Bisogna prendere atto che siamo collocati in uno scenario mondiale inquietante, nel quale il nostro paese e tutta l’Europa faticano a trovare un loro posizionamento mentre crescono le avversità e le fragilità tendono a consolidarsi. Non credo che innanzi a una situazione così complessa, difficile e delicata bastino i frequenti tour esteri della nostra Presidente del Consiglio a rassicurarci.

Servirebbero un Paese e un’Europa più coesi. La coesione interna si crea quando la propaganda politica e la ricerca estenuante del consenso lasciano spazio alla comprensione del malessere profondo che sta attraversando in modo differenziate le persone.

Un paese in difficoltà, colpito da molteplici choc

In questo primo ventennio del millennio s’è visto un succedersi di choc che hanno inciso in profondità nel corpo vivo della società: la decennale crisi economico-finanziaria che ha messo in crisi l’idea di un progresso economico inarrestabile; la pandemia che con le sue morti e gli isolamenti ha generato nell’inconscio collettivo un nuovo concetto di insicurezza; l’aggressione russa all’Ucraina che ha riportato la guerra entro il territorio europeo mettendo fine all’ottimismo post-coloniale che considerava le vicende belliche un problema legato al sottosviluppo; la guerra in Medio Oriente che ha messo a nudo l’impotenza dei grandi organismi internazionali; la crisi energetica e la conseguente crescita dell’inflazione che ha generato la diffusione della povertà anche nei paesi più strutturati economicamente, democraticamente e socialmente; l’emergere in modo drammatico della questione ambientale e climatica che rende possibile l’estinzione del genere umano e delle specie viventi.

L’intrecciarsi di questi fattori contribuisce quotidianamente a generare un malessere sociale che produce il riemergere della violenza a livello sociale e individuale. Una situazione che non si può affrontare rivolgendosi al passato, ma che richiede un cambio di paradigma che non può essere affidato solo alla politica o all’economia ma richiede una presa di coscienza e di nuove attenzioni da parte della cosiddetta società civile, sia per quanto riguarda la pace e la creazione di un nuovo ordine mondiale, sia sul contrasto alla violenza e la creazione di nuove forme di economia. In Italia questa possibilità esiste, in quanto c’è un’importata diffusione del volontariato, di esperienze no profit, cooperativiste, solidaristiche e di impegno civile. Questi corpi intermedi possono aiutare la politica e la società italiana a germinare nuovi paradigmi e a non continuare ad affidarsi deterministicamente alla prassi capitalista e tecnocratica condizionata dall’ideologia neoliberista.

Uno sciopero diventato politico per responsabilità del governo

Per queste ragioni sono stato molto colpito dall’asprezza del confronto polemico tra sindacato (CGIL e UIL) e Governo e in particolare con il ministro delle infrastrutture, che nelle settimane precedenti aveva sostenuto alcune proposte al centro della mobilitazione (superamento della legge Fornero). I toni del ministro sono andati oltre e mi hanno riportato a molti anni fa. Questa entrata a gamba tesa (inopportuna) del ministro nella controversia, che avrebbe richiesto toni più pacati e razionali, ha alimentato nella mia testa un ampio pessimismo sulla possibilità che esista una volontà di essere all’altezza delle sfide sociali che sono in campo. Il ministro Salvini con la sua polemica ha di fatto realizzato il risultato che voleva scongiurare: trasformare una normale protesta sindacale in uno sciopero dai forti contenuti politici.

Il sindacato confederale non può essere tutore di interessi corporativi, ma agente del cambiamento sociale e essere protagonista di una rivalutazione del lavoro nei processi innovativi che stanno modificando la società. C’è oggi l’esigenza di radicare il lavoro nella società civile, all’interno del sistema di relazioni in cui si è installato, con propri diritti e potenza economica, sociale e tecnocratica, il capitalismo organizzato.

