È da tempo che Vincenzo De Luca rappresenta un serio problema per il Pd nazionale, già molto prima che la nuova segretaria, Elly Schlein, lo indicasse coraggiosamente come il cacicco per eccellenza e avviasse una radicale presa di distanza dal suo modo di governare e di intendere la politica. Egli è fonte continua di imbarazzi ogni qualvolta prende la parola in un’iniziativa pubblica o nei suoi sermoni televisivi. E qualunque sia l’argomento egli la spara grossa, offende per il piacere di umiliare gli altri, per compiacere con volgarità i suoi fans. Arroganza, dileggio, aggressività, improvvisazione, presunzione denotano il suo stile comunicativo.

De Luca è diventato, dunque, un caso per il Pd ed era ora che i nuovi vertici ne prendessero le distanze. Non c’è, infatti, nessun amministratore locale che sia più antitetico di lui con il profilo di “radicalità dolce e rassicurante” che la Schlein vuole trasmettere del suo partito sui temi ambientali, sociali, morali. Non può certo il Pd pensare di riprendere nel Sud spazi e voti persi nel corso degli ultimi anni aggrappandosi a quelle politiche clientelari e affaristiche di cui De Luca è in questo momento il massimo esponente. Il suo sistema di potere (e della sua famiglia) non ha eguali nella storia della sinistra italiana. Per durata, solidità di interessi e promozione di fedelissimi può paragonarsi solo al potere della famiglia Gava. Anzi si può dire che per la sua concezione della democrazia interna al Pd e per il suo modo spregiudicato di governare il presidente della Campania rappresenti la più riuscita fusione tra lo stalinismo e il gavianismo, tra autoritarismo, clientelismo e familismo, i lati peggiori della Dc e del Pci

L’ultima sparata Vincenzo De Luca l’ha fatta alcune settimane fa, dopo la notizia dello stupro di due ragazzine nel parco Verde di Caivano. Queste le sue dichiarazioni: “Caivano è un inferno in terra, bisogna istituire uno stato d’assedio vero e proprio militare. Serve uno stato d’assedio come si fa quando mandiamo i reparti militari nei luoghi di guerra. Dobbiamo decidere che per un anno bisogna togliere l’aria ai delinquenti”. Nessun esponente della destra italiana al governo, che pure ha varato un discutibile decreto infarcito di cultura poliziesca e securitaria, si era permesso di arrivare a questi toni, di proporre strampalate strategie del genere. A De Luca interessa impressionare più che fare, investire sui timori dei cittadini piuttosto che rimuoverne le cause. Insomma, un parolaio reazionario che è iscritto a un partito di sinistra e dirige a nome del Pd la più popolosa regione meridionale, un efficacissimo manager delle paure e niente affatto un riformatore della sanità e della pubblica amministrazione, come la sua gestione del Covid ha ampiamente dimostrato. Era arrivato addirittura a chiedere la chiusura delle “frontiere” della Campania e a stilare un contratto di acquisto di vaccini Sputnik dalla Russia! In Campania, più che altrove, si possono studiare gli effetti che si determinano nella formazione del consenso politico se c’è un cinico investimento sui lati oscuri dell’animo umano e una capacità teatrale di aizzarli e governarli.

In genere sono gli uomini del centrodestra i “politici della paura” e quelli del centrosinistra a investire sulla speranza. De Luca è il primo leader di centrosinistra a contendere con successo l’investimento di Salvini sulla insicurezza, visto che la Meloni sta cercando in questa fase di darsi un ruolo e un linguaggio rassicurante rispetto al suo alleato-nemico della Lega. Ed è incredibile e insopportabile che un dirigente del Pd possa essere a ragione accomunato al capo della Lega ai vertici degli imprenditori politici della paura.

Le posizioni reazionarie e securitarie di De Luca non sono un fatto di oggi, Da sindaco di Salerno affrontò il tema dell’immigrazione con queste parole sugli extracomunitari: “Io me ne frego di dove quella gente va a finire. Altrove li integrano? Io li prendo a calci nei denti, li butteremo a mare e il cielo stellato ce lo godiamo noi”.

