Virginio Rognoni è stato deputato ininterrottamente per sette legislature, dalla V all’XI, ministro per tre volte (Interno, Grazia e giustizia, Difesa), e infine vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura dal 2002 al 2006. Una lunga esperienza parlamentare che lo ha portato ad affrontare questioni cruciali e drammatiche, a cominciare da quando fu nominato ministro dell’Interno in seguito alle dimissioni di Francesco Cossiga dopo il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro. Fu, quell’orribile uccisione, uno dei momenti più sconvolgenti e tragici della storia dell’Italia repubblicana.
I presidenti del Consiglio che lo vollero a loro fianco come ministro furono uomini assai diversi tra di loro e, tranne Giovanni Spadolini che era del Pri, erano tutti esponenti di primo piano della Dc. Nell’ordine: Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Arnaldo Forlani, Giovanni Spadolini, Amintore Fanfani. E quando è stato al Csm ebbe come interlocutori due grandi presidenti della Repubblica come Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano che erano anche presidenti del Csm. Un’esperienza politica ed umana di grande rilevanza per un uomo politico a cui s’attaglia, a giusta ragione e usando un termine antico e passato di moda, la definizione di galantuomo. Rognoni ha servito lo Stato e la democrazia in tutti dicasteri che ha guidato e nella sua lunga attività parlamentare incontrando sul suo cammino, com’era del resto prevedibile, difficoltà di varia natura che ha cercato di superare a volte con determinazione e altre volte con esitazioni e cautele, qualcuna forse di troppo.
Durante il suo lungo impegno parlamentare fu ovviamente contrastato dai suoi avversari politici, ma sempre con rispetto tanto è vero che con molti di loro mantenne nel tempo rapporti cordiali e addirittura di amicizia. Talvolta gli attacchi provenivano dall’interno del suo stesso partito ed erano sicuramente i più dolorosi.
Il suo nome è legato all’approvazione della legge Rognoni-La Torre, la legge che lo accomuna al deputato comunista Pio La Torre che per primo aveva proposto di inserire nel codice penale un apposito articolo che punisse l’associazione a delinquere di stampo mafioso. L’articolo sarebbe diventato il 416 bis, l’arma che si è rivelata la più potente e micidiale contro i mafiosi. Dal 1982, quando fu approvata la legge, a oggi, i magistrati hanno sempre utilizzato quell’articolo per contrastare tutte le mafie, non solo Cosa Nostra che all’epoca era la mafia più importante, tanto da sembrare invincibile.
E fu proprio durante l’iter di approvazione della legge, nel periodo intercorso tra l’uccisione di La Torre e quella di Carlo Alberto dalla Chiesa divenuto dopo la morte di La Torre prefetto di Palermo, che Rognoni ebbe a toccare con mano la dura opposizione ed ostilità che veniva fatta da due importanti uomini politici democristiani, Salvo Lima e Vito Ciancimino, entrambi della corrente di Andreotti. Non volevano che quella legge fosse approvata. Rognoni non dimenticò mai quelle che lui chiamò “resistenze”, e ne parlò proprio al collegio Santa Caterina durante una serata dedicata al 35° anniversario della legge Rognoni-La Torre.
Ha fatto tante altre cose e, tra le altre, ha assicurato una direzione equilibrata al Csm in una congiuntura politica in cui la magistratura era sotto attacco. Eppure, nonostante tutto ciò, Rognoni non ha ancora trovato la sua giusta collocazione nella storiografia, e il suo ruolo appare marginale negli scritti dedicati alla storia generale dell’Italia repubblicana, né s’è fatto uno sforzo per comprendere il ruolo da lui svolto nella più generale lotta alla mafia e per la difesa della Costituzione.
Il Centro studi di legislazione antimafia a lui intitolato e presieduto dall’on. Rosy Bindi, da poco inaugurato al Collegio Santa Caterina da Siena di Pavia, naturale sede del Centro, la presentazione di un volume Virginio Rognoni. Passione civile e impegno politico, curato da Giovanna Torre e Enzo Ciconte, edito dalle edizioni Santa Caterina, e il convegno curato dal dott. Michele Prestipino e dal prof. Sergio Seminara per il Centro intitolato L’art. 416 bis c.p. tra storia ed ermeneutica sono i primi passi di un’attività che si svilupperà nel prossimo futuro e che cercherà di ricollocare Rognoni nella storia del nostro Paese.
Il libro, che è nel contempo una sorta di storia fotografica del suo impegno politico e personale, raccoglie vari scritti di amici e di uomini politici non solo della Dc ma anche di chi all’epoca erano all’opposizione dei governi di cui lui faceva parte. In tutti stima e ricordi affettuosi. Il Centro è partito nel modo migliore. Adesso occorre proseguire speditamente. Per prima cosa è necessario costituire un fondo archivistico in cui far confluire tutta la sua attività parlamentare (interventi in aula di Camera e Senato e in commissioni, interrogazioni, mozioni, proposte di legge a sua prima firma o come cofirmatario, emendamenti) e al Csm, tutti i suoi scritti sparsi nei decenni in volumi a più mani, in saggi su riviste, articoli e interviste su quotidiani e periodici nazionali e locali. Occorrerà cercare le numerose dichiarazioni o interviste televisive e le tante testimonianze da lui rese in importanti processi di mafia.
È necessario anche completare o in ogni caso arricchire l’archivio fotografico innanzitutto con le foto scattate da Antonio La Valle che ha documentato tutti gli avvenimenti del Collegio e tutte le serate che seguivano le lezioni del corso da me tenuto di Storia delle mafie italiane. Rognoni era particolarmente affezionato a quelle serate e non ne perdeva nessuna, tranne l’ultima, quella in cui si doveva parlare, lui vivo, della sua attività. Morì il giorno prima. L’impegno è quello di reperire le foto mancanti chiedendo a tutti i suoi amici, conoscenti, avversari politici di far pervenire al Centro le foto in cui ci sia una sua presenza, anche conviviale. Chi possiede queste foto le può condividere con il Centro per farle diventare patrimonio di tutti.
Il Centro ha in mente di realizzare molteplici e multiformi iniziative per far emergere l’importanza dal punto di vista storico e istituzionale della sua figura. Il Centro ha sede a Pavia; e in città, nelle sue scuole, tra i cittadini pavesi, soprattutto quelli più giovani, bisognerà trovare il modo di fare conoscere quello che ha fatto. Anche nelle università incoraggiando tesi e ricerche. Ma Rognoni non ha operato solo a Pavia e quindi è necessario operare per programmare iniziative, pubblicazioni anche sui social e tanto altro in altre città italiane.
(Foto: www.fondazionegramsci.org – Virginio Rognoni con il generale Dalla Chiesa)