Di fronte agli orrori perpetrati da gruppi umani appare ineludibile la domanda: “Dio dov’è?”.

Non è più la domanda che Elie Wiesel sente salire dal cuore di fronte all’impiccagione del ragazzo dopo il fallimento dell’attentato nel campo di concentramento; non è neppure quella che risuona sulla bocca di Giobbe e trova eco nel dialogo tra Ivan Karamazov e il fratello Aloša, nonché nella protesta del dottor Rieux ne La peste di Albert Camus: qui si trattava di persone innocenti, la cui sorte veniva valutata a partire dal nesso tra colpa e pena.

L’attacco di Hamas a Israele con la ritorsione di questo nei confronti della striscia di Gaza pone più radicalmente la questione come sia possibile che l’umanità dimentichi così in fretta le esperienze atroci vissute e fatte vivere, e, per i credenti, perché Dio non intervenga a fermare processi autodistruttivi di porzioni di umanità. In fondo gli esempi ai quali ci si è richiamati sopra riguardavano singole persone, quasi si desse per scontato che le guerre facevano “naturalmente” parte della storia umana. Certo, la riflessione prima ebraica, poi cristiana, si era posta il problema teo-logico della Shoah e aveva trovato vie di soluzione nel ripensamento dell’onnipotenza di Dio, riprendendo un’idea della tradizione mistica dell’ebraismo secondo la quale Dio si sarebbe ritratto nel suo mondo per fare spazio alla sua creazione e quindi alla responsabilità degli esseri umani; oppure proponendo la concezione secondo la quale Dio sarebbe da pensare debole, capace solo di condividere la sofferenza del mondo, come – almeno per i cristiani – si coglierebbe nella croce di Gesù Cristo. Nulla da eccepire nei confronti di queste visioni, che lasciano però insoddisfatti: se anche Dio si ritrae nel suo mondo o è coinvolto nella fragilità degli esseri umani, chi ascolterà il grido di questi che reclama liberazione? In fondo, questa idea non risponde all’interrogativo posto all’inizio: lascia infatti inevasa la questione della matrice del male che affligge l’umanità.

La riflessione filosofica e teologica ha cercato di attribuire agli esseri umani la responsabilità degli orrori, e ciò in nome dell’identità di Dio, che è somma bontà. Nella tradizione antica si era introdotta l’idea che Dio non vuole il male, ma lo permette. Si tratta di un tentativo di mantenere, da una parte, la responsabilità degli esseri umani, dall’altra, di custodire uno degli attributi principali di Dio, la sua bontà. In questo modo si cercava di uscire anche dai sistemi dualistici, che rimandavano a cause trascendenti il bene e il male: la lotta che si svolge sulla terra è proiettata nel cielo, in attesa che il Dio del bene esca vincitore e quindi liberi anche il mondo dal male. Forme di dualismo permangono anche di fronte agli orrori di queste ultime settimane: se Kamenei – e con lui altri rappresentanti dell’Islam – ringraziano Allah per le azioni omicide di Hamas e alcuni gruppi ebrei chiedono a YHWH di punire Hamas, la lotta è trasferita tra le due divinità che proteggono i rispettivi fedeli. In questo modo però ogni popolo ha il suo Dio, che è nemico del Dio dell’altro popolo, con buona pace di quanti credono che c’è un solo Dio. Nonostante le dichiarazioni di Papa Francesco e del Grande Imam sunnita, Ahmad Al-Tayyeb, il riferimento a Dio diventa divisivo. Del resto la storia è testimone di questi processi proiettivi. Questi però non risolvono il problema: perché il Dio di un popolo non è stato in grado di proteggerlo dalle malefatte di un altro popolo? Si è nuovamente posti di fronte alla domanda cruciale circa la potenza di Dio. In questo senso l’ateismo sembra la soluzione più logica. Sembra! infatti anch’esso lascia aperta la questione della cattiveria umana.

La questione è in verità di carattere antropologico: gli esseri umani come possono arrivare a tanta nefandezza? Rimandare a ragioni di carattere economico, sociale, politico, è solo spostare il problema. Ci si deve infatti domandare perché queste ragioni, che alla fine sono frutto di scelte umane, riescano a produrre effetti tanto devastanti, e ancora prima: perché economia, organizzazione sociale e politica si modellano in questa forma? Si è pertanto rimandati alla considerazione della “natura” umana. Questa presenta aspetti tra loro contrapposti: in ogni essere umano c’è un doppio, che Doctor Jekyll e Mister Hyde rappresentano in forma estrema. Resta però aperta la questione delle ragioni per le quali in alcuni momenti l’aspetto malvagio prevalga fino a diventare l’unico che si manifesta. Va riconosciuto che molte volte, come nel caso dell’attacco di Hamas – come in genere in tutte le dichiarazioni di guerra o negli atti terroristici -, il fine è ritenuto buono o almeno è dichiarato tale (si veda la denominazione data da Putin all’invasione dell’Ucraina). Innegabile tuttavia il fatto che, al di là delle intenzioni, gli esiti sono malvagi.

Per risolvere la questione, nelle tradizioni mitico-religiose dell’umanità si è chiamato in causa un essere spirituale descritto come personificazione del male. Nella tradizione occidentale, sulla scorta della visione biblica, lo si è chiamato satana, che vuol dire avversario, o diavolo, che significa divisore. Il primo ha conosciuto una trasformazione nello sviluppo della letteratura biblica: da pubblico ministero di Dio è diventato suo oppositore e quindi oppositore degli esseri umani. Il secondo è presentato come colui che crea divisione all’interno di ogni essere umano e tra gli stessi esseri umani. Le due immagini convergono e aiutano a capire che gli esseri umani nelle loro scelte sono sollecitati a orientarsi verso il bene o verso il male, che è quanto dire a porsi al seguito di Dio o del satana. Come questo si possa verificare, lo dice l’esito delle scelte: se è costituito da vita e quindi da felicità o da morte e quindi da sofferenza. Visione mitologica questa? Lo si può concedere, mettendo però in conto che il mito non è illusione, bensì un modo per dire la vita e il suo significato. Gli orrori ai quali ancora una volta abbiamo dovuto assistere hanno origine da responsabilità umane sollecitate dal “divisore”. Gli orrori non appaiono però improvvisamente: si preparano gradualmente lasciando che il divisore si insedi poco a poco nel cuore delle persone, ammantato ideologicamente da bene.

(Foto di Fred Moon su Unsplash)

 

 

  • Giacomo Canobbio

    Professore di Teologia sistematica presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, direttore scientifico dell'Accademia Cattolica di Brescia e delegato vescovile per la pastorale della cultura. È stato presidente dell’Associazione teologica italiana dal 1995 al 2003.