La recente approvazione al Senato della cosiddetta Autonomia differenziata (che consente alle Regioni che ne fanno richiesta di ottenere competenze esclusive in altre 23 materie oggi gestite dallo Stato centrale, oltre a quelle già esercitate) dimostra che la Lega di Salvini, Calderoli, Zaia e Fontana è stata fino in fondo coerente con l’obiettivo che si diede Umberto Bossi quando nel 1984 fondò la Lega autonomista lombarda, trasformatasi poi in Lega Nord. Operare, cioè, una drastica revisione delle fondamenta unitarie della nazione. L’autonomia differenziata è, perciò, solo l’ultima versione di un lucido disegno avviato quasi mezzo secolo fa per rendere le divisioni territoriali dell’Italia irreversibili (soprattutto quella tra nord e sud), sanzionarle con un nuovo sistema istituzionale basato sulla potestà delle regioni e sulla rarefazione del potere statale e centrale, assicurare un vantaggio cospicuo alle regioni del nord (tornate ad essere esclusiva base elettorale della Lega) a cui successivamente garantire anche l’utilizzo in loco delle tasse dei propri concittadini.

Insomma, viene ratificato il principio di “superiorità geografica”, una specie di “ius loci” che autorizza maggiori diritti per alcuni abitanti della stessa nazione che vivono in diversi territori. È evidente che in questo modo l’Italia cessa di essere una nazione, se ne scardina la sua essenza dando vita a un nuovo sistema istituzionale, che si può correttamente definire di “poliarchia regionale”. Frantumare lo Stato-nazione è stata nei fatti la strategia principale della Lega perseguita in tutti questi anni. Questa strategia antiunitaria e antinazionale ha cambiato nome nel tempo.  Si è chiamata “Repubblica del nord”, “Indipendenza della Padania”, “Secessione”, “Devolution”, “Federalismo”, ma la sostanza non si è mai modificata: un autonomismo divisivo, un regionalismo differenziante e anti-egualitario.

Con l’approvazione dell’Autonomia differenziata, infatti,  viene sancito il principio che ogni Regione è padrona del suo territorio, senza legami con i destini nazionali e senza corresponsabilità con i compiti di riduzione dei divari tra i cittadini dello stesso Paese. Perciò questo autonomismo spericolato ha molto a che fare con una specie di etno-regionalismo, perché trasforma le diversità territoriali (legittime e naturali) in stabili disuguaglianze sociali e civili. La disuguaglianza di luogo si aggiunge così alle tante già in essere nella nostra società.

Come dimenticare che nella prima campagna elettorale di Umberto Bossi le parole d’ordine erano le seguenti: “A casa loro i terroni! Precedenza ai lombardi nell’assegnazione di lavoro, abitazioni, assistenza, contributi finanziari. I frutti del lavoro e le tasse dei lombardi siano controllati e gestiti da lombardi”.

Come non ricordare la proposta di Gianfranco Miglio, per anni il principale ideologo della Lega in materia, di trasformare l’Italia in tre Macroregioni (Nord, Centro e Sud): “Io sono per il mantenimento anche della mafia e della ‘ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos’è la mafia? Potere personale spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. C’è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate. Tra Nord e Sud c’è una differenza antropologica”. Queste parole rispecchiavano il pensiero della Lega di quegli anni: il regionalismo immaginato come creazione di nuovi Stati e come legittimazione di presunte differenze antropologiche della nazione. Perciò, le varie fasi successive alla proposta di Miglio sono state solo un adeguamento alle condizioni storiche e politiche mutate.

Nello stesso statuto della Lega approvato nel 2012 (cioè poco più di 10 anni fa) si parla del “conseguimento dell’indipendenza della Padania quale Repubblica federale indipendente e sovrana”. E il ministro Calderoli, che oggi descrive l’autonomia differenziata addirittura come un’occasione per il Sud, ha sempre sostenuto queste assurde posizioni sud-fobiche.  Fu nominato, infatti, presidente della Lega Nord nel periodo in cui essa propugnava una “Padania libera e indipendente” e nel 2011 fu eletto addirittura presidente del fantomatico Parlamento del Nord, quella messinscena teatrale organizzata dal suo partito. Nel 2006 dichiarò: “Napoli è una fogna da bonificare. Qualsiasi trasferimento di risorse a questa città, che rappresenta un insulto al paese, sarebbe assurdo e ingiustificato”. Durante il referendum costituzionale voluto da Renzi ebbe a dire: “Oggi sono fortunatamente in Valtellina, ma la settimana prossima devo andare in Calabria, in Puglia e in Campania. Già, perché votano anche loro”. Nel 1996 aveva commentato i contenuti di un concorso pubblico con queste parole: “Si assumano i meridionali nelle scuole e negli enti pubblici solo dopo che saranno stati collocati tutti i padani che avanzeranno richiesta di impiego e gli insegnanti meridionali la smettano di protestare e pensino a lavorare. Considerando il tasso di analfabetismo nel Sud, riteniamo che del lavoro ce ne sia a sufficienza a casa loro”. Lo stesso Calderoli contestò la moglie del Presidente della Repubblica Ciampi perché si era permessa di dire “Amo profondamente il Sud”, chiedendo addirittura una smentita di queste parole. D’altra parte, Calderoli è esperto di leggi-inganno, come avvenne con la riforma elettorale detta “Porcellum” da lui ideata e definita una “porcata”, legge che poi fu bocciata dalla Corte costituzionale.

