1. Un intervento per ridare potere alla politica, non una giustizia più efficiente
Il D.d.l. costituzionale “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare” non è una riforma della giustizia. Difatti interviene sulla struttura e sullo status dei magistrati e sul Consiglio Superiore della magistratura. Viene falsamente rappresentato come una complessiva riforma della giustizia, ma non si occupa dei due temi oggi più sentiti da parte dei cittadini, ovvero i tempi della giustizia e l’effettività dei diritti (ovvero la sua qualità). È un intervento che in realtà mira ad un preteso riequilibrio dei poteri indebolendo la magistratura per dare più potere alla politica. Una sorta di resa dei conti che, a distanza di trent’anni, vuole far pagare alla magistratura tutta la vicenda di Mani Pulite, evitando un suo possibile ripetersi. Dimenticando che quanto accaduto è stato il frutto di comportamenti gravemente illegali e della debolezza della politica e non di una pretesa onnipotenza dei magistrati. Un problema di potere, quindi. La logica è quella del divide et impera, e non di efficienza. Ancora una volta invece di confrontarsi con i problemi concreti che anche la giustizia vive quotidianamente ed affrontarli in concreto con pazienza, umiltà e conoscenza della realtà degli uffici giudiziari e dell’avvocatura per avanzare interventi normativi, ma soprattutto di risorse ed organizzativi, si risolve tutto con l’illusione di una pretesa grande riforma che si alimenta della valenza propagandistica che la parola riforma possiede.
2. Cosa prevede il D.d.l. costituzionale
Il D.d.l. costituzionale prevede la radicale separazione tra la magistratura giudicante e quella requirente (i Pubblici Ministeri, Pm) e la sostituzione dell’attuale unico Csm con tre diversi organi del tutto separati (un Csm per i giudicanti, uno per i requirenti ed un’Alta Corte di giustizia per i procedimenti disciplinari) i cui componenti sarebbero designati non più per elezione e nomina, ma tramite sorteggio.
3. La separazione delle carriere e le sue conseguenze
La separazione delle carriere porterebbe a diversi concorsi per l’accesso alle due magistrature e a due diversi percorsi professionali senza alcuna possibilità di passaggio dall’uno all’altro. Già oggi i passaggi dal ruolo giudicante a quello di Pm e viceversa sono limitati dalla legge ad un solo mutamento nell’arco della propria vita lavorativa nei primi 9 anni di professione. Dai dati del Csm risulta che i passaggi sono pochissimi, sempre meno dell’uno per cento all’anno. Ma separare le due strade non è semplicemente inutile, come qualcuno sostiene; è invece dannoso perché si perde la formazione comune, l’apprendere l’ottica che hanno ruoli diversi dal proprio, la consapevolezza di essere parte di un unico servizio in cui il proprio ruolo ed il proprio ufficio sono solo segmenti. Ci viene raccontato, spesso in buonissima fede, che con la separazione delle carriere tra giudicanti e requirenti il giudice verrebbe liberato da ogni legame con il Pm e ciò lo renderebbe più libero e indipendente di decidere. Ciò come se oggi i giudici fossero condizionati dall’operato dei Pm. I pochi dati esistenti dimostrano come la vulgata di un giudice appiattito sulle richieste del Pm. sia del tutto falsa: in più del 40% dei casi le decisioni giudiziarie non confermano l’ipotesi formulata dalla pubblica accusa con l’esercizio dell’azione penale. “In altre parole, l’alto tasso percentuale di assoluzioni pronunciate a fronte di richieste di condanna provenienti dal pubblico ministero sembra smentire l’assunto per cui l’unicità della carriera ha un effetto di condizionamento del libero convincimento del giudice” (Parere Csm, 8 gennaio 2025). I dati sopra riportati evidenziano come non vi sia alcuna interferenza data dal rapporto di colleganza. Rapporto di colleganza che, se venisse ritenuto rilevante, dovrebbe portare a separare le carriere dei magistrati di appello e poi di quelli di cassazione, tutti egualmente colleghi che esaminano e spesso riformano o annullano sentenze e provvedimenti di loro colleghi dei gradi inferiori.
La realtà è purtroppo diversa: separando le carriere esalteremmo una deriva di cui abbiamo già qualche sintomo con un’enfatizzazione del momento delle indagini preliminari e delle ipotesi accusatorie con una forte autoreferenzialità. Avremmo un giudice più debole a fronte di un Pm. che incarnerà la volontà punitiva di una società sempre più incattivita. Non dobbiamo illuderci: il rischio è di produrre un Pm superpoliziotto, molto più forte del giudice, soggetto ai richiami dell’allarme sociale e alle pressioni dell’opinione pubblica, attento più al risultato da perseguire che alle garanzie. Se a questo uniamo il perverso connubio che si può facilmente creare tra prospettazioni accusatorie, mass media e social arriveremmo ad un Pm potentissimo e sostanzialmente incontrollabile. Nessuno oggi preconizza un Pm sottoposto all’esecutivo, ma se si imbocca questa strada è facile prevedere che nel giro di pochi anni questo passaggio sarebbe auspicato da molti, in modo da non avere un organo sostanzialmente incontrollabile.
