Iran, giugno 2024: si vota per sostituire il Presidente Raisi, deceduto in un incidente aereo o, forse, in un attentato. I vertici del regime, bisognosi di esibire una legittimazione popolare sempre più incerta, moltiplicano gli appelli al voto. Intellettuali, attivisti, studenti e studentesse del movimento “Donna, vita, libertà”, in questi mesi duramente represso, invitano al boicottaggio. L’affluenza si ferma a 40%, mai tanto bassa da quando esiste la Repubblica islamica. Sembra proprio una chiara vittoria dell’opposizione: il re è nudo, il regime ha perso qualsiasi credibilità, colui che uscirà vincitore dal futuro ballottaggio in nessun modo potrà presentarsi come il Presidente di tutti gli Iraniani… Vero. Ma è anche vero che, in un contesto molto diverso, molte democrazie occidentali “consolidate”, a partire dalla nostra, veleggiano ormai su percentuali di non-votanti non così distanti da queste. Si pensi all’impressionante 49,69% di Italiani che si sono recati alle urne alle recenti consultazioni europee, sfondando la soglia, anche psicologica, della metà degli aventi diritto. E certificando che anche la legittimità delle nostre stanche istituzioni democratiche non poggia su basi tanto solide…

Cile, settembre 2022: al referendum convocato per archiviare definitivamente l’era Pinochet, la nuova Costituzione, ispirata a valori della solidarietà e dell’eguaglianza, attenta ai diritti dei popoli indigeni e delle minoranze, viene sonoramente bocciata. All’indomani del voto – una sconfitta cocente per il governo del Presidente Gabriel Boric e per il movimento popolare che si era mobilitato nelle piazze per rivendicare una svolta radicale – gli analisti concordano nell’attribuire un ruolo decisivo, nel determinare il risultato, all’alta affluenza alle urne: 85%, di contro al 43% degli elettori che avevano partecipato all’elezione dell’assemblea costituente. Un 85% dovuto in gran parte alla previsione dell’obbligo di votare, con tanto di multa per gli inadempienti, che ha “forzato” a recarsi alle urne una parte di quei cittadini di orientamento conservatore, poco informati e scarsamente politicizzati, ma sensibili alla propaganda della destra, che all’elezione dell’assemblea costituente non avevano invece partecipato. Morale: l’obbligo del voto, rafforzato da sanzioni – che, pure, è esistito per un certo periodo anche nel nostro paese, per quanto interpretato in maniera molto blanda – non è, non può essere, la via per far crescere il tasso di lealtà democratica. Per quanto possa essere proclamato, in via di principio, come un “dovere civico” (art. 48 della nostra Costituzione), il voto è innanzitutto un diritto. Un diritto fondamentale, per definizione inviolabile e inalienabile. Che può, nondimeno, non essere esercitato (come le libertà di pensiero, di riunione, di associazione). Per le ragioni più varie, come i casi appena ricordati consentono di intuire.   

Giugno 2024: ai ballottaggi delle elezioni amministrative, in Italia, si è ripetuto, con meno clamore, il risultato registrato alle europee: la percentuale dei non votanti è scesa sotto la soglia del 50% (47,7%, mentre al primo turno aveva votato il 62,6% degli aventi diritto, con un calo di 5 punti percentuali rispetto alla precedente tornata). Vincono l’apatia, la stanchezza, lo sconforto? O piuttosto la protesta, la rabbia, l’indignazione? È difficile dirlo. Il Libro bianco sull’astensionismo pubblicato nell’aprile del 2022 a cura della Presidenza del Consiglio si azzardava a stimare che la percentuale di astensioni per “protesta” alle ultime europee (quelle del 2019) fosse stata tra il 35 e il 45% del totale, e che la rimanente quota fosse attribuibile a “indifferenza”. In realtà – lo ripeto – distinguere in modo netto gli arrabbiati dagli indifferenti-demotivati-disillusi non è agevole. Il comportamento degli astenuti è difficile da decifrare: può veicolare un’intenzionalità fortemente politica oppure impolitica, essere legato a fattori strutturali o contingenti, esprimere insoddisfazione nei confronti di singoli candidati, “imposti” da leggi elettorali che non consentono una vera scelta, o nei confronti della classe politica, o del “sistema”, in generale. Si tratta, in ogni caso, di un comportamento “sfuggente”, nel senso che tende a sfuggire alle rilevazioni delle opinioni effettuate con i consueti metodi demoscopici.

Un elemento, tuttavia, contribuisce a fornirci una chiave interpretativa della marea montante delle astensioni di casa nostra e, più in generale, delle democrazie occidentali: la connotazione sempre più “di classe” di questo fenomeno. La rimarca Lorenzo Pregliasco commentando i dati delle ultime europee: “più che un discorso generazionale ne farei uno socio-economico. A essere penalizzate e disilluse sono le fasce popolari, qui cresce maggiormente la disaffezione” (https://www.iltquotidiano.it/articoli/astensione-lanalisi-di-pregliasco-di-youtrend-non-sono-i-giovani-la-causa-e-socio-economica). Riprende il tema Marco Valbruzzi, rilevando l’esistenza di uno zoccolo duro di astensionismo cronico, che riguarda nel nostro paese circa 15 milioni di elettori, per due terzi provenienti dai ceti svantaggiati e dalle aree periferiche (https://ilmanifesto.it/una-democrazia-dimezzata-in-un-paese-diviso). Analisi che non fanno che confermare una tendenza più generale, e non effimera, già rilevata da Wolfang Streeck che, qualche anno fa, riferendosi alla Germania, parlava della politica come di una “forma di intrattenimento della classe media”, priva di qualsivoglia attrattiva per i ceti popolari (Tempo Guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico, Feltrinelli 2013, p. 7).

Se questo è vero, ci troviamo di fronte a un autentico paradosso: gli esclusi di ieri, discriminati da legge elettorali censitarie, sono coloro che oggi si auto-escludono. I poveri rifiutano la politica, se ne disinteressano. Probabilmente perché la politica – a cominciare dai partiti – si disinteressa dei poveri, dei marginali, dei “periferici”, e cessa di essere percepita come un veicolo di cambiamento e di riscatto sociale. Un problema su cui bisognerebbe aprire una riflessione seria e approfondita, di cui al momento non si colgono avvisaglie.    

(Foto: Glen Carrie su Unsplash)

  • Valentina Pazé

    Insegna Filosofia politica e Teorie dei diritti umani all’Università di Torino. Si occupa, in una prospettiva teorica e storica, di comunitarismo, multiculturalismo, teorie dei diritti e della democrazia.