[NdR 21 luglio 2023. Merita segnalare ai lettori che, ventiquattr’ore dopo la scrittura dell’articolo, puntuale e informato, di Bruno Tabacci, il ministro Fitto, che presiede la cabina di regia del governo cui è affidata l’implementazione del Pnrr, ha dato la notizia della decurtazione di oltre mezzo miliardo dalla terza rata. Dopo un balletto protrattosi per lunghe settimane, la verità è venuta a galla: confusione, pasticci, ritardi, malcelate tensioni con la Commissione Ue hanno puntualmente prodotto i loro effetti.]

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Mario Draghi intervenendo l’11 luglio scorso alla conferenza estiva del National Bureau of Economic Research di Cambridge ha sostenuto che l’Europa, di fronte alle sfide di questo tempo (dalla guerra alle emergenze climatiche e ambientali), “deve cogliere l’occasione per ridefinire la sua struttura fiscale e il suo processo decisionale rendendoli più adeguati alle sfide che ci troviamo davanti”.

Ecco perché la sfida posta dal NextGenerationEU con l’attuazione del PNRR in Italia è assolutamente centrale – sia per l’Italia che per l’Europa.
L’Italia con la Spagna è il principale beneficiario di questo piano che è finanziato con risorse mobilitate, per la prima volta, con debito comune europeo.
L’emergenza Covid ha convinto anche i cosiddetti “paesi frugali” a superare le riserve sul debito comune europeo, che per gli europeisti più appassionati è un passaggio obbligato per una maggiore integrazione a trazione federalista.

Ecco perché il tira e molla di questi mesi, dopo l’insediamento del governo Meloni avvenuto il 22 ottobre 2022, circa nove mesi orsono, sull’attuazione del PNRR è stato un elemento di grande confusione.

Si è tentato di scaricare le responsabilità sul ritardo accumulato sul precedente governo. Ma lo scambio delle consegne tra Draghi e Meloni era avvenuto con una puntualità apprezzata da tutti e con la riscossione puntuale delle prime due rate, persino con i complimenti della Commissione Europea.
Da mesi aspettiamo la definizione della terza rata messa in discussione dalla Commissione con il congelamento del relativo bonifico di 19 miliardi. Spagna e Grecia stanno facendo molto meglio di noi, e un po’ anche il Portogallo. Va ricordato che per ogni scadenza non rispettata si perdono circa 350 milioni di euro. Fin qui l’Italia ha ricevuto 67 miliardi: i primi 24,9 erogati ad agosto del 2021 in forma di prefinanziamento. La prima rata di 21 miliardi è arrivata ad aprile 2022: 10 di sovvenzione e 11 di prestiti. La seconda tranche, di pari importo, è stata incassata a dicembre 2022, a conferma dell’esecuzione degli obiettivi richiesti tra target e milestone, puntualmente raggiunti dal Governo Draghi.
La musica è cambiata con il nuovo Governo e la terza tranche è stata messa in discussione: vale 19 miliardi, di cui 10 a fondo perduto e 9 in prestiti. La Commissione sta ora passando in rassegna i 55 obiettivi, mentre in Italia si è dato sfoggio a inutili polemiche sull’uso integrale o meno dei fondi, sul cambiamento della governance, sulla confusione tra fondi PNRR e fondi di sviluppo e coesione (FSC).
Sulla quarta rata di 16 miliardi il Governo ha annunciato un cambiamento di strategia con la modifica di 10 obiettivi su 27, diversamente da quanto aveva fatto con la terza rata.

