Non c’è dubbio: l’obiettivo è ambizioso. Non lo dice solo chi qui scrive. Lo dicono anche loro: «Dobbiamo e possiamo essere ambiziosi». Loro sono un gruppo di intellettuali (studiosi ed esperti della società civile) ben conosciuti e che spesso hanno fornito occasioni di riflessione e di studio con il loro articoli, libri, interventi, relazioni, e che lunedì 18 (in contemporanea a Roma e a Milano) si sono presentati per lanciare il cosiddetto “Piano B. Uno spartito per rigenerare la politica”. Becchetti, Bentivogli, Collicelli, Giovannini, Jahier, a Roma (in sintonia con altri presenti nel capoluogo lombardo) per ribadire – oltre le pagine del libro pubblicato da Donzelli editore – che «più che un nuovo partito abbiamo bisogno di un nuovo ‘spartito’, cioè di un nuovo metodo che metta in connessione permanente il pensiero con l’azione virtuosa ed efficace che viene già sperimentata dalle tante persone che nei territori, nelle organizzazioni, nelle istituzioni stanno lavorando per orientare l’intera comunità nazionale (e internazionale) verso un futuro di prosperità, integrazione e pace» (p. VIII). In sostanza, di fronte ad oltre 130 persone, hanno espresso, con diversi punti di vista (dall’economista, alla sociologa, al sindacalista), un concetto chiaro: «serve una nuova idea di futuro, di convivenza, di economia», aggiungendo, che è decisivo «un paradigma nuovo, fortemente legato ai concetti di generatività, solidarietà, sostenibilità, complessità», che, però, esiste e già feconda i nostri territori creando frutti visibili e preziosi (le buone pratiche), dai quali si deve ripartire perché lo “spartito” (ergo: la nuova musica da suonare e sentire) sia un «paradigma che indichi un orizzonte di senso verso il quale vogliamo orientare opinione pubblica e forze politiche». Orientare l’opinione pubblica: in un’epoca sempre più segnata dal disincanto e da uno scetticismo spaesante fortemente caratterizzato dalle notizie drammatiche del mondo, ci sia consentito dire che appare così alto da rischiare imprevisti e inaccettabili fallimenti. Comunque sia: siccome si prende sul serio l’alto profilo ideale del progetto (alias, Piano) si avanzano alcune sommesse osservazioni.

La premessa da cui nasce lo schema appare condivisibile in toto. Ossia: la crescita dell’economia fondata su produttività ed efficienza (crescita lineare e progressiva) «mostra oggi tutti i suoi limiti in quanto a capacità di equa distribuzione delle risorse e di lotta alle povertà vecchie e nuove, e in quanto a sostenibilità ambientale, planetaria e, sul piano dell’individuo, a ricchezza di senso del vivere. Il che sta portando anche a una progressiva erosione elle virtù civiche che rendono possibile la democrazia» (Becchetti, Collicelli, Giaccardi, Magatti). Giusto. Di fronte a questo scenario le risposte (classiche) dei partiti tradizionali, o non ci sono o sono fragili ed equivoche. E la democrazia langue, non solo per la affievolita partecipazione dei diretti interessati. Ecco allora lo schema proposto. Con un «cuore» da cui tutto prende movimento che è la Costituzione italiana, da cui «si sviluppano cerchi concentrici successivi fino ad arrivare ad altre 16 parole fondative». Che l’agile libretto ripropone con la firma di un autorevole scrittore e brevi consigli di lettura. Sono: generatività, sussidiarietà, complessità, sostenibilità, beni comuni, casa, comunicazione, contribuzione, educazione, Europa, generazioni, giustizia, innovazione, investimento, lavoro, welfare. Parole (e concetti) fondativi da cui si generano «parole operative» che «declinano quei principi nella realtà del paese». Sono parole come «comunità educanti, comunità energetiche, giustizia ripartiva, lavoro in carcere, amministrazione condivisa» (il corsivo in originale), che, attenzione ecco il passaggio operativo, «permetteranno di tessere il filo nuovo della partecipazione, della cittadinanza attiva, della sussidiarietà».

