I due conflitti ai quali stiamo assistendo, in Ucraina e nella Striscia di Gaza, scatenati secondo obiettivi politici differenti, hanno un elemento che li unisce come spesso succede per le guerre, anche quelle che si considerano “moderne”: il mancato rispetto del diritto internazionale e della popolazione civile.

Basta vedere le immagini del villaggio di Buča oppure la devastazione delle abitazioni e i video degli ospedali di Gaza, attraversati dal fuoco incrociato delle due parti in causa, per avere un’immediata visione di come anche queste guerre contemporanee, convenzionali, come viene detto in termine tecnico-militare, facciano strame delle convenzioni internazionali, dell’osservanza dell’ingaggio militare, del rispetto della popolazione civile – utilizzata anche come scudo umano – e delle regole di ingaggio militare che sono completamente trascurate.

I bombardamenti generalizzati su obiettivi non militari sono contrari al diritto internazionale, ma anche costituire rampe di lancio di missili all’interno di edifici sensibili come ospedali oppure sedi delle Nazioni Unite.

Per la verità, al momento non si può comprendere nelle considerazioni appena esposte, la condotta bellica dell’esercito ucraino, perché non si hanno notizie di crimini contro l’umanità, ma solo azioni, pesanti in termini di vite umane, che però rientrano nelle attività belliche di difesa dello Stato di fronte ad un’aggressione della Federazione russa. Da questo punto di vista l’invasione decisa dal presidente russo rientra  nel più classico, storicamente parlando, reato di lesione del diritto internazionale, quale appunto è l’invasione di uno Stato contro un altro (il rifermento alla crisi della Società delle Nazioni è evidente). Per questo motivo il diritto internazionale distingue l’aggressione dalla difesa militare.

Ed è proprio l’aggredito, l’Ucraina, che ha sollecitato l’intervento della giustizia internazionale. Assai rapidamente, e con una certa capacità politica nella gestione del ricorso alla giustizia internazionale, le autorità ucraine hanno fornito ospitalità agli esperti e giudici internazionali per facilitare la raccolta delle prove nei villaggi a Nord del paese dove più violentemente all’inizio dell’invasione russa si era combattuto e commesso anche crimini contro la popolazione civile, come appunto il già evocato villaggio di Buča.

L’Ucraina non riconosce ufficialmente la Corte penale internazionale, così come la Federazione Russa o meglio quest’ultima ritirò la firma al Trattato di Roma, come gli Stati Uniti (mentre la Cina, ad esempio, non ha mai firmato), però ha firmato il Trattato di Roma, ma non lo ha ancora ratificato e questo le dà in ogni caso la facoltà di richiedere l’intervento della Corte[1].

Comunque il primo reale intervento della giustizia internazionale fu l’incriminazione con due mandati di arresto internazionali della Corte penale internazionale resi noti il 17 marzo 2023, a meno di un anno dall’inizio dell’invasione. La Corte sentenzia contro individui e non Stati.

La Pre-Trial Chamber II della Corte penale internazionale, sulla base delle richieste della Procura del 22 febbraio 2023, ha emesso due mandati di arresto nei confronti Vladimir Vladimirovich Putin e Maria Alekseyevna Lvova-Belova.

Le violazioni del diritto internazionale contestate sono il “crimine di guerra di deportazione illegale di popolazione”, in questo caso prevalentemente bambini, e di “trasferimento illegale di popolazione” dalle aree occupate dell’Ucraina da parte della Federazione Russa (gli articoli sono l’8(2)(a)(vii) e 8(2)(b)(viii) dello Statuto di Roma).

Secondo la sentenza, Vladimir Putin, in qualità di Presidente della Federazione Russa, è personalmente responsabile per aver commesso gli atti direttamente, e con altri e/o attraverso altri (articolo 25(3)(a) dello Statuto di Roma), e per non aver esercitato un controllo adeguato sui subordinati civili e militari che hanno commesso i crimini, o hanno permesso la loro attuazione. Tali subordinati  erano sotto la sua autorità e il suo controllo, in virtù della cosiddetta “responsabilità del superiore”(articolo 28(b) dello Statuto di Roma).

