Il 20 giugno la presidentessa eletta del Messico, Claudia Sheinbaum, ha annunciato i primi sei membri del governo che si insedierà il primo di ottobre. Le parole d’ordine utilizzate sono state sviluppo, giustizia e rispetto per l’ambiente. Si tratta di un’originale tecnica mediatica, con cui ogni settimana verrà presentato un pezzo di squadra dell’esecutivo nascente. Intanto si è partiti con sei nomi di peso, tre uomini e tre donne, che cominciano a dare un’identità al progetto presidenziale, tra chiari elementi di continuità con la cosiddetta Quarta trasformazione (4T), come López Obrador (Amlo) ha ribattezzato la sua stagione presidenziale, e qualche piccolo segnale di novità.

La nascente squadra di governo

Il ministero dell’Economia, in una fase di buon andamento degli indici marco-economici, andrà a Marcelo Ebrad, già agli Esteri fino al giugno del 2023. In questa veste ha mostrato pragmatismo nel mantenere un equilibrio tra le prioritarie relazioni nordamericane con Usa e Canada e altri interlocutori internazionali. Ha cercato di rinsaldare (con risultati altalenanti) la vecchia vocazione latinoamericana di Città del Messico, proponendosi come mediatore nella crisi boliviana del 2019 e rilanciando l’idea (ancora ben lontana dal concretizzarsi) di una politica migratoria regionale. Al contempo ha potenziato le relazioni con l’Ue e, soprattutto, con le grandi economie asiatiche, gestendo con cautela l’inedita apertura messicana alla Cina. E’ stata da poco annunciata la negoziazione con l’impresa cinese di auto elettriche BYD (che nel primo trimestre del 2024 ha nettamente superato Tesla nelle vendite globali) per l’apertura di una linea di produzione che dovrebbe rifornire in futuro tanto i mercati nordamericani quanto quelli latinoamericani.

Una linea di equilibro seguita anche dal successore di Ebrad agli Esteri, Alicia Bárcenas, reduce da una lunga esperienza in seno all’Onu, che ha insistito sulla necessità di modernizzare le principali infrastrutture portuali messicane per giocare una sfida sempre più globale sul fronte cruciale della logistica. La vocazione mediatrice messicana è stata però messa a dura prova dalla crisi esplosa il 6 aprile 2024 con l’Ecuador del presidente-magnate Daniel Noboa, dopo l’assalto da parte della polizia di Quito all’ambasciata messicana che aveva dato asilo politico all’ex vicepresidente di Correa, Jorge Glas. La grave violazione del diritto internazionale, denunciata dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, come un precedente «particolarmente pericoloso», è passata in secondo piano nei media italiani ma la crisi diplomatica ha subito evidenziato una serie di toni distinti in ambito latinoamericano. Mentre il Venezuela ha ritirato la propria rappresentanza diplomatica, Brasile, Colombia, Bolivia, Cile e Honduras (tutti  governi di sinistra) hanno espresso con forza il proprio sostegno a Città del Messico che ha ricevuto la solidarietà anche dei governi di destra argentino, uruguayano e peruviano, a fronte di una timida nota di condanna dell’Osa e dei silenzi del governo salvadoregno.

La risoluzione di questi nodi toccherà al prossimo ministro degli Esteri, incarico assegnato da Sheinbaum a Juan Ramón de la Fuente, già rettore dell’Unam, la più grande università del continente (con quasi 374.000 studenti iscritti nell’ultimo anno accademico) nonché ambasciatore presso l’Onu. Anche Bárcenas è stata confermata nella squadra di governo, dirottata però al ministero dell’Ambiente e delle risorse naturali. Un ritorno al passato per una politica che di formazione è una biologa e che ha lavorato per quasi un decennio come coordinatore generale (dal 1995) del Programma Onu per l’Ambiente (Unep).

L’idea della presidentessa eletta di dare peso politico, scientifico e credibilità internazionale al proprio gabinetto è stata confermata anche dalle altre nomine annunciate. Il ministero dell’Agricoltura e sviluppo rurale passerà dall’agronomo Victor Manuel Villalobos al collega Julio Berdegué, ex vicedirettore regionale della Fao per l’America latina e i Caraibi. Per il nuovo ministero delle Scienze, studi umanistici, tecnologia e innovazione e come consigliera giuridica, Scheinbaum ha scelto due delle sue più fidate collaboratrici alla guida della capitale: l’ex ministra dell’Educazione ed ex direttrice della Facoltà di Scienze dell’Unam, la biologa Rosaria Ruiz, e l’ex procuratrice Ernestina Godoy. La decisione di trasformare il vecchio Centro nazionale per la scienza e la ricerca (Conahcyt), fondato come agenzia federale nel 1970 per promuovere e finanziare la ricerca universitaria, ha sollevato un acceso dibattito nel mondo accademico. Durante la presidenza di Amlo, la direttrice del Centro, la genetista María Elena Álvarez-Buylla, è stata accusata di aver assunto una linea eccessivamente filo-governativa e centralizzatrice, minando così l’autonomia del sistema della ricerca. Accuse respinte seccamente dalla diretta interessata che ha sempre ribadito la dimensione democratica della sua azione. Ora la scelta di Sheinbaum, a sua volta ricercatrice dell’Unam in ingegneria ambientale, di trasformare il Conahcyt in una Secretaría, elevandola al rango di ministero, vorrebbe spegnere le polemiche. Resta vivo però il dibattito tra quella che Morena definisce una normalizzazione e chi vorrebbe invece difendere la specificità del modello messicano.

Quale continuità?

Le prime scelte annunciate manifestano dunque una chiara continuità con il progetto della 4T di López Obrador che tra poco più di tre mesi dovrà ritirarsi dalla scena nazionale, tenendo fede al principio costituzionale della No reelección. Non è certo semplice succedere a un presidente che ha fortemente personalizzato la comunicazione governativa, pur con il suo peculiare stile, tenendo sempre acceso il tono dello scontro politico-istituzionale, culminato nelle battaglie per la riforma dell’Istituto nazionale elettorale e con l’apparato giudiziario. Molto dipenderà anche dall’atteggiamento che Amlo manterrà dopo il 1° ottobre, quando inizierà il suo buen retiro nel rancho di famiglia a Palenque in Chiapas, tra chi predice un tranquillo pensionamento nel sud tropicale e chi paventa un improbabile ritorno al maximato, il periodo postrivoluzionario (1928-1932) in cui l’ex presidente Calles agiva dietro alle quinte, come jefe máximo de la nación.

Nel frattempo la presidentessa eletta ha presentato la struttura del nuovo esecutivo «allargato».  Questo prevede 19 dicasteri (20 con la Consigliera giuridica) e 17 organismi governativi che vanno dall’impresa petrolifera Pemex (al centro di un ambizioso progetto di rilancio con la contestata raffineria di Dos Bocas) alle commissioni federali per l’elettricità e le acque, dai diversi istituti preposti al Welfare nazionale all’amministrazione tributaria (da anni in attesa di riforma), dall’ente migratorio a quello per la tutela dei popoli indigeni.

Particolare attesa accompagna naturalmente le nomine alla guida dei dicasteri incaricati della lotta al narcotraffico e del contrasto alla violenza: la Secretaría de Gobernación (Segob) e la Secretaría de la Defensa Nacional (Sedena), rispettivamente ministero degli Interni e della Difesa, oltre al ministero della Marina e a quello della Sicurezza e protezione cittadina. Elementi fondamentali per il futuro di un paese che, pur in leggero miglioramento, ha registrato ancora 30.523 vittime di omicidi nel corso del 2023, che hanno fatto dell’ultimo sessennio di governo il più violento dalla stagione della rivoluzione messicana. Certo questa situazione è l’eredità del fallimento della Guerra al narco lanciata dal presidente Felipe Calderón del Pan nel 2006, nell’ambito del Plan Mérida firmato con l’amministrazione Bush jr., ma anche il segnale della fragilità della politica abrazos y no balazos  del presidente uscente e delle difficoltà nel controllo del territorio incontrate dalla Guardia Nacional, introdotta nel 2019 incorporando elementi della polizia federale, militare e della marina. E’ certo anche il frutto di un narcotraffico sempre più potente a livello globale, grazie a reti transnazionali, finanziamenti internazionali e capacità militare e di controllo dei territori, contro cui il nuovo governo dovrà rielaborare una strategia efficace. Una politica che dovrà tener conto adeguatamente anche del contrasto a corruzione e impunità, per cui un’eventuale riforma del sistema di giustizia (con tutte le incognite che l’accompagnano) potrebbe rappresentare una partita tanto essenziale quanto delicata.    

Un altro nodo centrale riguarda la tutela ambientale. Le politiche energetiche di stampo novecentesco di Amlo e l’estrattivismo (rilanciato a livello continentale dalle corporations del comparto minerario) dovranno trovare un contraltare equilibrato con la svolta verde evocata dalla squadra di scienziati che accompagna la presidentessa eletta, in un paese dalla biodiversità infinita e dall’enorme potenziale nel settore delle energie alternative, in cui resta però ancora alto il numero degli ambientalisti (specie indigeni) minacciati e uccisi. La controversa partita del Tren Maya e i piani per un Corridoio interoceanico dell’Istmo di Tehuantepéc costituiranno altri delicati banchi di prova. 

Certo Sheinbaum partirà con una base imponente in termini di consenso. La mappa elettorale emersa dal voto del 2 giugno dice che la partecipazione è stata del 61% (2% in meno rispetto al 2018). La candidata di Morena ha ottenuto il 61,18% dei voti, contro il 28,11% della sua sfidante Xóchitl Gálvez, sostenuta da Pan, Pri e Prd, e il 10,57% di Jorge Maynez del Movimento cittadino. La coalizione di sinistra ha ottenuto 83 seggi su 128 al Senato e 373 su 500 alla Camera, conquistando la possibilità di esercitare la maggioranza qualificata. Colpisce che Sheinbaum abbia vinto in 31 dei 32 stati della federazione (unica eccezione il piccolo Aguascalientes), oltre alla capitale, dove nella contesa per il governo locale si è imposta la candidata di Morena Clara Brugada. Il partito di governo ha vinto anche in sei stati (Chiapas, Morelos, Puebla, Tabasco, Veracruz, Yucatán) in cui si correva per il governatore, lasciandone solo due all’opposizione (Guanajuato a Pan-Pri-Prd e Jalisco al Mc).

Il voto è stato dunque netto e, a un quarto di secolo dalla caduta del vecchio sistema di governo del Pri e dell’avvio della transizione democratica, sembra aver premiato le politiche sociali di Amlo e il suo populismo pragmatico rispetto alle paure evocate dalle opposizioni per un presidenzialismo centralizzatore che metterebbe a rischio la balance of power, alimentandosi di tensioni e polarizzazioni sociali. Un dato che colpisce riguarda il sostegno al progetto governativo da parte di un’ampia fetta del composito ceto medio che sembra allontanare ancor di più il modello messicano da quello venezuelano. Secondo alcuni commentatori si tratterebbe di una ricerca del vecchio «Pri buono» che aveva accompagnato, pur in un processo di democratizzazione incompiuta, gli anni del boom economico e della maturazione del Messico. Il quadro nel 2024 è però più complesso e i nodi che si pongono di fronte alla dodicesima economia del mondo sono diversi. Ci sono la questione sociale nazionale, l’emergenza sicurezza, la necessità di gestire in modo efficiente e umano i processi migratori. Su questo fronte Sheinbaum giocherà probabilmente la sua partita più delicata, dovrà saper guardare l’ombelico del Messico (la specialità di Amlo) e al contempo allargare gli sguardi a livello regionale, continentale e globale.

Intanto, in attesa dell’insediamento, Sheinbaum e López Obrador hanno intrapreso un primo viaggio comune al sud. Nel municipio di Matías Romero, mentre Amlo sottolineava che Claudia sarà la prima donna a guidare il paese nel bicentenario del primo presidente repubblicano, Guadalupe Victoria (1824-1829), il ministro della Marina José Rafael Ojeda ricordava che dal 1° ottobre, questa assumerà anche il ruolo di comandante supremo delle forze armate. Il prossimo appuntamento è il 27 giugno, per l’annuncio dei prossimi membri del governo allargato.

(Foto: Jorge Aguilar su Unsplash)

  • Massimo De Giuseppe

    Professore di Storia contemporanea, Università IULM - Milano. Direttore del Centro di ricerca Euresis/IULM.