Il presidente argentino Javier Milei è al secondo anno di un mandato che va dal dicembre del 2023 sino alla fine del 2027. È dunque venuto il momento di un primo importante bilancio del suo governo, visto che con ogni probabilità il cinquantenne economista, professore, ex deputato, leader della coalizione politica “La Libertad Avanza” (la libertà avanza), proverà a farsi rieleggere.

Conservatorismo sociale e liberismo economico

Sotto il profilo economico, Milei ha impostato la campagna elettorale e i primi due anni di governo presentandosi come un “liberal-libertario”, difensore del libero mercato, aderente alla tradizione dell´anarco-capitalismo, aggiungendo di essere un seguace della scuola austriaca e di von Hayek.  Sotto il profilo politico-sociale, si è presentato come un ultraconservatore nei costumi e nella difesa dei valori tradizionali della patria e della famiglia.

La sua vittoria nel 2023, al secondo turno, è stata netta, benché il rivale Sergio Massa, esponente dell´Unión por la Patria (Unione per la Patria), ministro dell´economia del governo uscente, di impostazione peronista e progressista, avesse accumulato un considerevole vantaggio al primo turno. La fiducia di molti analisti nella vittoria di Massa, corroborata anche dalla convinzione che gli argentini avevano appreso la lezione dall’esperienza tragica di Bolsonaro in Brasile, è stata smentita dal risultato elettorale.. E a ben vedere le possibilità di vittoria di Milei erano molto alte.

Alcuni fattori possono essere individuati. In primo luogo, venne confermato nella circostanza un comportamento elettorale “classico”. L’elettorato non ha buona memoria sul “lungo periodo”, ma sul “breve periodo” non “perdona” coloro che ritiene i responsabili della crisi. Nel caso specifico, al governo del presidente Alberto Fernandez e del suo ministro Massa furono attribuite, e non poteva essere altrimenti, le colpe del dissesto argentino (inflazione alle stelle, svalutazione del peso, squilibrio fiscale e finanziario). In secondo luogo, viene confermata una tendenza politico-elettorale globale. Nei Paesi in cui i governi progressisti, di centro-sinistra, non hanno governato bene né hanno saputo dare in sede di campagna elettorale risposte efficaci ai temi economico-politici centrali del lavoro, del sociale, e alle questioni energetiche, le destre hanno vinto a valanga, come dimostra la vittoria di Bolsonaro in Brasile nel 2018, della coalizione di destra in Italia nel 2022, di Milei in Argentina, di Trump negli Usa, solo per ricordare alcuni dei casi più significativi.  Oltretutto, il caso argentino conferma che le destre riescono a mettere da parte le loro diversità ideologiche per coalizzarsi pragmaticamente contro il “nemico” comune (la sinistra, i comunisti, i peronisti). È un fattore decisivo per comprendere la vittoria di Milei, il quale aveva fatto una campagna abbastanza dilettantistica nel primo turno, ma nel secondo turno ebbe l’appoggio dell’ex presidente Macri, imprenditore e alfiere delle politiche di stabilità di stampo neoliberale. D’altronde, fa parte del  codice genetico del liberalismo (soprattutto nella sua corrente neoliberale) allearsi con il populismo e l’autoritarismo delle destre estreme. Basti pensare al liberalismo italiano di fronte al fascismo, o al neoliberalismo di fronte alla dittature militari in Sud America.

La difficoltà di attuare il programma

Tuttavia, come ci insegna la teoria della democrazia di Schumpeter, anche nel caso di Milei le dichiarazioni roboanti, condite dai toni antipolitici e populisti (cancellare lo Stato, dollarizzazione etc.), quando non  si traducono in azioni di governo, in linea con i tempi e i processi di mediazione istituzionale della democrazia, rimangono vuoti slogan elettorali.

L´Argentina ereditata da Milei è un paese sull’orlo dell’abisso da decenni. Il primo anno di governo (2024) ha confermato tutte le difficoltà individuate dagli analisti politici, a cominciare dal grande dilemma del presidenzialismo latinoamericano. Infatti, la coalizione che sostiene Milei, nonostante la larga vittoria, è minoritaria alla Camera e al Senato. Tocca dunque al presidente fare le necessarie articolazioni, coinvolgendo nel caso anche settori del peronismo, ancora forte nel governo delle province, per garantire la governabilità.

Infatti, il progetto di Milei ha conosciuto subito una sonora sconfitta nell’intento di approvare un imponente pacchetto di riforme neoliberali, parte integrante del Decreto di necessità e urgenza (Dnu), pensato con l’obiettivo di rafforzare il potere esecutivo e ridurre al minimo lo Stato. La legge “omnibus” (formalmente, “Leis de Bases”), contenente  664 riforme, pur approvata nelle sue linee generali, è stata ridotta a 382 articoli in votazione al Congresso. Al ridimensionamento, ha fatto seguito poi la sconfitta di alcuni dei punti cardine del progetto riformatore ultraliberale – la privatizzazione delle aziende pubbliche e la ristrutturazione del debito –, il quale è tornato poi in discussione in commissione parlamentare, su richiesta di Oscar Zago, deputato del partito di Milei. È la prima volta che accade nella storia argentina che un testo pre-approvato in sessione plenaria torni a una istanza anteriore.