Di fronte a queste posizioni inconciliabili con i valori della sinistra italiana (e con quelli di qualsiasi forza progressista), quali sono gli argomenti che vengono usati per giustificare le posizioni accomodanti verso De Luca del gruppo dirigente nazionale negli ultimi 30 anni? Due principalmente: non si può rinunciare al consenso elettorale che De Luca porta comunque al Pd; non si può rinunciare a un modello di buon governo nel Sud. Entrambi gli argomenti sono destituiti di ogni fondamento.

Guardiamo ai dati statistici. Partiamo dalle elezioni politiche del 2018. Il Pd a livello nazionale arrivò al Senato al19,14%, mentre il Pd in Campania conseguì il13,77%, cioè la media più bassa nell’Italia meridionale esclusa la Sicilia, nonostante fosse candidato il figlio del presidente, Piero De Luca, eletto poi vicepresidente del gruppo alla Camera dei deputati.

Veniamo ora alle ultime elezioni del 2022. Al Senato il Pd nazionale ha preso il 18,83%, mentre il Pd in Campania si è collocato al15,89%, il dato più basso raggiunto nelle regioni meridionali, se si esclude la Sicilia e la Calabria. Insomma, nelle due elezioni politiche nelle quali a guidare la regione Campania c’era un esponente del Pd, questo partito ha avuto uno dei peggiori risultati della sua storia, mentre hanno procurato più voti regioni dove il Pd non amministrava, come la Basilicata, l’Abruzzo, il Molise e la Sardegna.  Ininfluente, dunque, l’apporto di De Luca al Pd da quando è presidente della regione Campania.

Se vediamo poi l’andamento delle elezioni regionali, il dato è ancora più significativo. Nel 2020 il Pd ha preso in Campania il 16,90% dei voti, mentre De Luca raggiungeva il 70% con l’apporto di 14 liste (due delle quali liste personali, De Luca presidente e Campania libera), che insieme hanno totalizzato il 18,49%, cioè più del Pd. Ma questi voti nelle elezioni politiche non si trasformano mai in un consenso al Pd, tanto è vero che nel 2022 il Pd è sceso al 15,89%, come abbiamo visto.

Dunque, De Luca prende voti per sé e non trasforma mai il consenso personale in un consenso al suo partito. Se il Pd perde a livello nazionale, in Campania perde di più; se vince De Luca alle regionali, il Pd perde consiglieri regionali! Siamo di fronte a un caso di uso politico del Pd a fini personali e familiari. De Luca è un cacicco che si è servito del Pd e non gli ha mai portato voti e consensi. E quando il Pd è stato al governo per l’ultima volta in alleanza con i 5stelle (il Conte 2), De Luca non ha perso occasione per dare addosso ai vari ministri del suo partito, a volte scavalcando la stessa opposizione del centrodestra. Che benefici ha avuto in questi anni il Pd da Vincenzo De Luca?

Per quanto riguarda l’affermazione che il presidente della Campania rappresenterebbe un esempio di buona amministrazione per l’Italia, tutti i dati statistici dimostrano nettamente il contrario. Nonostante De Luca abbia riservato a sé la delega alla sanità, ai trasporti e alla cultura (unico presidente tra le regioni italiane a tenere per sé le deleghe più importanti) è proprio in questi settori che la Campania non si è schiodata dall’ultimo posto nelle classifiche nazionali.

De Luca si è dimostrato un pessimo presidente di regione. Se prendiamo i dati relativi ai livelli di prestazioni sanitarie, ai primi due posti si alternano Veneto ed Emilia- Romagna, mentre agli ultimi due posti si collocano Campania e Calabria. La Campania ha il record assoluto di spesa per i cittadini che si curano e si operano nel Centro-Nord. Certo, la situazione pessima nei servizi sanitari è antecedente a De Luca, ma in 8 anni come mai la situazione non è migliorata? La Campania ha la più bassa speranza di vita in Italia e il più alto tasso di “mortalità evitabile”, oltre ad essere la seconda regione più povera del Paese. Se poi analizziamo i servizi di trasporti direttamente gestiti dall’ente regionale, la situazione si fa tragica. È il caso della linea ferroviaria Circumvesuviana (per intenderci quella che unisce Napoli a tutta la sua cintura urbana alle pendici del Vesuvio, compresa Pompei e la Penisola sorrentina) caratterizzata da interruzioni e soppressioni continue delle corse, da treni che si fermano o si incendiano e costringono gli utenti a raggiungere a piedi le stazioni più vicine. Nel 2022 la Circumvesuviana è stata definita la peggiore linea ferroviaria d’Italia da un rapporto di Pendolaria.