Inoltre anche Maria Alekseyevna Lvova-Belova, in qualità di Commissario per i diritti dei bambini presso l’Ufficio del Presidente della Federazione Russa, è personalmente responsabile per aver commesso gli atti direttamente, e insieme ad altri e/o tramite altri (articolo 25(3)(a) dello Statuto di Roma ).

Inoltre, i giudici internazionali, considerando che la condotta degli incriminati sia ancora in corso, hanno autorizzato la pubblica divulgazione dei mandati, il nome degli indagati, i reati per i quali sono stati emessi i mandati e le modalità di responsabilità stabilite, perché essa possa contribuire a prevenire l’ulteriore compimento di reati.

Sebbene queste incriminazioni possano apparire di secondo piano (nonostante la gravità della deportazione di esseri umani) rispetto ai crimini di guerra letali sulla popolazione civile inerme, la Corte, con queste prime sentenze, si è attivata ad iniziare da quella tipologia di reato internazionale che può essere configurata in base a prove evidenti di trasmissione degli ordini dal vertice ai subordinati. Lo scopo è quello di giungere proprio all’incriminazione  anche delle alte cariche dello Stato. Infatti, l’effetto politico di queste decisioni della Corte è assai elevato.

Il presidente Putin, gravato da un mandato di cattura internazionale, potrà muoversi, senza assumersi rischi di arresto, solo in questi paesi, come ha già fatto in Cina e Corea del Nord, in cui non viene riconosciuta la Corte penale internazionale.

Più o meno un anno dopo quella sentenza della Corte, giunsero ad una prima conclusione le indagini sui crimini di guerra nelle aree dell’Ucraina occupate dall’esercito russo.

In virtù della raccolta delle prove dei consulenti ed esperti, la Corte penale internazionale emise due mandati di arresto nei confronti di alti ufficiali delle forze armate russe: il tenente generale Sergej Ivanovič Kobylash e l’ammiraglio Viktor Nikolaevič Sokolov, all’epoca dei fatti comandanti rispettivamente delle forze aerospaziali  e della flotta del Mar Nero.

Il 5 marzo 2024 scorso la  Pre-Trial Chamber II  – composta dal giudice italiano Rosario Salvatore Aitala, dal giapponese Tomoko Akane e dal costaricano Ugalde Godinez –  ha ritenuto fondata la richiesta di arresto formulata dal prosecutor per le gravi responsabilità emerse per  crimini di guerrae crimini contro l’umanità  previsti dallo Statuto di Roma della Corte penale internazionale.

I fatti si riferiscono alla campagna di bombardamenti indiscriminati scatenati contro infrastrutture civili ucraine nel periodo compreso tra il 10 ottobre 2022  e il 9 marzo 2023.

In particolare si tratta della serie di attacchi sistematici diretti contro le infrastrutture elettriche (centrali e dighe) che hanno inflitto sofferenze alla popolazione civile.

Sembra che non ci siano dettagli, ma è verosimile che i fatti su cui si basano i mandati si riferiscano alle azioni condotte sull’area della centrale nucleare di Zaporizhzhia e su  altre centrali di diverse località dell’Ucraina: nella stessa capitale Kiev e nelle regioni di  Lutsk, Rivne, Dnipro, Leopoli, Odessa e Kharkiv.

È altresì verosimile, almeno pare di capire da alcune dichiarazioni, che siano in corso procedimenti secretati in merito alla distruzione della diga di Kakhovka (del da giugno 2023) e per le altre gravi massacri di civili come quella di Buča.

