Damiano Palano, docente di filosofia politica in Cattolica, già nel titolo di questo suo ultimo lavoro, “Animale politico. Introduzione allo studio dei fenomeni politici”, Scholé, 316 pp., 25€, rimanda alla nota definizione di Aristotele (384-322 a.C.), secondo la quale solo vivendo nella polis gli esseri umani possono abbandonare la condizione barbara e abbietta di chi “vive privo di fratrìa, di leggi, di focolare”, sottoponendo sé stessi ai fini della comunità politica riassumibili nel perseguimento del “bene supremo”. Da qui, da parte dell’autore, un vastissimo ordito lungo due direzioni: da un lato un excursus attraverso i secoli nel corso dei quali svariati pensatori si sono cimentati nell’impegno a delineare i connotati propri della politica e la sua natura in rapporto ai diversi sviluppi storici, dalla polis all’Impero, dallo Stato nazionale all’odierna globalizzazione sino al dispiegamento delle relazioni internazionali; dall’altro lato una disamina assai approfondita e puntuale dei fondamenti epistemologici e delle procedure metodologiche di quell’insieme di discipline che si misurano con la categoria del “politico”. Impossibile in questa sede rendere conto di una trattazione che, alla fine, dopo affondi portati in direzione di svariate scuole e correnti di pensiero, viene a configurare una sorta di manuale dal quale in sede universitaria non si potrà più prescindere.
Con una scelta a forte rischio di arbitrarietà, tuttavia almeno tre sottolineature ed altrettante puntualizzazioni. La prima: la polis come dimensione non naturale, ma artificiale, una sfera nella quale vigono rapporti e leggi differenti da quelli dell’oikos, della casa, della famiglia. E ancora come ambito retto su un ordinamento -la politèia – che riconosce la condizione della cittadinanza, dell’essere cittadino. Dunque la polis come spazio orizzontale della partecipazione, secondo una concezione che con la perdita di autonomia delle città greche, progressivamente cede consistenza per lasciare campo, nel passaggio all’età moderna con la nascita degli Stati, ad una politica verticalizzata, inglobata entro una sfera separata da quella società in cui operano i soggetti privati. La seconda: il confronto tra antropologie ottimiste e antropologie pessimiste a proposito della politica. Le une a sostenere una disposizione cooperativa e le altre una conflittuale tra gli esseri umani. Passando in rassegna i modelli, rispettivamente aristotelico, giusnaturalistico, storicista e evoluzionistico, Palano mette a confronto una interpretazione della politica come esito di fattori culturali, di dinamiche economiche, di conflitti sociali e una che, di contro, è tesa a sottolineare peso e influenza della natura riscontrabile, ad esempio, nella ricerca del potere come esito di tendenze immutabili definitesi nel corso della vicenda dell’homo sapiens. Dunque la politica come Giano bifronte: per un verso con le sembianze della lotta, della guerra per la conquista del dominio, per un altro verso con i tratti rassicuranti dell’integrazione, del governo della comunità, della preservazione della convivenza.
Infine il ritorno ad Aristotele e alle letture elaborate dell’“animale politico” a cominciare dalla tesi secondo la quale, conseguentemente, anche “la politica è animale”. Qui Palano si misura con alcuni maggiori -Heidegger e l’ “animale progettuale”, Gehlen, Cassirer e l “animale simbolico” – sino poi a tematizzare la categoria dell’“animale comunitario” dovuta a Carl J. Friedrich con la sua forte sottolineatura della politicità dell’essere umano. In effetti Friedrich chiarisce come l’esistenza di una comunità costituisce un presupposto in assenza del quale non possiamo neppure parlare di politica. Pertanto la costruzione della comunità è propriamente l’attività in cui l’essere umano si palesa come “animale politico” in grado di relazionarsi ad altri attraverso comuni legami: valori, interessi, idee, simboli, miti. Per concludere: la politica come forma specifica delle relazioni con cui si organizza la vita associata tra obbedienza alle leggi e ricerca della libertà.