C’è una visione precisa dietro l’aspirazione ad eleggere da parte del Parlamento in seduta comune un giudice costituzionale atteso da tempo, fortemente voluto dalla maggioranza di governo e considerato assai vicino alla presidente Meloni (mossa “fallita” anche per le modalità con le quali si vota, lo scrutinio segreto, che ha in effetti segnalato una certa difficoltà della stessa maggioranza di raggiungere lo scopo prefisso, tenuto nascosto sino all’avvento di una talpa interna alla chat del partito meloniano). Così come pure dietro alle aspre critiche di provenienza governativa ai provvedimenti del Tribunale di Roma che non hanno ritenuto di convalidare i trattenimenti dei migranti nell’apposito centro gestito in territorio albanese dal nostro Stato (previo accordo, come è noto, tra i due Paesi al fine di impedire l’arrivo sul suolo italiano di migranti richiedenti asilo politico ai quali, nel caso di specie, è stato in prima battuta negato dall’autorità amministrativa italiana). È una visione precisa di come si vorrebbe fossero “addomesticabili” gli organi di garanzia operanti nell’ordinamento e previsti dalla nostra Costituzione, allorché entrano in gioco precisi indirizzi politici che stanno particolarmente a cuore a chi esprime il Governo.

Un Governo che naturalmente rappresenta il portato di una chiara indicazione degli elettori, che si sono espressi in occasione del voto politico generale del 25 settembre 2022.  Tralascerei la circostanza che, in termini di sostanziale consenso del Paese, l’attuale Governo probabilmente non ha mai rispecchiato l’orientamento effettivo del corpo elettorale complessivo, vale a dire la totalità degli aventi diritto. In generale, chi non esercita volontariamente un diritto – in questo caso, in verità, si tratta di un dovere civico – non può in un secondo momento pretendere che si tenga conto della sua volontà allorché si determinino effetti negativi nella propria sfera giuridica! La maggioranza di centrodestra che esprime il Governo Meloni, non solo è legittima sotto qualsiasi profilo, ma ha anche il diritto di vedere realizzati i suoi programmi.

Tuttavia – ed è questo il punto che si vuole, ancora una volta e pazientemente ricordare – nell’ordinamento italiano occorre pur sempre verificare che tali programmi (che sono destinati a tradursi in atti normativi, dalle leggi ai decreti aventi valore di legge, alle fonti regolamentari di carattere secondario), possano trovare concreta applicazione da parte delle altre autorità non politiche, ma indipendenti – appunto, la magistratura – chiamate a dar loro seguito ogniqualvolta quelle norme incidono o comunque abbiano un impatto sui comportamenti di quanti si ritengano lesi dalla normativa introdotta.

Lascerei sullo sfondo la questione delle riforme costituzionali in cantiere – a partire dal cd. “premierato”, ma che includono anche l’assetto del potere giudiziario – che potrebbero essere meglio difese da giudici amici o comunque con certe sensibilità culturali, vicine ai riformisti: se, in effetti, si cambieranno i principi vigenti occorrerà prenderne atto, a partire dai giudici costituzionali, a meno che non si contestino a fondo le norme introdotte considerandole lesive dei principi fondamentali, inderogabili, irrivedibili per la tenuta democratica. Il che non si può escludere, ma, in ogni caso, tra il momento dell’entrata in vigore delle nuove norme costituzionali (ammesso che superino l’assai probabile referendum confermativo prescritto dall’art. 138 Cost.) e la sollevazione della questione davanti alla Corte da parte dell’autorità giudiziaria che ritenga violati quei principi inderogabili, anche i giudici oggi considerati amici potrebbero, per svariate ragioni, non esserlo più o anche semplicemente non fare quel che da loro ci si attende! In ogni caso, mi pare uno scenario da azzeccagarbugli.

Resta invero l’arroganza della maggioranza di decidere sui giudici costituzionali di nomina parlamentare (altri ne arriveranno tra poco) procedendo in solitudine e raggranellando qualche voto di supporto con esponenti compiacenti dell’opposizione che, a loro volta, potrebbero sperare di fare valere in seguito l’utilità marginale del loro assenso alle scelte della maggioranza. Insomma, comunque la si metta, una pretesa da piccolo cabotaggio che testimonia in primo luogo una vacillante affidabilità istituzionale e ancor più una percezione molto sommaria del ruolo e del funzionamento della Corte costituzionale. La quale resta, c’è da sperare, organo di garanzia troppo complesso perché possa essere ammansito da questo o quel Governo in carica, da questa o quella maggioranza parlamentare del momento!

Quanto al recentissimo conflitto tra il Governo e la magistratura, a proposito del trattenimento dei migranti in suolo albanese, ma in struttura italiana, in vista del loro rimpatrio nei Paesi di provenienza, basterebbe semplicemente sottolineare che in questa delicatissima materia che coinvolge il destino di soggetti deboli alla ricerca, comunque, di protezione internazionale, la competenza normativa non è più da tempo esclusivamente nazionale, ma bensì europea. E si potrebbe aggiungere, con qualche malcelata punta di acidità, che le sentenze della Corte di giustizia sul punto si presuppone siano comprese e rispettate soprattutto da chi ha preminenti responsabilità governative negli Stati aderenti all’Unione Europea. È altresì noto che per l’ordinamento italiano – e non solo ovviamente – il diritto europeo è prevalente – costituzionalmente – sul diritto interno, ancorché quello di “tono costituzionale” con la sola frontiera invalicabile dei principi supremi: i noti “controlimiti” da far valere da parte della nostra Corte costituzionale.

Ed allora, come dimostra la stessa, complicata, dolorosa e non ancora conclusa vicenda britannica, ove l’Unione Europea fosse considerata un cappio insostenibile per la sovranità nazionale occorrerebbe uscirne! Il che non credo sarebbe legittimo per quanto riguarda il nostro Paese, in presenza di un principio fondamentale come quello descritto dall’art. 11 Cost. a proposito della cessione della sovranità nazionale, volontaria ed in condizioni di reciprocità, in favore di organizzazioni sovranazionali aventi caratteristiche universalistiche finalizzate in primo luogo a preservare la vita degli individui ovunque si svolga. Un principio che neppure potrebbe essere legittimamente variato con una specifica modifica costituzionale di segno restrittivo.

Insomma è davvero triste dover fare i conti con l’inspiegabile strategia istituzionale di chi, chiamato alle responsabilità di governare il Paese, vorrebbe tuttavia farlo ponendosi pregiudizialmente fuori dal contesto costituzionale vigente e dalle sue logiche, scegliendo un livoroso percorso di contestazione delle regole esistenti che porta diritto in un vicolo cieco, che non sbuca da nessun’altra parte se non il regresso inesorabile dei faticosamente conquistati (certamente per il nostro Paese) parametri democratici. Se si è ancora in tempo, come si spera, occorrerebbe responsabilmente fermarsi, magari meditare sulla posta in gioco, e francamente tornare indietro il più rapidamente possibile.

(Foto di Roger Bradshaw su Unsplash)

  • Professore ordinario del Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Brescia, dove insegna diritto costituzionale nel corso di laurea magistrale. È membro dell'Associazione italiana dei costituzionalisti (AIC). Allievo di Valerio Onida, è coordinatore scientifico dell'Associazione Passione civile con Valerio Onida, nata in sua memoria.