4. I tre organi e la designazione per sorteggio: un precedente pericoloso
La creazione di tre organi di rilevanza costituzionale porterebbe alla creazione di organi comunque debolissimi e che perderanno ogni importanza e rilievo. Difatti da un lato si ha lo scorporo di competenze, e dall’altro la scelta dei componenti tramite sorteggio che mortifica sia i magistrati che il parlamento. A poco conta che mentre per i magistrati il sorteggio sia puro, ovvero tra tutti, per i professori e avvocati il sorteggio sia temperato, ovvero all’interno di un elenco che il parlamento dovrebbe stilare entro sei mesi dal suo insediamento. L’idea sarebbe in tal modo di contrastare il correntismo e le sue degenerazioni, emerse con chiarezza con il caso Palamara. La realtà è che in tal modo si negano gli stessi principi di rappresentanza e di libertà di associarsi e di esprimersi che porta ad un inevitabile e benefico pluralismo tipico di ogni categoria. Non ci si rende conto in tal modo di creare un pericolosissimo precedente che potrà in futuro essere esteso ad altre istituzioni e di ridurre i due Csm ad organi privi di rappresentanza e di funzionalità. L’elezione è difatti un meccanismo di selezione diretto a scegliere le persone reputate più idonee e capaci a svolgere un ruolo istituzionale che per il Csm è solo limitatamente politico e molto più ampiamente gestionale. Le decisioni sensibili politicamente sono poche (quali alcune nomine e qualche parere su disegni di legge), mentre vi è un gravosissimo lavoro di organizzazione di centinaia di uffici e di gestione del personale, ovvero di circa 15.000 persone tra magistrati onorari e togati che comporta centinaia di decisioni ogni settimana. Ci vogliono competenza, esperienza e attitudini e sappiamo che non tutti hanno le stesse capacità. Un Csm diviso e privo di rappresentanza, credibilità e competenza per la sua nomina casuale, sarà del tutto irrilevante. Non solo, ma produrre due organi separati, senza alcun legame tra di loro, renderà impossibile creare quell’interoperatività tra i diversi uffici, giudicanti e requirenti, di primo e secondo grado, fondamentale per rendere un buon servizio.
5. L’Alta Corte di Giustizia
L’idea di creare un’Alta Corte di giustizia sarebbe invece una risposta al preteso corporativismo degli attuali organi disciplinari: la sezione disciplinare del Csm e le Sezioni unite della Cassazione. Un luogo comune che non trova rispondenza nella realtà: in un anno oggi vengono esercitate tra le 100 e le 150 azioni disciplinari (in larghissima maggioranza da parte della Procura generale della Cassazione e non da parte del ministro che ne avrebbe facoltà) e abbiamo tra le 40 e le 50 tra condanne e abbandono della magistratura per evitare sanzioni. La nuova Alta Corte sarebbe composta da 15 giudici di cui 3 nominati dal Presidente della Repubblica, 3 sorteggiati tra un elenco di professori e universitari stilato dal parlamento entro sei mesi dall’insediamento, e 6 giudicanti e 3 requirenti estratti a sorte tra chi ha almeno venti anni di anzianità giudiziaria e svolga o abbia svolto funzioni di legittimità. In questo modo viene accentuata la lontananza tra i componenti della Corte e i normali giudici e Pm di merito. Il giudizio disciplinare è strutturato come un giudizio tra pari che devono conoscere e valutare la violazione delle regole dell’arte. La distanza e la difficoltà di comprendere realtà e prassi delle diverse professioni di magistrato saranno al massimo livello e ciò porterà non un maggiore rigore, ma una maggiore casualità, ovviamente estremamente pericolosa anche per il suo messaggio di incertezza.
6. Una prospettiva diversa
Sarebbe necessaria una prospettiva radicalmente diversa: quella di unire e non di separare. A partire dalla formazione che dovrebbe essere comune e unitaria per tutti coloro che aspirano a professioni giuridiche per creare un’osmosi e una cultura comune. E poi realizzare un forte coordinamento tra procure e tribunali, con l’interlocuzione dell’avvocatura, per far sì che i progetti organizzativi di procure e tribunali, non si muovano su piani distinti, ma siano un unico progetto coordinato e sinergico che risponda alle necessità dei territori.
(Foto di Tingey Injury Law Firm su Unsplash)