Per un approfondimento più dettagliato del processo (l’invocazione di papa Francesco di non occupare spazi ma di aprire processi, è stata più volte evocata), si veda www.pianob-unospartitoperlitalia.it/. In sintesi, si tratta di un disegno di tutto rispetto, ma restano alcune domande aperte. Proprio perché per risolvere i problemi si sia in grado di essere «molto concreti, tempestivi ed efficaci» (come scrivono gli autori), dopo la lettura e la partecipazione alla presentazione.

Innanzitutto: come si procederà per rendere operative quelle 16 parole/concetto di fondo e importantissime per il tessuto della società italiana? Si costruiranno gruppi di «PianoB» sul territorio? circoli estemporanei evocati dalle realtà presenti nei luoghi? residui di partiti con leader lungimiranti? proposte diversificate per ambiti o territori? Non si pensa ad un nuovo partito, escluso esplicitamente dai promotori, ma solo al momento o anche in futuro? Su questa tappa dello sviluppo si poteva spendere qualche parola in più.

Una caratteristica comune di queste parole operative (si legge) «consiste nel far leva sulla forza dell’unione dei generativi […] sulla logica della cooperazione», che supera «la logica del rapporto tra gli individui (e fra le aggregazioni, mio) come un conflitto tra monadi». Giusto, encomiabile. Ma come contrastare quella tendenza (che chi scrive ha potuto, nel suo piccolo, toccare con mano) di un frazionismo esasperato che ormai pervade anche pregiate associazioni della società civile. per le quali, spesso (e volentieri) le idee e le azioni del mio vicino «mi fanno ombra e competono»? Come rigenerare questa «voglia di aggregazione», ammesso e non concesso che ancora sia presente e viva?

Poi si afferma che con si può «aspettare col naso all’insù l’arrivo di un leader della provvidenza o di un deus ex machina che agisca al posto loro». o nostro… Sì, ottima idea, efficace e duratura per sollecitare una partecipazione attiva. La presenza esasperata del leaderismo la registriamo a ogni pie’ sospinto in ogni dinamica politica e sociale di questi tempi. Siamo convinti che ne siano immuni (o quanto meno che l’abbiamo «generata» solo in dosi minime sostenibili) le cosiddette realtà generative dal basso? No so, ne vorrei discutere, proprio per le esperienze maturate.

E infine, ma forse è la questione principale, si legge nella introduzione denominata «Schema di riferimento»: «Le istituzioni riconoscono in questo nuovo modello che il modo migliore per esercitare il loro ruolo consiste nell’essere levatrici delle energie della società civile». Bene: ma chi le costituisce queste «istituzioni»? Comuni, regioni, assessorati, governi, piovono dall’esterno? Senza nessuna connotazione politica (e sia: anche partitica!), e con uno sguardo neutro e tutto ben disposto verso questa società civile, dal carattere «infinitamente più generativo e ricco di senso»? O non sono piuttosto condizionate da (banali?) rapporti di potere, negoziati, valori precostituiti, forze in campo, ambizioni, risorse, meccanismi acquisiti, tradizioni, norme e quant’altro…? Si ritorna lì, ahimè, alla politica del Piano A.

Prendiamo sul serio l’invito che conclude l’introduzione all’apparato di parole e spunti nello Schema di riferimento: «gli sforzi di chi è già coinvolto nelle diverse forme di impegno civico e di attivismo sociale devono essere rivolti in via prioritaria all’individuazione di un linguaggio e di un campo comuni, su cui fare massa critica». Giusto: ma linguaggio, campo comune (ahia, ritorna la parola «campo»…) e soprattutto massa critica, al di là (o forse al di qua..) delle buone intenzioni, richiedono strategie e fatiche che, lo scrivo ancora per esperienza diretta, si superano solo se si ha il coraggio di affrontare gli ostacoli con idee e proposte realiste, capaci anche di immaginarsi strade percorribili.

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  • Vittorio Sammarco

    Giornalista pubblicista, docente di Comunicazione politica e Opinione Pubblica, Università Pontificia Salesiana.