Dopo ogni consultazione elettorale, locale o nazionale, emergono i tratti di una crisi della partecipazione democratica e, più in generale, della disaffezione alla politica.

Vi sono tre parole che vengono in aiuto a rileggere queste crisi: cittadini, sudditi, apolidi. I primi appartengono a una comunità politica in condizioni di libertà e uguaglianza, godono di una serie di diritti (civili, politici, sociali…) e hanno una serie di doveri, indispensabili per salvaguardare i diritti, la stessa condizione di cittadino e la comunità politica. I sudditi sono soggetti all’autorità di un monarca, o all’autorità di uno Stato senza goderne i diritti politici. Non solo le monarchie, ma anche tutti quei Paesi (Russia e Cina?), dove i governanti sono superiori alle leggi e i sudditi sono sottoposti al potere arbitrario di un uomo o di alcuni uomini. Infine, gli apolidi sono coloro che non sono cittadini di alcuno Stato, persone prive di qualunque cittadinanza. E che sono invisibili. Vivono senza diritti, «non hanno il diritto ad avere diritti», secondo un’espressione della filosofa politica Arendt (che ha vissuto gran parte della sua vita da apolide). Sono spogliate di ogni identità sociale e politica.

Parafrasando le definizioni giuridiche, chi sono i cittadini, i sudditi e gli apolidi oggi, nell’Italia del 2024? Potremmo chiamare apolidi coloro che sono indifferenti, che non vedono i bisogni e nemmeno i diritti degli altri. Equidistanti, apatici, intorpiditi, menefreghisti? Chi si disinteressa di tutto e di tutti, facendo egoisticamente i propri comodi senza impegnarsi. Chi pensa solo ai propri diritti (o forse meglio dire privilegi perché, quando i diritti non sono più di tutti ma solo di pochi diventano privilegi), chi pretende senza riconoscere che i diritti e i doveri sono due facce della stessa medaglia: la convivenza sociale.

Potremmo chiamare sudditi coloro che sono rassegnati e impauriti, e dunque passivi. In una democrazia la paura è un pericolo perché una fiducia orizzontale deve connettere tutti i cittadini, dobbiamo guardarci negli occhi da pari a pari. La paura può avvelenare il tessuto sociale. Quando i problemi sono complessi o le loro cause non comprese bene, la paura conduce a dare la colpa a singoli o a gruppi e ad alimentare i complottismi. Si finisce per considerarsi osteggiati, oppressi, perseguitati da persone e circostanze, e per lamentarsene. Il vittimismo, quel tratto identitario dell’attuale classe politica governante, diventa una postura sociale. I sudditi preferiscono un uomo (o una donna) forte, leggi più repressive, strutture più rigide.

Infine, parafrasando le qualità dei cittadini, potremmo riconoscere come tali coloro che si sentono parte, che non sono estranei, che si prendono cura. Sono solidali, «fratelli tutti». La cittadinanza è la declinazione politica della fratellanza. Non è un caso che papa Francesco nell’enciclica Fratelli Tutti ci offra l’icona evangelica del buon samaritano, di chi non passa oltre (come gli apolidi o i sudditi) ma di chi vede i bisogni e i diritti degli altri (a cominciare dagli ultimi), di chi si fa vicino, si china sulle loro ferite e le cura con competenza. Poi carica il malcapitato sul proprio asino, lo porta a una locanda e lascia due denari all’albergatore affinché si prenda cura di lui rendendosi disponibile a ripagare ciò che spenderà in più e mettendo così in moto un’economia virtuosa. “È un testo che ci invita a far risorgere la nostra vocazione di cittadini del nostro Paese e del mondo intero, costruttori di un nuovo legame sociale” (n. 66 Fratelli Tutti).

I cittadini non sono eroi, semplicemente non voltano lo sguardo altrove, non sono né indifferenti né rassegnati. La nostra democrazia, oggi in Italia, ha bisogno di cittadini consapevoli dei propri doveri, più che di leader forti, anche se essere cittadini può sembrare noioso. La democrazia ha bisogno di cittadini che guardano il mondo con gli occhi degli altri, che si mettono nei panni dell’altro, perché la compassione e l’empatia sono il fondamento etico della cittadinanza.

Queste intuizioni su che cosa voglia dire essere sudditi, apolidi e cittadini oggi non ci autorizzano a etichettare categorie di persone: “i giovani sono tutti apolidi, mentre troppi anziani si comportano da sudditi”. Infatti, ciascuno di noi, in una sola giornata, può essere apolide, suddito e cittadino. Tutte e tre queste dimensioni convivono, a volte prevale l’una a volte l’altra. Cominciamo a riconoscerle, a chiamarle con il nome giusto, a provare a capire in quali situazioni rischiamo di scivolare nella sudditanza o di essere troppo apatici. Che cosa agevola il mio/nostro essere cittadini? E chissà che la crisi della partecipazione democratica avrà esiti insperati!

(Foto: www.wikipedia.org)

  • Chiara Tintori

    Politologa e saggista, già redattrice della rivista Aggiornamenti Sociali.