Nel complesso le manovre tese a ridurre la spesa pubblica, svalorizzare il peso argentino e aggiustare alcuni prezzi di mercato hanno prodotto risultati disastrosi. Nel primo semestre del 2024 i dati ci dicono che l’economia era in netta recessione (-5,1 %) rispetto al secondo trimestre 2023, mentre l’inflazione era salita oltre il 200%. La risposta del governo è sempre quella delle riforme neoliberali – dal fisco al lavoro, dalla previdenza sociale all’educazione –, che prevede il raggiungimento di mete economiche (in particolare la crescita del Pil) nel biennio 2025-2026.  E ha inoltre annunciato l´apertura del mercato dell’aviazione argentina agli investimenti stranieri, scatenando la reazione dei sindacati, i quali temono una ulteriore riduzione dei posti di lavoro nella compagnia nazionale Aerolíneas Argentinas. Sono i soliti proclami, talvolta bizzarri, come la recente richiesta di “confiscare i milioni di  dollari conservati sotto al letto dagli argentini” per rilanciare l´economia nel 2025. La realtà è ben altra. L’indice del consumo pro capite di carne bovina – l’orgoglio argentino – è il più basso dal 1920. Oltre la metà dei 45 milioni di abitanti vive in condizioni di povertà.

Un paese internazionalmente isolato

Mentre si misurava con le difficoltà interne e lo scontro politico sociale in atto, Milei ha alimentato sin dall’insediamento alla presidenza l’isolamento internazionale dell’Argentina rispetto ai suoi tradizionali partner sudamericani (il Brasile in primo luogo). Prova ne è che l’Argentina non ha partecipato, nella disapprovazione generale, al summit del Mercosur in Paraguay. A tal proposito, il presidente brasiliano Lula, accusato da Milei durante la campagna elettorale del 2022 di essere “corrotto”, ha dichiarato che si è trattato di una grave ingenuità per un paese fondatore del Mercosur, non partecipare a una riunione così importante in una congiuntura così delicata per l´Argentina e per l´America del Sud. Per non parlare poi dei rapporti tesi con Mujica, ex presidente dell’Uruguay recentemente scomparso, che lo ha paragonato a Hitler, o alle recenti commemorazioni in occasione dell’anniversario della “scoperta dell´America”, 12 ottobre 1492 – nel contesto del primo viaggio di Cristoforo Colombo sulla rotta atlantica –, al centro di un’accesa polemica tra Milei e Claudia Sheinbaum, eletta di recente alla presidenza del Messico.

Da un lato, Milei ha riproposto la tesi classica, secondo la quale la colonizzazione  europea dell´America Latina ha introdotto elementi “civilizzatori”. Una volta sterilizzato il colonialismo e l’imperialismo dai suoi tratti più apertamente genocidari, l’argomento, non di certo una novità, è organico alla sua visione ideologico-politica, incentrata sul progresso inevitabile, necessario e universalista delle libertà moderne, soprattutto di quelle economiche. Si tratta di una visione neoliberale adattata al contesto latinoamericano. Oltretutto, nel caso specifico dell´Argentina, intende recuperare il mito fondante di una certa “purezza”, in virtù di presunti profondi legami di razza e di cultura con la nobiltà spagnola, delle élite e della borghesia nazionale, le più  “bianche” e “europee”  tra quelle latinoamericane – secondo una lettura consolidata –, e come tali anche le più sensibili a riprodurre nel contesto nazionale i processi di modernità-modernizzazione a carattere industrialista. Vi è un ovvio richiamo all´industrializzazione dell’Argentina della prima metà del Novecento, quella che si avvicina, se non supera addirittura, anche alcuni paesi europei.  Dall´altro lato, non si è fatta attendere la risposta di Claudia Sheinbaum, leader politica emergente della nuova sinistra latino-americana, la quale pone l´accento sul carattere genocida del colonialismo europeo. “Prima dell’arrivo dei «civilizzatori» europei – sono le sue parole -, vi erano grandi civiltà qui, gli aztechi per esempio. E il Messico è grande grazie ai suoi popoli originari”. 

A completare il quadro, i rapporti con la Spagna si sono logorati da tempo, dopo lo scontro diplomatico avente come oggetto le pesanti accuse di corruzione mosse da Milei al Partito socialista nell’ambito della campagna di opposizione di Vox, il partito di estrema destra, al governo del premier spagnolo in carica Sanchez.

Di fronte a un Paese vicino al “default tecnico” economico-finanziario e politico-sociale, Milei ha deciso di  smussare i toni, organizzando dei viaggi tesi a far uscire l’Argentina dall’isolamento internazionale. Ha incontrato papa Francesco in Vaticano, in occasione della canonizzazione della prima santa argentina María Antonia de Paz y Figueroa, conosciuta anche come “Mama Antula” (1730-1799). In realtà, si è trattato dell’occasione per riavvicinarsi a Francesco, dopo le pesanti accuse di “interferenza politica” mossegli in occasione della campagna elettorale. L´incontro privato tra i due è servito per discutere la drammatica condizione economico-finanziaria dell´Argentina, devastata dall’inflazione al 200%.