Al momento non c’è una stima precisa delle vittime civili. Secondo i dati delle Nazioni Unite i civili ucraini uccisi dall’inizio del conflitto sarebbero ben oltre i 10.000 (mentre le vittime tra i soldati di entrambe le parti si aggirerebbero sui 150.000).

Le incriminazioni si fondano su capi di imputazione articolati sulla base di circostanziate violazioni previste dallo Statuto di Roma. Si tratta in primo luogo delle violazioni all’articolo 8(2) che configura la categoria dei crimini di guerra, che non ottemperano al rispetto del quadro giuridico delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949,  nucleo centrale del vigente Diritto Internazionale Umanitario. Inoltre le imputazioni dei comandanti russi riguardano le responsabilità in campo penale internazionale per due fattispecie:  la prima è l’aver diretto attacchi contro obiettivi civili,  (articolo 8, paragrafo 2, lettera b, punto ii, dello Statuto); e la seconda è l’aver  causato danni “eccessivi” a civili o a obiettivi civili, (violazione dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera b, punto iv).

Se questa allo stato attuale è la situazione circa l’intervento della giustizia internazionale in merito ai crimi di guerra commessi durante l’invasione della Russia in Ucraina,  nel caso del conflitto bellico suscitato dal governo di Israele in risposta al massacro di civili in territorio israeliano del 7 ottobre 2023, l’azione della giustizia internazionale è più articolata, anche rispetto all’entrata in campo di due distinte autorità giudiziarie internazionali.

Qualche mese dopo (26 gennaio 2024), l’ingresso dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza, che aveva lasciato nel 2009, e sulla scia delle manifestazioni politiche di contrasto che avvennero anche in gran parte dell’Occidente, il governo del Sudafrica si prese la responsabilità di denunciare lo Stato di Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja – il tribunale delle Nazioni Unite – di genocidio.

In sostanza, il governo del Sudafrica era ricorso alla Corte sostenendo che la guerra nella Striscia di Gaza, condotta dall’esercito israeliano, costituiva un atto di genocidio contro il popolo palestinese e, quindi, violava la “Convenzione sul genocidio”[2].

La CIG, che si occupa di dirimere controversie  tra Stati membri delle Nazioni Unite e ha la facoltà di intervenire e decidere non solo secondo il diritto internazionale ma anche secondo equità (ex aequo et bono) nel caso in cui le parti lo richiedano (art. 38, par. 2 dello Statuto) intervenne, accogliendo rapidamente il ricorso in quanto crimine rientrante nella propria giurisdizione.

Questo non significò che la Corte condividesse la denuncia del governo del Sudafrica, ma che aveva titolo ad intervenire.

Tale tribunale internazionale irroga sentenze vincolanti sul piano giuridico e senza appello, tuttavia, non potendo applicarle, acquistano, spesso, un valore esclusivamente politico. 

In ogni caso, nella prima fase di istruzione della causa i giudici non furono chiamati a stabilire se Israele stesse effettivamente commettendo un genocidio nella Striscia di Gaza, ma si pronunciarono solo sul ricorso d’urgenza nell’attesa di occuparsi della questione, circostanza questa che potrebbe richiedere alcuni anni.

In realtà, il primo atto fu il richiamo a Israele di prevenire, con qualsiasi mezzo, possibili atti di violazione del diritto internazionale umanitario nella Striscia di Gaza e di consentire l’accesso agli aiuti.

In seguito, con l’ordinanza n. 192, la Corte in primo luogo esaminò l’istanza del Sud Africa in merito all’applicazione di misure cautelari, in particolare con riferimento alle operazioni militari nella Striscia di Gaza.

Inoltre, ordinò allo Stato di Israele di assicurare che “qualsiasi unità militare o irregolare armata che potesse essere diretta, sostenuta o influenzata da esso, così come qualsiasi organizzazione e persona che potessero essere soggette al suo controllo, direzione o influenza, non intraprendessero alcuna azione a favore delle operazioni militari menzionate”.

