Tra buchi informativi e piaggeria governativa

Ogni tanto riaffiora anche qualche polemica attorno all’informazione diffusa dai canali del servizio pubblico. È accaduto di recente per il clamoroso errore (?) del direttore di Rainews che ha diffuso la notizia di un’assoluzione del sottosegretario alla giustizia mentre i giudici lo condannavano. A seguire è arrivata una giustificazione del tipo che un vecchio modo di dire chiama “toppe peggiori del buco”. E proprio a causa di quello che nel gergo giornalistico si definisce un buco era già finita sotto processo (mediatico si intende) l’all news del servizio pubblico. Era accaduto nel luglio scorso quando di fronte al risultato inatteso del primo turno delle legislative francesi Rainews si era attardata nella trattazione di temi di minore attualità.

Più di rado le polemiche investono i telegiornali che pure non brillano per completezza, dell’informazione, né per porsi alla giusta distanza rispetto alle posizioni della maggioranza di governo, per non parlare della modestia della messa in scena (si badi, il temine non ha nessuna accezione spregiativa, ogni telegiornale prevede una messa in scena). Sembra che rispetto a questa situazione sia subentrata una sorta di rassegnazione: “così fan tutti” si sussurra, e non è del tutto vero. L’appiattimento della linea dei telegiornali sulle posizioni del governo in carica, per certi versi inevitabile, può essere – ed è stato – più o meno smaccato, più o meno imbarazzante. Per suscitare qualche reazione un telegiornale deve combinarla davvero grossa, per esempio  aprire uno spazio “dopotg”, come il dopofestival, per realizzare un’intervista in cui un ministro si spiega, si pente, si duole, si giustifica per i pasticci che ha combinato (salvo poi dimettersi di lì a qualche giorno). Ma al di fuori di episodi così clamorosi, la deriva è senza scosse. 

Il sospetto di un’indifferenza al tema informazione

Può sorgere a questo punto un sospetto inquietante. Sorge per esempio guardando certi dati di ascolto che, come si sa, non sono tutto ma qualcosa sempre ci dicono. Un esempio. È lunedì 3 marzo. Come ogni lunedì in seconda serata sulla prima rete pubblica va in onda un programma di approfondimento giornalistico condotto da una figura importante dell’informazione Rai, Francesco Giorgino con il suo XXI secolo. Si tratta di un programma di inchieste su temi di varia natura ma che si apre sempre con un’intervista dello stesso Giorgino a un esponente politico, quasi sempre un ministro di questo governo di destra che illustra progetti e risultati molto positivi del suo dicastero. Non è previsto contraddittorio. In un’occasione pubblica a cui ero presente, lo stesso Giorgino, di fronte a questa obiezione, ha spiegato che il contraddittorio tanto spesso richiesto non serve a nulla se non a confondere e alla fine azzerare le informazioni. E su questo personalmente sono perfettamente d’accordo. I modi per rendere l’informazione più corretta sono altri e si potrebbero cercare.

Ma torniamo a quel lunedì. Sono giorni piuttosto caldi per la vita politica del mondo intero, i giorni culminati con l’incontro fra Trump e Zelensky che ha scandalizzato e preoccupato tutti.  In questo contesto non è indifferente sapere  quale posizione prenderà il governo italiano che, com’è noto, sul problema si trova in una situazione un po’ ambigua. L’intervistata di turno è nientemeno che la (o il) Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni che, dunque, è chiamata a rispondere su questioni non banali. L’intervista si svolge in un clima prevedibile, niente di scandaloso per questi tempi: un po’ ossequiosa e un po’ piaciona, un po’ formale e un po’ salottiera. 

Quello che colpisce è il dato sull’ascolto. Di fronte a un’occasione così importante, in un momento carico di tensioni, a seguirla sono 1 milione 250 mila di italiani.  Si dirà che non sono pochi, ormai è quasi mezzanotte di un giorno feriale e molti scelgono giustamente di andare a dormire. Ma c’è anche un rovescio della medaglia: il contesto. Non ci troviamo nella consueta routine, quello di cui si parla è la scelta tra una pace o  il proseguimento di una guerra, la scelta di un  alleato o di un altro, la scelta di dove collocare una montagna di denaro.  Di fronte a questa realtà 1 milione e passa di italiani  scelgono di ascoltare quello che dirà  Giorgia Meloni ma  ben 2 milioni  e mezzo se ne vanno, probabilmente a dormire. Sono quelli che hanno seguito la fiction in onda precedentemente su Rai 1 (un bel traino per il programma seguente), ma che ai temi del programma dì informazione non sono interessati; né coloro che si sentono in sintonia con Giorgia Meloni né quelli che la avversano. Il sospetto di cui si diceva sopra è serio. Forse sull’informazione del servizio pubblico sta calando una coltre di sfiducia, di indifferenza. Chi approva la nuova linea politica si è fidelizzato ad altre testate, che usano toni e argomenti più aggressivi, chi non l’approva non segue più come accadeva un tempo le reti pubbliche per verificarne e denunciarne gli abusi, preferisce rivolgersi altrove.

Un panorama generalizzato

Tutti i programmi di informazione del nuovo corso, non solo raccolgono audience basse, ma non suscitano più alcuna reazione, anche quando vedono impegnati professionisti di fama e alla ricerca di qualcosa di interessante. Chiuso per disperazione il programma di Nunzia De Girolamo, arranca Giletti, arranca un bravo giornalista come Sottile, disastroso l’arrivo di Monteleone. Funziona Report, ma quella è un’altra storia. 

La cosa è tanto più grave se la si inserisce nel contesto generale del servizio pubblico, che ha visto in questa stagione l’offerta della Rai imporsi in altri campi per successo di pubblico e riconoscimento della qualità. Non solo il festival di Sanremo, ma anche l’esito molto felice dell’intrattenimento di Ballando con le stelle, e soprattutto della fiction, di serie come Rocco Schiavone, Imma Tataranni, lo stesso Conte di Montecristo, che hanno dato al servizio pubblico quel ruolo di prestigio in un settore che si riteneva ormai appannaggio delle piattaforme.

Che di fronte a questi successi a soffrire, in un servizio pubblico, sia proprio il comparto dell’informazione è un fatto pericoloso e preoccupante, a cui servirebbe porre rimedio, magari lasciando da parte le chiacchiere sul cambio di egemonia culturale e dedicandosi a un’osservazione più approfondita e a progetti di maggior respiro.

Crediti foto: Mariano Laurenti, Public domain, via Wikimedia Commons

  • Docente di Giornalismo radiotelevisivo all’Università cattolica di Milano.