In questi giorni la Svimez, insieme a Save The Children, ha reso pubblico un suo rapporto sulle discrepanze insopportabili nei servizi pubblici tra Nord e Sud, in particolare nella sanità. Nel 2022, per esempio, per il tumore al seno un terzo delle donne che vive in Calabria si è operata in un ospedale lombardo e poco meno di un quarto è partita per il Lazio. Chi vive a Reggio Emilia può scoprire di avere una patologia in anticipo rispetto a chi vive a Reggio Calabria e, quindi, può curarsi a due passi da casa mentre altri cittadini italiani debbono farlo a mille chilometri di distanza. Dove si fa meno prevenzione evidentemente la speranza di vita è più bassa: nel Meridione è di 81,7 anni nel 2022, 1,3 anni in meno del Centro e del Nord-Ovest, 1,5 rispetto al Nord-Est. Un anziano di Reggio Calabria non godrà della stessa assistenza domiciliare di Bolzano e in linea di massima morirà due anni e mezzo prima di un nonno di Trento. Se poi vive a Napoli addirittura avrà 3 anni e mezzo in meno di aspettativa di vita rispetto a un nonno di Bolzano.

È impressionante, poi, il dato degli alunni della scuola primaria senza mensa: nel Mezzogiorno quasi l’80% degli scolari non beneficia di alcun servizio mensa (con punte dell’87% in Campania e dell’88% in Sicilia). Da ricordare che nel Sud più che l’orario prolungato si registra un largo uso dell’orario ridotto. Si perdono così 4 ore di scuola a settimana rispetto al Nord, cioè si fanno meno ore laddove di scuola c’è maledettamente bisogno. Un bambino meridionale avrà più difficoltà a frequentare un asilo pubblico perché ce ne sono in funzione molti ma molti meno; e se avrà problemi dovrà scontare la differenza tra il numero di assistenti sociali di cui dispone un Comune centro-settentrionale rispetto a uno meridionale. L’evasione e la dispersione scolastica sono imparagonabili tra Bologna e Napoli.

In Italia se vivi, lavori, studi, ti ammali o invecchi al Sud cambiano radicalmente le tue opportunità e le tue possibilità. Una delle più stridenti incongruenze del nostro Paese è che una parte di esso (pari a ben 20 milioni di abitanti e al 41% dell’intera superficie geografica) vive in condizioni sociali, economiche e civili così differenti da farla sembrare quasi una nazione a parte, un’Italia minore. Se nascere in un posto diverso della stessa nazione determina di per sé un handicap di partenza, ciò è nei fatti contro la Costituzione e la dignità. In questo quadro, l’Autonomia differenziata non sembra altro che un tentativo di costituzionalizzare gli squilibri storici dell’Italia. La rinuncia totale a fare dell’Italia una nazione meno differenziata è il veleno politico che sta dietro la strategia della Lega

Ed è incredibile che il partito di Salvini ottenga ciò che ha sempre desiderato (la divisione dell’Italia) mentre il governo è presieduto dalla rappresentante di una forza politica che nelle sue diverse denominazioni ha sempre fatto del binomio Patria e Stato un mantra politico-identitario. Come si può essere al tempo stesso nazionalisti, patriottici e localisti esasperati? Si vede che in Italia si definiscono patriottici anche gli sfascianazione!

Evidentemente non c’è solo lo scambio tra approvazione dell’Autonomia differenziata e la riforma sul premierato perseguita a tutti i costi dalla Meloni. Fratelli d’Italia si accinge a sfidare la Lega sui suoi territori e per farlo ne deve sposare anche le pulsioni autonomiste. Come possono le destre italiane sfidarsi a chi è più patriottica e nazionalista mentre sferrano un colpo alle ragioni dello stare insieme di cui non c’è eguale nella storia del dopoguerra? È questo un mistero della politica italiana dei nostri giorni.

(Foto di Hans-Peter Gauster su Unsplash)

  • Scrittore, insegna Storia delle mafie presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, a Napoli.