Israele avrebbe dovuto intervenire rapidamente per prendere tutte le misure in suo potere al fine  di impedire al suo esercito di commettere crimini di guerra nella Striscia di Gaza.

Allo stesso tempo, però, la Corte non ha ordinato a Israele di interrompere i combattimenti e non ha imposto un cessate il fuoco, come invece aveva chiesto il Sudafrica.

Tuttavia, accogliendo la richiesta del Sudafrica di applicare misure provvisorie, la Corte ha riconosciuto che l’accusa di genocidio è quanto meno “plausibile”, ma, da questo punto di visto la Corte non è approdata ancora ad una sentenza in favore del  ricorso sudafricano.

In sostanza, per utilizzare le parole della Corte, si ritenne che “per loro stessa natura, almeno alcune delle misure cautelari richieste dal Sudafrica mirassero a preservare i diritti plausibili che esso sostiene sulla base della Convenzione sul genocidio nel caso in questione, ovvero il diritto dei palestinesi a Gaza di essere protetti da atti di genocidio”.

Per questo, la Corte ha adottato cinque misure “provvisorie” che intimano a Israele di impedire la violazione della Convenzione sul genocidio, di ricorrere ad alcuni interventi come la punizione di cittadini israeliani che incitano al genocidio e, nello stesso tempo, di consentire l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, senza limitazioni e contrastando anche la distruzione di prove che possano essere usate.

In un certo senso la Corte ha riconosciuto il cosiddetto  fumus boni juris (la non manifesta infondatezza) del ricorso del Sud Africa, ma non ha ritenuto l’esistenza di un danno grave e irreparabile (c.d. periculum in mora) tale da ordinare a Israele di far cessare le attività belliche.

Alcune settimane dopo, il Sudafrica ha richiesto ulteriori misure in risposta all’intenzione annunciata da Israele di attaccare Rafah, ma la Corte ha respinto questa richiesta.

All’inizio del mese di marzo di quest’anno, poi, il Sudafrica ha rinnovato la sua richiesta di misure di emergenza contro Israele.

Più tardi in quel mese, la Corte ha ordinato a Israele di garantire la consegna di “aiuti umanitari urgenti” a Gaza, alla luce di “una carestia che ha cominciato a diffondersi” nella Striscia devastata dalla guerra.

Recentemente, alcuni Paesi tra cui Libia, Egitto e Turchia hanno annunciato alla Corte la loro intenzione di sostenere la causa del Sudafrica contro Israele.

A questa azione della Corte Internazionale di Giustizia si è aggiunto poco dopo l’intervento della Corte Penale Internazionale, che come abbiamo visto in precedenza può pronunciare incriminazioni a carico di individui. Israele come l’Ucraina, non riconosce la giurisdizione della Corte, pur avendo firmato lo Statuto di Roma, però, a differenza dell’Ucraina ha anche dichiarato (2002) alle Nazioni Unite di non aver intenzione di diventarne parte.

Comunque il 20 maggio del 2024, il procuratore della Corte penale internazionale, Karim Khan, ha configurato due mandati d’arresto sia contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il ministro della difesa Yoav Gallant ed anche per tre leader di Hamas.

La richiesta di arresto è stata inviata sulla base di violazione del diritto internazionale penale, in sostanza per aver commesso crimini contro l’umanità, non solo in ragione della violenza bellica esercitata, ma anche per “aver ridotto deliberatamente i civili palestinesi alla fame”, e quindi per “omicidio volontario” e, soprattutto, e qui sta il nodo giuridico più importante, per “sterminio”[3].

Quest’ultimo capo di imputazione è riferito, secondo la sentenza pronunciata da Khan, alla perpetrazione di crimini contro l’umanità in quanto “parte di un’offensiva sistematica” dell’esercito condotta contro gli abitanti della Striscia di Gaza.