Milei si è recato successivamente in Israele e in Italia, dove ha tuttavia riproposto il solito armamentario ideologico dell´antipolitica, scagliandosi, in virtù di una supposta non appartenenza alla “politica di professione”, sull’onda di Trump e Bolsonaro, contro la “casta” dei politici corrotti e inefficienti, i quali avrebbero dovuto assumersi le loro responsabilità davanti al “popolo sovrano”, che lo ha democraticamente eletto.  Si è trattato di un chiaro segnale di Milei ai suoi alleati dell’estrema destra sudamericana. Ha infatti partecipato alla conferenza dell´Azione Politica Conservatrice nel Sud del Brasile, al fianco dei principali esponenti della destra brasiliana nonché di settori dell’imprenditoria locale, a ennesima riprova di quel connubio che caratterizza l’ascesa delle nuove destre a livello globale: conservatrici e autoritarie nelle politiche sociali, neoliberali nella visione delle relazioni stato-mercato.  

Le polemiche di Davos

Il 2025 è in linea con il 2024, nonostante le agenzie di rating finanziario stiano apprezzando positivamente le riforme macroeconomiche di stampo neoliberale. Il governo è continuamente contestato. A febbraio, circa un milione di persone hanno manifestato nelle piazze di Buenos Aires in occasione della Marcia dell’Orgoglio antifascista e antirazzista.
L´evento, organizzato dai movimenti popolari, è una risposta al discorso carico di incitamento alla discriminazione e all’odio razziale e di genere, tenuto dal presidente al World Economic Forum, a Davos, in Svizzera, a gennaio. In quella circostanza, Milei ha attaccato alcuni dei principali valori progressisti – il femminismo, l’ambientalismo e l’identità di genere –, accusando le persone trans di “danneggiare irreversibilmente i bambini sani attraverso trattamenti ormonali e mutilazioni”. Insomma, un campionario dei peggiori pregiudizi verso la comunità Lgbtqia+.

Nell´occasione, Milei, forte dell’appoggio ricevuto dai leader dell’estrema destra globale (Donald Trump, Benjamin Netanyahu, Viktor Orbán e Giorgia Meloni), ha anche approfittato per difendere le dure politiche di austerità economica del suo governo. Se da una parte sono diminuiti il deficit fiscale e l’inflazione (almeno quella nominale), dall’altra parte, è il dato tragico, sono aumentate la miseria, la povertà e la diseguaglianza. È il costo sociale da pagare al pacchetto di misure estreme varato da colui che nel solco dell´anarcoliberismo ama rappresentarsi come il “topolino” che rode lo Stato dal suo interno. È un tratto dominante dei principali leader di destra dagli anni Novanta del secolo scorso sino ai giorni nostri. Pensiamo a Berlusconi o a Trump, i quali si presentano come gli alfieri della libertà in tutte le sue espressioni e dello “Stato minimo”, salvo poi, una volta al potere, usare lo Stato per risolvere i conflitti di interessi o piazzare la famiglia in prestigiosi incarichi politici, come è accaduto con Bolsonaro in Brasile.

In tale contesto, gli investimenti infrastrutturali così come le politiche pubbliche nei settori dell’educazione, sanità, ricerca sono pressoché nulli. E i “giovani cervelli” argentini sono in fuga verso i paesi confinanti (Brasile, Uruguay etc.). A peggiorare ulteriormente la situazione, Milei, sulla scia di Trump, ha deciso l’uscita dell’Argentina dalla Organizzazione mondiale della sanità.

In assenza di un progetto di sviluppo nazionale, il quale passa necessariamente per il valore aggiunto dato da grandi investimenti in scienza e tecnologia, siamo di fronte alla classica politica  di subalternità, chiaramente orientata alla produzione primaria, con l’obiettivo di mantenere l´Argentina nella condizione di paese “dipendente-associato” all’attuale ciclo capitalista. Il rischio è un ulteriore aumento delle disuguaglianze e la scomparsa della classe media. Quest´ultimo, in particolare, è un problema strutturale dei paesi in via di sviluppo. In assenza di una classe media, diminuisce il potere di consumo interno, esponendo ulteriormente il paese alle speculazioni dei mercati finanziari e alla dipendenza dai paesi a capitalismo avanzato. Si tratta della tirannide dei mercati, i quali nell’euforia del momento valutano positivamente il Milei o il Bolsonaro di turno, salvo poi scaricarli quando percepiscono sul medio periodo che gli investimenti in politiche pubbliche e in politiche salariali sarebbero stati più adeguati a garantire un livello dei consumi accettabile. Insomma, non promette nulla di buono il governo Milei, tra politiche economiche tese ad aumentare la diseguaglianza e discorso di odio, sostenuto dal suo partito, nei confronti delle minoranze sessuali e delle politiche di parità di genere.

(Foto: www.wikipedia.org)

  • Docente di Scienze Politiche, Università Federale del Cearà, Fortaleza (Brasile)