La ricorrenza centenaria dell’assassinio di Giacomo Matteotti ha visto una nutrita serie di pubblicazioni fra le quali spiccano i contributi, per richiamare quelli a mio avviso più significativi, di Claudia Baldoli, Marzio Breda e Stefano Caretti, Fabio Fiore, Mimmo Franzinelli, Antonio Funicello e Massimo Luigi Salvadori.
Si deve a Federico Fornaro, attualmente parlamentare del Pd, ma soprattutto valente studioso di astensionismo e partecipazione elettorale, nonché della tradizione socialdemocratica -suoi sono contributi su Saragat e Romita, sulle “occasioni perdute” della Sinistra italiana-, un volume che dell’esponente socialista propone ora una compiuta e dettagliata biografia sorretta da una vasta esplorazione archivistica , nonché da un supporto bibliografico di prim’ordine assai nutrito.
L’autore prende le mosse dalla famiglia in cui Matteotti nasce e dall’ambiente -il Polesine- in cui si trova ad operare all’insegna di un riformismo intransigente volto al riscatto delle plebi contadine. Bollato dagli avversari come “ il socialista milionario”, il “traditore impellicciato” -l’agiatezza gli deriva dalla intraprendenza materna-, Matteotti, formatosi ad un severo cursus di studi giuridici –si laurea all’Università di Bologna sotto la guida di Alessandro Stoppato, pubblicando la propria tesi, “La recidiva. Saggio di revisione critica con dati statistici” dai fratelli Bocca di Torino nel 1910- , volge poi il suo impegno in più direzioni: amministratore comunale e provinciale, esponente del Partito socialista, promotore di cooperative e leghe di miglioramento.
Oppositore della guerra di Libia e di Giolitti, in posizione mediana tra transigenti ed intransigenti nel suo partito, nonché critico della politica dei blocchi radical-socialisti in nome di una moderazione che lo dispone a considerare la necessità di aperture agli “esterni”, Matteotti si batte in nome di un riformismo gradualista e umanitario che lo porta a sostenere, a fronte della Grande guerra, un pacifismo antimilitarista, ma non “sentimentale”, in nome dell’ideale internazionalista, sino a proporre , rispetto alle parole d’ordine “né aderire né sabotare” lanciate dal Psi , una “agitazione rivoluzionaria”.
Fornaro proietta la biografia di Matteotti sullo sfondo del collasso dello Stato liberale, seguendo da vicino le lacerazioni del 1921, ‘22, ‘23 all’interno del Partito socialista –la scissione dei comunisti, l’espulsione dei riformisti e la fuoriuscita dei “terzini”-, nonché l’ascesa del fascismo attraverso l’adozione di una sistematica violenza squadrista contro gli avversari. Matteotti in parlamento dal 1919 – “un parlamentare documentatore” lo definisce Meuccio Ruini sottolineando la serietà del suo impegno e il rigore con il quale segue i procedimenti legislativi-, nel 1922 diviene segretario del Partito socialista unitario di Turati.
Di rilievo la stesura, nei primi mesi del 1923, delle “Direttive del Partito Socialista Unitario italiano”, un opuscolo indirizzato agli iscritti e ai militanti mediante il quale tratteggia l’impianto politico-ideologico del nuovo soggetto e in cui propone compiutamente l’interpretazione che del socialismo è venuto elaborando. Fondamentale è il richiamo al programma fondativo di Genova, nonché l’intento di riaffermare la continuità con il socialismo delle origini e nel contempo di stigmatizzare la declinazione in chiave massimalista che la politica del partito è venuta assumendo. Il rifiuto della violenza come metodo di lotta, la valorizzazione della pratica democratica come condizione necessaria per lo sviluppo e l’emancipazione della classe lavoratrice, la denuncia del nazionalismo che si accompagna all’auspicio della costituzione “di una vera Lega delle Nazioni” e più immediatamente degli Stati Uniti d’Europa”, la rivendicazione del municipalismo socialista e una visione del comune come “facilitatore di attività solidaristiche e di garante della convivenza civile”, la netta contrarietà al protezionismo doganale e ad interventi statali “che servono all’incremento non della ricchezza nazionale, ma soltanto di quella di alcuni ceti plutocrati privilegiati”, senza per questo rinnegare l’ideale della socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio: questi gli aspetti più significativi del disegno politico-programmatico che il segretario socialista si prefigge di realizzare.
Matteotti peraltro interpreta con rigorosa coerenza le proprie convinzioni: polemizza con la politica finanziaria di Nitti, con quella scolastica di Croce e dei popolari di Sturzo, critica comunisti e massimalisti -il suo obiettivo “non è la dittatura del proletariato, ma l’abolizione di tutte le classi”-, denuncia vigorosamente “l’illegalismo d’ordine” imposto dai fascisti che lo rendono “esule in patria”, lui “il Marat del Polesine”, come lo definiscono, sottoponendolo a ripetute intimidazioni e aggressioni. Strenuo difensore della democrazia elettorale -contrasta a viso aperto la legge Acerbo-, sostenitore dell’autonomia del suo partito di contro all’ala tendenzialmente collaborazionista col fascismo. E ancora: ribadisce il ruolo dello Stato senza rinunciare alla modifica di leggi oppressive dei lavoratori, si fa corifeo di un municipalismo ancorato ad una finanza rigorosa, ed esalta la funzione dell’istruzione come “cultura del popolo”.
Sono gli interventi in aula del 30 maggio e del 4 giugno 1924 contro i brogli elettorali a spingere definitivamente i fascisti alla sua soppressione. Fornaro ricostruisce meticolosamente lo sviluppo dei fatti, le dirette responsabilità di Mussolini, il capo del “partito milizia”, non senza trascurare l’affaire Sinclair, relativo a concessioni petrolifere, che Matteotti si appresta a denunciare, in cui sono implicati il Re e Arnaldo Mussolini.
Infine il tema della “competizione della memoria”, che vede Matteotti vittima tra le due guerre, ma anche successivamente, della pregiudiziale antiriformista: per Gramsci un “pellegrino del nulla” e per autorevoli esponenti comunisti anch’egli corresponsabile del “coraggio della viltà dei socialisti nei confronti del fascismo. Sarà compito della storiografia – da Stefano Caretti a Mauro Canali ed ora a Federico Fornaro- restituire appieno il significato della presenza di Matteotti nella vita politica nazionale, riconducendolo alla sua più autentica identità di socialista e valorizzando l’attualità del suo riformismo volto alla realizzazione di “un’Italia migliore”.