La stessa Corte ha poi condannato anche la condotta militare del movimento Hamas, reo di aver compiuto un massacro indiscriminato su civili e per condurre il conflitto senza il rispetto del diritto internazionale umanitario.

Per questi motivi, le accuse mosse contro i capi militari di Hamas, tra cui il leader Yahya Sinwar e il leader di Hamas, Haniyeh, comprendono capi di imputazione quali lo “sterminio”, la “presa di ostaggi” e anche lo “stupro e altre forme di violenza sessuale”, azioni che rientrano nei crimini di guerra contro l’umanità.

Con questi capi di imputazione, la Corte ha in qualche modo equiparato la condotta del governo israeliano a quella dei dirigenti del movimento islamista, questione immediatamente rifiutata dall’esecutivo israeliano.

È probabilmente l’inizio di un conflitto parallelo sul diritto e la giustizia internazionale, sebbene Israele non riconosca la Corte stessa, almeno per ora.

Nel frattempo, tornando sul versante ucraino, il 25 giugno la Corte penale internazionale ha emesso due nuovi mandati di arresto internazionale (al momento secretati) che coinvolgono direttamente i vertici delle forze armate russe: i generali Sergej Shoigu (è stato, come noto, anche ministro della difesa e comandante in capo dell’invasione dell’Ucraina, ed ora segretario del Consiglio di sicurezza) e Valery Gerasimov, attuale capo di Stato maggiore e proprio per questo il più alto in grado nell’esercito russo.

I due generali sono accusati di crimini e di “atti inumani” contro la popolazione civile ucraina, in quanto vittima, tra il 10 ottobre 2022 e il 9 marzo 2023, di una strategia e di una campagna militare di bombardamenti indiscriminati degli edifici residenziali e delle infrastrutture delle città e dei paesi, volta a infierire proprio su quella parte di popolazione inerme.

La Corte condanna e sanziona questo tipo di condotta bellica che si accanisce contro donne, anziani e bambini e che quindi viene ritenuta odiosa e inumana, proprio perché causa danni sproporzionati contro i civili ed è stata utilizzata per fiaccare la reazione militare e politica del governo ucraino, soprattutto nella prima fase dell’invasione.

Sembra l’inizio di un’azione più estesa sui numerosi crimini dell’esercito russo che intraprenderà la Corte nei prossimi mesi ed anni.


[1] In ogni caso, attraverso una dichiarazione  le autorità politiche di uno Stato possono manifestare l’intenzione di accogliere la giurisdizione della Corte, in base all’articolo 12(3) dello Statuto di Roma. Tale articolo consente a uno Stato, non parte del Trattato, di accettare su basi ad hoc, la competenza della Corte, assumendo al contempo gli obblighi di cooperazione di cui al Capo 9 dello Statuto. Situazione che si è già definita, su richiesta della parte palestinese,  anche nella storia del conflitto con Israele.

[2] Tale Convenzione è un trattato internazionale, approvato dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1948, ratificato anche da Israele e dal Sudafrica. Però va ricordato che Israele ha accolto la giurisdizione obbligatoria della Corte, ma nello stesso tempo ha formulato riserve sulla giurisdizione della Corte in merito a diverse categorie di casi. Questo significa che Israele non è obbligato a sottoporsi alla giurisdizione della Corte per tutte le dispute attivate dalla Corte Internazionale di Giustizia.

[3] Sebbene il triste calcolo delle vittime in questo caso sia più complicato, se non fuori controllo, rispetto a quello del conflitto russo-ucraino, i morti hanno raggiunto una cifra assai elevata che varia dai ventimila ai trentamila. I soldati israeliani caduti fin ad ora sono più di trecento.

Crediti foto: Foreign and Commonwealth OfficeCC BY 2.0, via Wikimedia Commons

  • Leonida Tedoldi

    Storico delle istituzioni politiche e politologo, è docente di Storia delle istituzioni politiche all’Università di Bergamo.