Io, che sono fieramente di sinistra, ho un’opinione di “destra” in tema di educazione sessuale nelle scuole. Al netto dell’autoironia: un punto di vista che mi pare di buon senso e che si riscontra più a destra che a sinistra. Con ordine.
I punti di convergenza
La discussione muove dal dramma del dilagare dei femminicidi, che crescono a fronte del calo complessivo degli omicidi. Un po’ tutti convergono nella convinzione che le leggi vi siano e siano adeguatamente severe. Caso raro: in un tempo nel quale il governo indulge al panpenalismo. Semmai il problema attiene alla strumentazione atta a prevenire i femminicidi, come, a modo suo, maldestramente, ha riconosciuto il ministro Nordio in parlamento, suggerendo alle donne di rifugiarsi in chiesa o in farmacia. Sic. Così pure, un po’ tutti convengono che, in tema di prevenzione, si debba agire alla radice. Cioè in sede educativa, sin dalla tenera età. Specie ma non solo sui maschi. E che la scuola se ne debba occupare, d’intesa con le famiglie, le quali, per mille ragioni e considerate realisticamente le più diverse situazioni, non ce la fanno da sole. Sin qui mi pare si concordi. Il punto decisivo e controverso verte sul come e a quali condizioni la scuola se ne debba occupare.
Quale contenuto e quale educazione?
Chiarisco subito: la scuola non può non farsene carico per la sua parte. Ciò che mi preoccupa è una certa faciloneria a fronte di una questione di straordinaria complessità; è la polarizzazione politica del confronto su una questione che non vi si presta. Mi spiego: gli stessi favorevoli parlano indifferentemente di educazione sessuale, di educazione sentimentale, di educazione affettiva, persino, più latamente, di educazione alle relazioni. Tanto che, taluni, la associano all’educazione civica. Materia già di suo piuttosto nebulosa e trascurata. Tale varietà lessicale è l’indizio che non si hanno le idee chiare al riguardo. Dunque, sarebbe necessaria una previa riflessione/discussione circa il contenuto proprio, lo statuto disciplinare di una “materia” tanto delicata. Già intuitivamente il termine “materia” suona limitativo. Dovendo educare e non solo informare; ed educare a disposizioni soggettive, ad atteggiamenti e comportamenti. Solo questo è chiaro: molte e diverse le competenze chiamate in causa già al fine di meglio focalizzare quello statuto disciplinare che, allo stato, insisto, mi sembra assai indefinito. E che, per inciso, attiene a uno dei profili problematici della nostra cultura e civiltà. Provoco: possiamo dirci sicuri che la stessa società adulta abbia un rapporto maturo con quella dimensione essenziale della nostra vita di relazione sessuale e non?
Il nodo degli insegnanti
A seguire, decisivo il nodo degli insegnanti e della loro formazione. Al netto della stima e della gratitudine per la classe dei nostri insegnanti, mal pagati, che già si accollano responsabilità esorbitanti spesso in surroga delle famiglie, spero di non mancare loro di rispetto se osservo che non possiamo dare per scontata la loro attitudine e preparazione (sì, preparazione) a quello specifico riguardo. Di più: penso che sia nella menzionata messa a punto dell’oggetto, sia nella concreta attività formativa il rapporto degli insegnanti con le famiglie sia assolutamente necessario. Tanto più con le famiglie meno attrezzate. Non solo perché quella dimensione è di natura sua trasversale e comune a famiglia e scuola, ma anche a motivo della titolarità primaria della famiglia in tema di educazione dei minori.
Recentemente sono incappato in una conversazione tv del noto “principe dei costituzionalisti” Gustavo Zagrebelsky – apprezzato a sinistra, e anche da me – che spiazzava il giornalista che lo interrogava con l’intento di sospingerlo verso una più risoluta opzione a sostegno della educazione sessuale a scuola. Mi ha impressionato la problematicità della sua risposta: pur essendo da una vita uomo di scuola, egli confessava onestamente che l’esigenza è indubbia, ma che la questione è talmente complessa che lui stesso non saprebbe come affrontarla e che in ogni caso le famiglie debbano essere coinvolte. Chapeau all’umiltà e all’onestà intellettuale…
Comunque, no agli ostruzionismi!
Per non passare come troppo “di destra”, chiudo con una precisazione onde evitare equivoci: pur avendo avanzato qualche caveat a fronte di chi, alla leggera, mostra di sottovalutare la complessità del “come”, dissento da chi mette in discussione il “se” la scuola, per la sua parte (appunto: quale esattamente?), se ne debba occupare e che comunque l’ossessione a destra per la teoria gender non può autorizzare l’inerzia o il mero ostruzionismo.
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