Anche uno studio dell’università di Göteborg del 2022 certifica che la Campania è l’ultima regione italiana nella graduatoria per qualità dei servizi pubblici, mentre penultima è la Calabria. Nella spesa dei fondi comunitari le performance della regione di De Luca non sono affatto migliorate da quando è lui al governo, anzi. Per non parlare del trasferimento all’estero delle cosiddette ecoballe accatastate nella Terra dei Fuochi dopo la crisi dei rifiuti che per alcuni anni portò l’immagine di Napoli sommersa dall’immondizia in tutto il mondo (trasferimento largamente sponsorizzato e finanziato dall’allora presidente del consiglio Renzi come “epocale”) che è stato finora un clamoroso flop. La Corte dei Conti ha certificato, poi, che la Campania è fanalino di coda in Italia anche per quanto concerne la spesa per la Cultura: 2,7 euro per ogni residente rispetto alla media nazionale di 17,3 euro.

De Luca vinse la sua prima campagna elettorale nel 2015 con lo slogan “Mai più ultimi”. La Campania dopo 8 anni di suo governo resta in tanti settori ancora all’ultimo posto.

Perché, dunque, consentire a questo personaggio di concorrere per un terzo mandato calpestando la legge, il buon senso e gli interessi elettorali dello stesso Pd? E per di più alla soglia dei 75 anni?

In verità, il “problema De Luca” va ben al di là delle aspirazioni personali e familiari del cacicco salernitano e riguarda il rapporto che sta radicalmente cambiando tra gruppo dirigente nazionale del Pd e potentati locali.

De Luca esprime pienamente il tentativo di spostare la gerarchia dei poteri tra governo nazionale e regioni e affermare nel Pd la superiorità dei satrapi locali sulla direzione centrale. Il sistema delle correnti, su cui si basa l’instabile equilibrio del Pd fin dalla sua fondazione, ha consentito nell’ ultimo decennio a signori delle tessere di contare sulla base dei voti che riescono a garantire alla corrente di cui fanno parte. Con queste modalità di funzionamento, è quasi impossibile contenere le ambizioni dei singoli dentro una condivisione generale di strategie, perché sono stati permessi e alimentati sistemi di potere territoriali senza nessun controllo e contrasto.

D’Alema, Fassino, Bersani, Franceschini, Renzi, Zingaretti e Letta, hanno sostenuto in periferia chi poteva garantire loro sostegno nelle varie elezioni primarie, con voti e tessere, senza andare troppo per il sottile sulla provenienza del consenso. Insomma, la Campania rappresenta un caso emblematico delle nuove dinamiche tra potere centrale e satrapie locali, imposto dal meccanismo delle primarie dentro un sistema partitico correntizio, dove il sostegno che dalla periferia si rivolge al centro non è basato sulla condivisione di una strategia ma dal migliore posizionamento che si ottiene ai fini della propria carriera, schierandosi di volta in volta per l’uno o per l’altro dei leader nazionali. Nel Pd la politica è diventata in molti luoghi un’impresa di ventura e De Luca è in assoluta sintonia con questa fase, intercettandone tutte le potenzialità per il successo suo e della sua famiglia. Ad accentuare il tutto concorre sicuramente l’Autonomia differenziata che permetterà ai presidenti di regione di gestire competenze senza precedenti nella storia delle autonomie locali. Il Sud ne riceverà un danno incalcolabile, ma anche i presidenti delle regioni meridionali accresceranno il loro potere in un’Italia sempre più divisa.

All’interno di questo quadro poco confortante, la domanda semplice da porsi è questa: possibile che un personaggio come De Luca debba tenere in scacco il Pd e il suo gruppo dirigente? Perciò non posso che fare il tifo per la Schlein e per la sua lotta di liberazione del Pd da cacicchi, satrapi, clientelari, familisti, cioè di tutto il peggio della vecchia politica che è stata accolta e ospitata in questi anni anche nel Pd.

 

Crediti foto Jack45CC BY 3.0, via Wikimedia Commons

  • Isaia Sales

    Scrittore, insegna Storia delle mafie presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, a Napoli.