Quando eravamo giovani militanti, ci ricordava il prof. Giovanni Marongiu che il sindacato deve sempre essere contrappeso sociale, in quanto esperienza di libertà presso quella istanza decisiva dell’esistenza umana che è la politica, attraverso un percorso che non si sviluppa all’insegna di ruoli e di responsabilità , ma in una loro dinamica distinzione che rasenta la separazione, e che consegna al sindacato un ruolo di classe dirigente, per le conseguenze che le sue azioni hanno sull’intero tessuto economico e sociale.

Questa è sempre stata una distinzione chiara nel pensiero della CISL che non si è mai affidata a una visione classista che fa del sindacalismo la cinghia di trasmissione di forze o obiettivi politici, ma coltiva l’idea di sindacato come libera associazione tra le persone del lavoro che pertanto deve vivere nella democrazia, divenendo autentica espressione di libertà e di partecipazione. Questa tensione è purtroppo stata molto attenuata con l’appesantimento burocratico cui siamo stati incapaci di opporci.

Rilanciare il ruolo sociale del sindacato democratico

Oggi il sindacato si trova a vivere una situazione difficile e delicata. Dopo gli anni di forte crescita organizzativa e di ampliamento di ruolo, si trova a fare i conti con una serie di difficolta, come Bruno Manghi aveva preannunciato nel su libro Declinare crescendo, ovvero che la crescita impetuosa avrebbe generato una fase di declino.

Oggi il sindacalismo deve affrontare sfide inedite e confrontarsi con un governo che non rientra nella classificazione pro-labour, ma che si richiama a un modello decisionista di stampo conservatore e neoliberista che stenta a riconosce la rappresentanza e l’autonoma politicità dei corpi intermedi e del sindacato. Una visione che abbiamo vista declinarsi con molta chiarezza negli incontri che ha avuto con le organizzazioni sindacali: le si ascolta, ma non si perviene mai ad accordi vincolanti.

La polemica condotta in prima persona dal ministro Salvini contro il recente sciopero generale mirava, con una interpretazione strumentale delle osservazioni della Commissione di Garanzia, a delegittimare il sindacato nella proclamazione dello sciopero e delle modalità di attuazione e soprattutto a indebolirne il ruolo e la credibilità. Sono convinto che il sindacato doveva maggiormente tenere conto delle norme che regolano la indizione dello sciopero.

Va comunque ribadito che nella storia repubblicana .il sindacato ha sempre permesso ai governi di ogni colore e di diversa composizione di governare e seguire la propria linea politica, ma senza mai interrompere il dialogo e la necessità di contrattare. Il sindacato ha certamente generato momenti conflittuali ma anche avuto la capacità di governarli e non si mai abbandonato a posizioni estremistiche. Ricordo che è stato il soggetto che ha più di altri dato forza e sostegno nella lotta al terrorismo.

Oggi è più debole di qualche anno fa. Una debolezza che a mio parere nasce da tre problematiche: la rivoluzione tecnologica che ha modificato e sta riorganizzando profondamente l’organizzazione del lavoro e pertanto i contenuti dell’impegno sociale e sindacale; un processo di eccessiva burocratizzazione dell’organizzazione sindacale (la Cisl aveva introdotto nella modalità organizzativa la figura dell’operatore per andare oltre a quella di funzionario: oggi ho l’impressione che si stia tornando a quella di funzionario); l’indebolimento della democrazia associativa e una preminenza della dirigenza rispetto agli iscritti.

Fa bene la Cisl a porre la questione della democrazia economica, ma sarebbe utile che partisse dalla rivitalizzazione della democrazia interna. In Cisl si è sempre stati un poco restii ad assumere l’idea della classe per privilegiare l’idea associativa, ma questo presupponeva una forte e funzionate democrazia interna.

Fatte queste osservazioni, ritengo che il sindacato resti ancora l’unico strumento di difesa dei lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati nonché degli strati sociali più deboli e aggrediti dalla povertà e dalla precarietà.

 

 

Foto di Markus Spiske su Unsplash

  • Savino Pezzotta

    Già Segretario generale della CISL dal 2000 al 2006 e deputato dal 2008 al 2013