Non fa un buon servizio a se stesso Massimo Cacciari quando partecipa ai talk show televisivi. Ma nei suoi scritti, anche quelli legati all’attualità, egli si segnala come una voce lucida e acuta decisamente fuori dal coro.  Come nel caso di un suo articolo su «La Stampa», titolato “La logica delle guerre uccide lo Stato di diritto”. In esso ci si interroga – cosa rara – circa le cause profonde, di natura storica e ideologica, della diffusa resa alla convinzione secondo la quale la guerra sarebbe un destino ineluttabile. In particolare, con riguardo al conflitto mediorientale, ci si arrende all’idea che non vi sarebbero rimedi o alternative alla guerra.  Appunto una resa senza resistenza (per parafrasare Bonhoeffer) che, cito, “atterrisce”. Un fatalismo largamente dominante tra politologi e opinionisti, che deresponsabilizza le élite culturali e politiche. Esso si alimenta alla smemoratezza di come invece, per secoli, i tre monoteismi figli del comune padre Abramo abbiano saputo convivere. Di come, più in genere, non sia inesorabile e fatale concepire e praticare le identità – culture, civiltà, religioni – come esclusive, escludenti e tra loro irriducibilmente ostili, il cui esito è lo scontro di civiltà. In nome di un malinteso realismo che esorcizza gli esiti virtualmente catastrofici che ne possono scaturire. Dando mostra di non avere imparato la lezione che ci viene dalle tragedie del passato e di rifiutarci di considerare l’attualità delle concretissime minacce del presente che non vogliamo prendere sul serio. Una cecità e un’amnesia che misconoscono il positivo sviluppo e il progressivo affinamento degli strumenti politici e degli istituti del diritto che, lungo il tempo, l’umanità e, segnatamente, l’occidente si sono dati al fine di prevenire e dirimere i conflitti, per propiziare semmai accordi, compromessi, mediazioni. Sconcerta e avvilisce che l’assuefazione alla ineluttabilità della guerra distolga l’intelligenza collettiva, e in ispecie quella dei governanti, dall’applicarsi alle vie e ai mezzi suscettibili di produrre soluzioni politico-negoziali e la sospinga ad esercitarsi pressocché esclusivamente nell’affinare e potenziare a dismisura gli strumenti – destinando ad essi immense risorse – atti a condurre le guerre, ad annientare il nemico. Un’abdicazione all’esercizio della ragione, la rinuncia a far prevalere le ragioni della politica e del diritto su quelle della forza bruta. Una sorta di regressione alla barbarie ancorché rivestita di sofisticatissimi mezzi tecnologici. Il pensiero corre alle recenti, clamorose azioni del Mossad israeliano mirate all’eliminazione dei capi di Hezbollah, precedute dalla manomissione di migliaia di ricetrasmittenti.

Cacciari fa cenno altresì al nesso oggettivo, per lo più ignorato, tra la menzionata deriva bellicista e le degenerazioni delle nostre democrazie. In diverse ma concatenate direzioni: la verticalizzazione/concentrazione del potere esecutivo, la mortificazione dei parlamenti, le lesioni allo Stato di diritto, un panpenalismo ossessivamente securitario. In sintesi l’involuzione delle democrazie costituzionali nella direzione delle cosiddette democrazie illiberali (un ossimoro!) di cui il crescente consenso alle destre sovraniste e nazionaliste in Europa e negli Usa è, insieme, causa ed effetto. Si pensi anche al caso di Israele, la cui fama di paese retto da una democrazia vacilla o comunque è sotto stress. Come sorprendersi di tale esito se, a monte delle forme politiche, negli spiriti e nella cultura, dominano, cito, “inimicizia, inospitalità, sovranismi”, il naturale brodo di coltura dei regimi autoritari? A questa lettura, che trova ampi riscontri, meriterebbe associare un interrogativo che sembrerebbe contraddirla, ma invece la avvalora. Il seguente: si ha come l’impressione che i democratici americani e le sinistre europee dai quali sarebbe lecito attendersi un di più di fiducia nelle risorse della politica siano invece inclini a confidare nell’interventismo militare più di quanto non lo facciano le destre? Al punto che qualcuno, sbagliando, invoca Trump come …. operatore di pace. Ancora: un interventismo cui sembra indulgano quasi più gli europei che non gli Usa, a prima vista più inclini alla cautela e alla moderazione. Il che suona in contrasto con l’idea-forza posta a fondamento della Ue e scolpita nella massima che ne accompagnò la nascita: “mai più la guerra”. Forse perché – azzardo – più o meno consapevolmente nel campo progressista si è fatta strada la suggestione di una “guerra giusta” se non “etica” a difesa dell’occidente democratico. Nel mentre la Chiesa cattolica si è messa alle spalle la dottrina della “guerra giusta”. È giusto andare fieri della nostra civiltà occidentale, ma accompagnati alla consapevolezza che essa, più di altre, proprio per essere fedele a sé stessa (cristianesimo e illuminismo), dovrebbe mostrarsi immune da esclusivismi e fondamentalismi e dunque dalla pretesa di una forzosa reductio ad unum dei modelli di civiltà. Quasi che il nostro modello sia il regno del bene opposto al regno del male. Una visione sciovinista e manichea di cui si trova traccia nel recente libro di Federico Rampini dal titolo Grazie occidente. Una visione che un po’ spiega lo smodato zelo interventista di certo pensiero democratico di matrice Usa. Una sorta di fondamentalismo occidentalista quasi religioso, ancorché laico. Il riaffiorare, in forma spuria, del moralismo e del messianesimo dei padri pellegrini.

(Foto di Rob Martin su Unsplash)

  • Franco Monaco

    Pubblicista, già presidente dell’associazione «Città dell’uomo» e parlamentare della Repubblica; fa parte del gruppo di coordinamento della rivista web Appunti di cultura e politica.