistra contemporanea è insomma spesso ritenuta a rischio di scivolare nella costruzione di un “partito radicale di massa”, troppo individualista e centrato sul fronte caldo prevalente e quasi esclusivo delle differenze e dei diritti individuali. Solo sotto questo aspetto e questa logica, tale componente esprime una certa eco del cristianesimo sociale tradizionale. Alcune delle relazioni del convegno dello Sturzo hanno affondato la riflessione proprio su questi aspetti.

La seconda linea la potremmo identificare come “liberale”. È la posizione di coloro che hanno spinto molto avanti la mediazione culturale con le altre componenti politiche e culturali progressiste (in nome della laicità della politica). In questo senso, insistono sul nesso irrinunciabile tra diritti civili e diritti sociali, ma di fatto tendono a sottovalutare i secondi. Hanno da tempo identificato l’obiettivo di costituire un grande partito plurale in cui il cattolicesimo democratico porti il proprio contributo. È una linea di riflessione che ha sposato decisamente la logica della democrazia governante. Leggono peraltro il riformismo del partito di centro-sinistra come moderato e centrista nella sua vocazione maggioritaria (nella logica della competizione per il consenso tra blocchi alternativi che presumibilmente si dovrebbe effettuare al centro dell’elettorato). Tendenzialmente compatibilisti rispetto agli equilibri socio-economici esistenti (con più di qualche venatura liberista), si sono ispirati alla riflessione sulla cosiddetta “terza via”. Sono coloro che hanno seguito la parabola del Renzi segretario del Pd, apprezzato l’”agenda Draghi” come espressione di un moderato riformismo europeista, sostenuto la visione di un Pd rappresentativo della modernità e dell’apertura globalista. Coltivano una lettura dell’eredità del personalismo come molto legato a una sintesi cristiano-liberale di matrice anglosassone: sono coerentemente molto atlantisti e realisti in politica internazionale.

Un terzo modo di concepire la stessa espressione potremmo definirlo come “radicale”. Essendo convinti anch’essi della necessità di superare i confini identitari del passato (abbandonando definitivamente l’utilizzo del nome cattolico in politica), coloro che esprimono questa sensibilità provano a portare il bagaglio culturale e spirituale del cattolicesimo democratico sul terreno di una critica più approfondita degli assetti economico-sociali contemporanei.  Esprimono cioè l’idea che l’ispirazione cristiana si debba tradurre in forza di cambiamento strutturale e fattore di emancipazione profondamente sociale. In questa logica, essi evidenziano il cruciale discorso delle diseguaglianze come perno per proporre una politica fiscale incisiva e una revisione della stagione delle liberalizzazioni. Ritengono che la crisi della globalizzazione trionfante chieda alle democrazie di aumentare gli aspetti protettivi della propria funzione sociale. Sono preoccupati di una sinistra che interpreti i ceti moderni e progressisti, lungimiranti e aperti al mondo, dimenticandosi dei vinti della globalizzazione. In sostanza, chiedono alle forze di centro-sinistra di assumere un pi’ marcato profilo alternativo alla destra, senza nostalgie centriste. Sono per una politica europea che articoli l’immagine dell’Occidente in chiave di bilanciamento rispetto all’egemonia statunitense e portata a intervenire in funzione mediatoria nei principali conflitti. Privilegiano una forma partito molto partecipativa e orizzontale, in dialogo con i movimenti della società civile.

Tre filoni distinti, che rivendicano una loro legittimità rispetto ai cespiti culturali fondanti di questa tradizione, magari accentuandone un aspetto o l’altro, in vista di particolari priorità da realizzare, nel concreto sistema politico attuale. Tre impostazioni che possono essere anche complementari e a tratti convergenti tra loro, ma che è bene non confondere quando si usa l’espressione cattolicesimo democratico.  Pena una serie di equivoci non facilmente districabili. Goffredo Bettini ha citato il moroteo “principio di non appagamento” come cifra generale di questo mondo: mi pare evidente che ciascuno dei filoni sopra schematizzati porti nella vicenda civile un’eco diversa di questa esigenza.

Attribuzione foto: Quirinale.it

 

  • Guido Formigoni

    Professore di Storia contemporanea e Prorettore alla Qualità, Università IULM - Milano. Coordinatore della rivista web Appunti di cultura e politica.