È molto utile tornare a riflettere su quanto è accaduto a Bari di recente. I fatti sono noti: il ministro dell’Interno Piantedosi, dopo un’inchiesta della magistratura con decine di arresti, ha deciso di inviare la commissione d’accesso al comune di Bari per verificare se ci siano elementi di infiltrazione mafiosa tali da richiedere lo scioglimento del consiglio comunale.

Il ministro non avrebbe dovuto inviare la commissione di accesso perché lo ha fatto in modo talmente maldestro da far comprendere a tutti l’intento strumentale, proprio alla vigilia del voto amministrativo a Bari. Mettere sotto accusa il sindaco e il consiglio comunale significa immaginare di avere una chance di conquistare il comune; così hanno pensato coloro che l’hanno indotto a fare quel gesto così sconclusionato. Di norma la commissione, prima di essere inviata, passa al vaglio del comitato provinciale per l’ordine pubblico e la sicurezza nel quale siedono prefetto, questore, comandante dei carabinieri e della guardia di finanza, Direzione investigativa antimafia, procuratore della Repubblica. Sono loro che, vagliati tutti gli elementi, decidono se richiedere al ministro l’invio della commissione d’accesso.

A Bari, tutto ciò non è accaduto. È accaduto, invece, che il ministro ha di fatto ceduto alle richieste di alcuni parlamentari pugliesi della sua maggioranza. Forse il ministro non ha calcolato il fatto che scavalcando i poteri locali li ha di fatto commissariati e delegittimati. Avrebbe dovuto attendere che fosse il comitato provinciale per l’ordine pubblico a valutare l’intera questione. Se si fosse tenuta la riunione del comitato provinciale il procuratore della Repubblica di Bari avrebbe ribadito l’elogio al sindaco per l’impegno del comune contro la mafia e avrebbe ricordato che il sindaco è da oltre nove anni sotto scorta perché i mafiosi lo considerano un nemico e un ostacolo. Nelle intercettazioni i mafiosi dicevano di votare l’avversario di De Caro perché De Caro non era disponibile a pagare i voti. Tutto ciò a Bari è noto ed è noto a prefetto, questore, carabinieri, finanzieri, oltre che ai magistrati.

L’impressione è che il ministro si sia fatto strumentalizzare da quei parlamentari che hanno richiesto la commissione d’accesso e che ha ricevuto proprio prima dell’invio della commissione, parlamentari che, per immortalare l’evento, hanno postato una foto con il ministro. Una foto che rimarrà nella storia della città di Bari. Così facendo ha dato l’impressione che una legge approvata per contrastare il condizionamento mafioso nei comuni possa essere usata a mo’ di clava contro gli avversari politici.

Ci sono delle anomalie nella vicenda del comune di Bari e nell’invio della commissione d’accesso. La prima anomalia è che non c’è nessun atto amministrativo del comune che risulti sotto indagine. Non c’è delibera del consiglio comunale o della giunta che sia stata sottoposta a censura. Sindaco e assessori non risultano indagati. C’è solo un problema che riguarda le partecipate. Per alcune di queste, il sindaco aveva rimosso il responsabile. C’è solo una consigliera comunale che è stata arrestata. La signora era stata eletta con il sostegno dei partiti di quei parlamentari che adesso chiedono lo scioglimento del consiglio comunale. La signora è poi transitata in campo opposto. Bisogna sempre diffidare di costoro. E non lo si fa mai abbastanza. A Bari tutti sanno che il sindaco De Caro era contrario a questo cambio di campo perché la sua è una maggioranza molto ampia che non aveva bisogno di altri apporti. Peraltro la consigliera comunale non è accusata di aver in alcun modo determinato atti del sindaco e della giunta, e di non essere stata determinante in un nessun atto deliberato dal consiglio comunale.

