Su queste pagine, già Maria Cristina Bartolomei ha confidato un suo disagio su certi profili del contesto nel quale si è prodotto l’avvicendamento al soglio di Pietro. Aggiungo il mio. Per l’overdose mediatica, l’enfasi retorica, le letture di comodo, la superficialità, lo schematismo, la precipitazione.
Incasellare il nuovo papa
Tanti, troppi – chiedo scusa del bisticcio – a pontificare, a sentenziare sul papa, incasellandolo secondo i propri gusti. Come se già potessimo mettere a verbale un argomentato giudizio sul nuovo pontificato. Il quale, semmai, si è positivamente segnalato per gesti e parole decisamente essenziali e misurate. Ricavate dalla Scrittura, dalla Tradizione viva, dal Concilio Vaticano II, dal magistero della Chiesa. Siamo stati assediati da una legione di vaticanisti improvvisati e da un manipolo di specialisti ciarlieri, noti per il loro presenzialismo incontinente, abituali professionisti della rappresentazione di una Chiesa papocentrica; figure stabilmente presenti sui media per un mese intero, impegnate in una fastidiosa gara a mostrare di saperla lunga su scena e retroscena vaticani e persino a fare intendere di potere influire sulla elezione del nuovo papa. Dando così un contributo alla mondana omologazione di un evento che dovrebbe preservare una sua ben intesa sacralità. Un evento di rilievo, d’accordo, ma appunto perciò meritevole di un approccio sobrio, riflessivo, rispettoso della peculiarità della sua natura. Una sbornia, per inciso, che per un verso rischia di alimentare l’ostensione di una Chiesa in piena salute, riconosciuta e potente, per altro verso di oscurare gli elementi di crisi e di debolezza per ciò che più specificamente attiene alla sua missione evangelizzatrice in un mondo che vive “etsi Deus non daretur“. Come se la Chiesa fosse una potenza mondana e il pontefice fosse assimilabile ai leader politici da posizionare nella sua casella geopolitica.
La disputa sulla continuità
Prescindiamo dal fastidioso toto-papa, un gioco di società, cui, con voluttà, si sono dedicati sia i suddetti professionisti del papocentrismo, ovvero di una Chiesa che quasi coincide con il Vaticano; sia i campioni del laicismo militante. Più interessante ragionare sulla disputa circa la continuità-discontinuità con Francesco. Si sono formati due opposti partiti. Ci saremmo contentati dell’ovvio, ovvero che il nuovo papa non possa e non debba essere un clone del precedente, che pure – parlo per me – abbiamo amato, ma che neppure esso possa fare segnare una rottura. E invece gran parte degli esegeti de’ noantri si è esercitata, dividendosi al riguardo su opposti fronti. Chi ha fatto di Leone la copia di Francesco, sino a sostenere che questi, in vita, lo abbia designato suo successore; chi lo ha dipinto come l’opposto di Francesco, da archiviare come un vecchio sprovveduto e un po’ bizzoso; chi se lo è ascritto con argomenti debolissimi, in quanto troppo forti (finalmente Leone avrebbe fatto centro su Gesù Cristo). Come se Francesco considerasse periferico il cuore della Rivelazione. A dispetto di un paio di evidenze: che semmai Bergoglio si sia segnalato proprio per la radicalità e la “differenza evangelica” che sfidano il senso comune e il pensiero dominante; e che Leone abbia semmai esplicitato di porsi nel solco di Francesco, del Concilio, di una Chiesa estroversa e abbia altresì spiegato che il nome da lui scelto si rifà al papa che inaugurò la dottrina sociale cristiana. La quale, a sua volta, ha semmai due caratteristiche che contraddicono i due suddetti opposti “partiti”: essa (dottrina sociale) vanta una tradizione secolare (nasce ufficialmente con la Rerum Novarum nel 1891), ma mai come oggi, anche nei suoi contenuti più consolidati, sfida il “disordine costituito” del mondo e il pensiero dei “grandi” che lo dominano il pianeta con logiche di potenza. Su punti cruciali: pace-guerra, migrazioni, paradigma economico, ecologia integrale. Di nuovo, qui, si manifesta un’altra polarizzazione fallace cui pure ha dato voce qualche eminente personalità cardinalizia: alludo a chi oppone il papa dei e per i cattolici (come se la missione non fosse nel e per la salvezza del mondo), al papa per “quelli di fuori”. Quasi fossero universi separati ciascuno asserragliato nel proprio recinto.
Un giudizio perfido dall’establishment
Ci sta che i media tradizionalisti e di destra si mostrino apertamente ostili o antipatizzanti per Francesco, un innovatore, un riformatore. Pastore coraggiosamente fedele al Vangelo, con ciò che ne consegue sul piano etico-politico. Così pure ci sta che circoli culturali e settori di opinione dichiaratamente laicisti coltivino a viso aperto diffidenza e pregiudizio verso gli uomini e l’istituzione stessa della Chiesa. Più sottile e perfido perché dissimulato è l’anticlericalismo di certi “corrieristi” (intendo editorialisti del “Corriere della sera”) espressione dell’establishment. Che quegli ambienti non abbiano mai simpatizzato per Francesco non sorprende. Ora, dopo la sua scomparsa, costoro possono dare libero sfogo al loro vero sentimento ostile verso il vecchio papa. Per celebrare Leone dipinto come opposto a Francesco, da lui “differente”, “grandissimo papa”, per preparazione e raffinatezza, non mediatico e controverso come il predecessore (cfr. Paolo Mieli). Altri opinionisti della stessa testata, non da oggi ma da gran tempo, specie negli anni de “i due papi” (Ratzinger e Bergoglio), si sono applicati a seminare zizzania tra i due, attingendo a fonti per lo più anonime ma ostili a Francesco. Da ultimo realizzando una sgradevole intervista a padre Georg, l’ex segretario di Benedetto XVI, che sfogava il suo risentimento contro Francesco bollato come il papa “dell’arbitrio”. Cui, ripeto, nell’auspicio di costoro, opporre un papa che finalmente metterà le cose a posto. Sono convinto che Leone darà un dispiacere ai terminali di quegli ovattati salotti di cui conosciamo interessi attuali e storiche ascendenze.
Crediti foto
Foto di Leone XIV: Edgar Beltrán / The Pillar, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
Foto di Francesco: Zebra48bo, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons