Il fatto che Fratelli d’Italia sia il major party della Destra oggi al governo, costituisce senza dubbio una novità di assoluto rilievo. In grado di proporre un’offerta politico-ideologica accattivante, la formazione di Giorgia Meloni va dunque decifrata per quello che è e rappresenta, per i suoi obiettivi.
In proposito, di grande interesse è il lavoro che Carlo Galli, uno tra i più autorevoli esponenti di storia delle dottrine politiche, ha dedicato a FdI con il suo “La Destra al potere” (Raffaello Cortina editore, 128 pp., 12€). Un interrogativo di fondo attraversa la disamina dello studioso: la democrazia sta correndo dei rischi e siamo in presenza di una nuova invasione degli Hyksos, per evocare l’interpretazione crociana del fascismo? La risposta è molto articolata e si commisura, con un alto grado di concettualizzazione, non solo al trend della politica italiana, ma pure alle dinamiche sociali e a quelle dell’economia liberale, nonché alle trasformazioni post-democratiche attualmente in corso.
Una sorta di complexio oppositorum caratterizza l’impronta di FdI, un mix di posizioni, di tattica e strategia, di pratiche e narrazioni, in cui campeggiano conservatorismo dei valori, liberismo nazionalistico, moderatismo ed estremismo verbale ad un tempo, pragmatismo e idealismo epico- eroico, nonché iper occidentalismo, in uno sdoppiamento fra azione di governo e retorica da opposizione. È soprattutto un conservatorismo passe-partout a connotare FdI, coprendo “questo o quel provvedimento purché definito patriottico, purché oggetto di particolare orgoglio”, unitamente ad una gestione del potere in termini di comando e all’adozione della logica del capro espiatorio. Essa consente di individuare forme di minaccia nel mondo liberal della cultura dei diritti, nel nemico rappresentato dal nichilismo della Sinistra che va sfidata non solo politicamente, ma pure sul piano dell’egemonia culturale.
Il partito della Meloni ospita in sé motivi di ispirazione tipici di più Destre. Galli ne individua la genealogia intellettuale nelle manifestazioni storiche riconducibili rispettivamente ai controrivoluzionari cattolici ostili all’89 francese, all’orleanismo borghese di François Guizot, al bonapartismo del capo plebiscitario di Napoleone III, oltre che ai teorici italiani delle élites, nonché alle diverse varianti del conservatorismo europeo: da quello anglosassone di Edmund Burke e di Roger Scruton – che Meloni frequentemente cita -, a quello tedesco in contrapposizione alla politica moderna, sino alla vera e propria auctoritas costituita da Giuseppe Prezzolini.
È proprio questo conservatorismo eclettico il viatico scelto da FdI per liberarsi dall’ombra del fascismo. La sua offerta politica non è propriamente fascista, al di là dei trascorsi biografici di parecchi suoi esponenti . Essa è afascista e si regge su di una “particolare curvatura” per cui il fondamento della Repubblica democratica non è più il lavoro, ma la Nazione, non tanto come identità etnica, ma storico-culturale. Dunque non un’ aperta antidemocrazia, quanto “una declinazione blindata della post-democrazia”, vale a dire quella evoluzione oligarchica delle liberaldemocrazie che FdI asseconda ed accelera, accettando ciò che non può modificare e modificando ciò che può essere modificato con una “sbrigativa inclinazione all’autoritarismo” non esente da anarcoindividualismo: un progetto securitario, retto sul recupero della sovranità del popolo in contrasto con una politica incapace di garantire l’interesse nazionale, una marcata tendenza alla soluzione penale delle questioni sociali, il contrasto all’universalismo dei diritti e il ricorso alle “retoriche dell’intransigenza” riservate agli avversari.
Una sostanziale dipendenza dal paradigma liberista, in contrasto col vecchio statalismo missino e in contraddizione coll’intento di protesta di una parte della sua base elettorale, contrassegna FdI che nel “merito” individua una copertura ideologica con la quale si contrappone alla “invidia sociale” anti-imprenditoriale. Da una parte parole d’ordine critiche dell’assistenzialismo -la revoca del Reddito di cittadinanza-, dall’altra del capitalismo finanziario estraneo “al disegno strategico della Nazione”.
In conclusione Galli passa in rassegna le politiche della Destra al potere riconducibili sostanzialmente a tre categorie di fondo: l’immediatezza, vale a dire il plebiscitarismo verticistico -il Premierato assoluto-; la privatezza, cioè lo smantellamento della sfera pubblica e il privilegio corporativo; l’emergenza come postura polemica. All’interno con una gestione selettiva dell’ordine pubblico –gli studenti manganellati – e all’esterno con un atlantismo “roccioso”. Un libro che lascia il segno e farà certamente discutere.