Mon corps mon choix: “il corpo è mio e scelgo io”, così si potrebbe tradurre la scritta che campeggiava a caratteri cubitali sulla Torre Eiffel dopo l’approvazione (4 marzo 2024) a larga maggioranza (780 favorevoli, 72 contrari) dell’inserimento nell’articolo 34 della Costituzione delle proposizioni: “La legge determina le condizioni nelle quali si esercita la libertà garantita alle donne di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza”. Il tenore dello slogan è chiaramente diverso da quello del nuovo dettato costituzionale, ma si deve riconoscere che le esigenze di una efficace comunicazione hanno il sopravvento sulla pacatezza del testo normativo e sono queste a creare mentalità (i titoli dei quotidiani italiani del 5 marzo ne sono la dimostrazione). Le manifestazioni che sono seguite a detta approvazione non sono state meno eclatanti dello slogan: un senso di vittoria ha attraversato buona parte della società francese, notoriamente paladina dei diritti individuali. Per avvedersene basterebbe ricordare la sorte toccata al brocardo nato nella rivoluzione di fine Settecento liberté, égalité, fraternité: ha perso abbastanza in fretta l’ultimo dei termini, creando una specie di paradosso – peraltro attestato dallo sviluppo della stessa rivoluzione – riscontrabile nel fatto che neppure libertà e uguaglianza hanno trovato effettiva attuazione. La scritta apparsa sulla Torre Eiffel raggiunge facilmente il suo scopo: evocazione di diritti individuali – in questo caso soprattutto delle donne – difesa dell’autoderminazione, avallo di processi emancipativi. Nel nostro contesto fa eco a uno slogan che alcuni decenni orsono risuonava in molte piazze: “Il mio corpo è mio e me lo gestisco io”. Non si può negare valore al desiderio di libera autoderminazione: la libertà è una delle connotazioni fondamentali degli esseri umani e va salvaguardata in ogni circostanza. Nel caso in questione, a una pacata riflessione, sorge almeno un interrogativo, che non vuole in alcun modo sottacere il dramma delle donne costrette a interrompere la gravidanza. Del resto, anche il premier francese Gabriel Attal, aprendo la seduta del parlamento nella quale si doveva discutere l’inserimento in Costituzione della modifica sopra citata, dichiarava che i legislatori hanno un debito morale nei confronti di tutte le donne che hanno sofferto a causa di aborti illegali. Qui si vuole brevemente riflettere soltanto sull’idea di corpo che lo slogan lascia intendere. Anzitutto, esso sembra dimenticare che il proprio corpo esiste solo perché dato da altri. C’è quindi una imprescindibile condizione per essere al mondo, ed è un legame sociale. Ciò sta a significare che non c’è un corpo che non supponga altri corpi. Al riguardo, basterebbe tenere in conto il codice genetico che “governa” ogni corpo. Una concezione del corpo privo di legami non pare corrispondere al dato biologico. Si può sicuramente osservare che, una volta dato, un corpo è autonomo e la persona che lo “possiede” (sembra questo il sottofondo dello slogan francese, che rischia di identificare il corpo come “cosa” che una persona “possiede”) può decidere autonomamente di esso. Resta tuttavia che un embrione è almeno il principio/programma di un altro corpo, benché ora abbia bisogno del corpo della donna per vivere (ma quale corpo non ha bisogno di altri corpi?). Far passare l’idea che il proprio corpo ha maggiori diritti di un altro in rapporto al quale si può decidere potrebbe aprire la strada a derive socialmente non esaltanti, al di là delle buone intenzioni del legislatore.

(Foto di Andreea Petruti su Unsplash)

  • Giacomo Canobbio

    Professore di Teologia sistematica presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, direttore scientifico dell'Accademia Cattolica di Brescia e delegato vescovile per la pastorale della cultura. È stato presidente dell’Associazione teologica italiana dal 1995 al 2003.