È possibile sciogliere un consiglio comunale su presupposti così labili o non è il caso di rivedere su questo punto la norma prevedendo semmai la decadenza del soggetto coinvolto senza travolgere tutti gli altri? Da tempo si discute se non sia il caso di rivedere la norma approvata nel lontano 1991 e ritoccata successivamente in modo parziale e insufficiente. Io credo che la norma vada rivista. Ad esempio, lo scioglimento comporta un giudizio negativo su tutti i consiglieri, compresi quelli di opposizione che non avendo condiviso le scelte della maggioranza dovrebbero essere esclusi. Che responsabilità hanno nella gestione del comune? Nessuna. Eppure anche loro seguono la sorte degli altri consiglieri. Lo stigma coinvolge anche gli innocenti.

Se si decidesse di sciogliere il consiglio comunale di Bari si arriverebbe al paradosso d’un comune sciolto per l’attività di una sola persona non determinante in alcuna scelta, o per atti di una qualche partecipata; si scioglierebbe il consiglio comunale il cui sindaco ha combattuto la mafia correndo rischi personali come è stato certificato dal ministro dell’interno al punto che gli è stata confermato la scorta. In tutto ciò non c’è qualcosa che stride? Gli scioglimenti vanno fatti perché sono utili al rinvigorimento della democrazia, ma vanno fatti quando ne ricorrano i presupposti di legge, cioè quando ci siano elementi “concreti, univoci e rilevanti” come vuole la legge. E questa volta i presupposti non mi pare che ci siano.

Infine, in seguito ad una dichiarazione fuori luogo, sconclusionata, sgrammaticata del presidente della Regione Puglia Michele Emiliano la maggioranza ha chiesto l’audizione di Emiliano e di De Caro in Commissione antimafia. Così facendo si corre il rischio di trasformare la commissione in un manganello contro gli avversari politici. Ciò non è mai accaduto neanche ai tempi della guerra fredda e durante i governi Berlusconi quando in entrambe le circostanze nessuno pensò mai di utilizzare la commissione contro gli avversari politici. Eppure ci furono presidenti di tutte le aree politiche, ma, al di là di qualche turbolenza passeggera, la commissione fu messa sempre al riparo. Temo che qualcuno non si renda conto dei pericoli che corre la commissione. Il rischio di uno snaturamento c’è già stato quando si è iniziato a discutere della strage di via D’Amelio partendo dal dossier mafia-appalti del ROS di Palermo. Per quanto sia stato importante non credo che quel dossier sia stato il solo motivo per uccidere Borsellino a distanza di così poco tempo dalla strage di Capaci e dalla morte di Falcone.

Mi è già capitato di scrivere che nella storia d’Italia non c’è mai stato un solo motivo per un omicidio di un certo rilievo o per una strage; ci può essere un motivo scatenante, ma non è mai l’unico e, a volte, neanche il più importante. C’è di solito una “convergenza di interessi”, per citare un’espressione usata nel rinvio a giudizio del maxiprocesso, tra mafiosi e altri che mafiosi non sono. A Giorgio Bocca, che chiede perché è stato ammazzato La Torre, il prefetto dalla Chiesa risponde: per tutta una vita. Proprio così: per tutta una vita. Ma questo vale non solo per La Torre ma anche per dalla Chiesa, Falcone e Borsellino. Per questo è utile che la commissione antimafia ragioni sulla “convergenza di interessi” di tutte le stragi. Solo così potrà dare un contributo rilevante per accertare la verità politica sulle stragi.

(Foto: Di Albinfo – wikimedia.org)

  • Enzo Ciconte

    Politico e saggista, è stato deputato della Repubblica dal 1987 al 1992. Si è sempre occupato delle dinamiche delle grandi associazioni mafiose, approfondendo in particolare i meccanismi di penetrazione delle mafie al nord e i rapporti tra criminalità mafiosa e criminalità locale. Dal 2013 insegna Storia delle mafie Italiane presso il Collegio di merito Santa Caterina dell'Università di Pavia.