Infatti il Governo ha comunicato in anticipo, la volontà di modificare gli obiettivi, in modo da tentare di abbreviare i tempi delle verifiche successive. L’erogazione della rata di 16 miliardi di euro, se posticipata rispetto alle previsioni, potrebbe però incidere sulle esigenze di liquidità del Paese e rendere necessario il ricorso a nuovo debito. La soluzione tecnica ricercata, sebbene consenta di rendere più trasparente il confronto con le Istituzioni europee, richiede nella sostanza tempo per poter essere attuata, in quanto l’esame dei traguardi raggiunti seguirà necessariamente la fase di negoziazione dello spostamento dei target, appena intrapresa. La Commissione Europea avvierà la verifica delle richieste ricevute dal Governo Italiano solo nei prossimi giorni.
Nessuna novità anche sulla proposta di rimodulazione del PNRR per accogliere gli interventi del piano REPowerEU e per sostituire/modificare alcuni interventi non più attuabili. La proposta annunciata, in verità, per fine luglio, al momento sembra essere stata rinviata a fine agosto.
Il rallentamento dell’attuazione del PNRR si riflette anche sulla programmazione delle altre fonti finanziarie che alimentano la spesa in conto capitale del Paese. La ripartizione del Fondo di sviluppo e coesione 2021-2027, in attesa di poter finanziare alcuni interventi in uscita dal PNRR, non è stata ancora avviata e la verifica dell’avanzamento della programmazione FSC passata è, in sostanza, ferma. Anche in questo ambito, quindi, poche novità positive.

L’aver voluto cambiare la governance ha, poi, determinato difficoltà nei rapporti tra MEF e Palazzo Chigi. Non si può inventare una modalità di sostituzione del ruolo della Ragioneria generale dello Stato. Molti addetti al PNRR, almeno una ventina, del MEF, se ne sono andati, come se fosse prevalso un senso di sfiducia. E ovviamente la nuova struttura non c’è, perché quel decreto è andato in sonno per diversi mesi, non è neppure stato pienamente attuato. Il cambio della governance in realtà non aveva alcun senso.
Vi è poi la necessità di integrare la riscrittura parziale del PNRR con i piani di REPowerEU, nel quadro dell’attuazione dei progetti di autonomia energetica in Europa. Per ora il costo di questi progetti eccede la riserva a disposizione del REpowerEU e, quindi, andrebbe integrato con risorse del PNRR da prevedere con la revisione. Ma per fare queste cose serve trasparenza, non il contrario.
Anche perché la storia italiana dell’utilizzo dei fondi strutturali in Europa non è stata sempre esemplare e viene considerata da altri Paesi europei come un punto di debolezza del nostro Paese. E su questo punto nevralgico va, pur comunque, coinvolto il Parlamento. Anche sul fatto se il 31 dicembre 2026 fosse un termine tassativo o no si è generata incertezza.
Ricordo perfettamente quando nei mesi scorsi molti dicevano: “ma tanto poi ci sarà un rinvio”. E si è fatto credere che il PNRR potesse seguire l’esperienza degli FSC, sulla quale non abbiamo certo brillato, in passato e cioè che il sessennio previsto, ad esempio 2014-2020 o 2021-2027 potesse essere prorogato di altri 3 anni. Questa è l’ambiguità di immaginare che il PNRR potesse seguire la stessa logica. Ma non ci possono essere proroghe: i tempi e le modalità del PNRR sono tassativi e – come abbiamo constatato – con una tempistica semestrale. “Se non fai quello che hai promesso di fare, non ti giro l’assegno”: mi pare che questa ne sia la dimostrazione pratica. Il lungo esame sui 19 miliardi della terza rata dimostrano che non possiamo tornare ai fondi strutturali. Sarebbe bene che considerassimo l’attuazione del PNRR come un esame decisivo per il nostro Paese a cui dobbiamo dedicare tutte le migliori energie.

In conclusione il Governo Meloni in questi mesi ha fatto purtroppo un po’ di confusione, negando responsabilità sui ritardi con dichiarazioni fuorvianti e non corrette che contribuiscono a generare ulteriore confusione in un contesto in cui servirebbe il massimo di trasparenza.

 

 

Crediti foto:  European Commission, Attribution, via Wikimedia Commons

  • Bruno Tabacci

    Laureato in Economia e commercio presso l’università di Parma, è stato consulente finanziario, consigliere comunale in vari comuni della provincia di Mantova e poi consigliere regionale. Dal 1987 al 1989 è stato presidente della regione Lombardia. È stato consigliere d'amministrazione di Eni, Snam, Efibanca. Eletto alla Camera dei deputati nel 1992, 2001, 2006, 2008 e al Senato nel 2013. Alle elezioni politiche del 2018 e del 2022 è stato rieletto alla Camera. Dal 2021 al 2022 è stato Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega al coordinamento della politica economica del governo Draghi.