“Se siamo qui oggi a condannare un episodio barbaro significa che qui si è consumato un fallimento dello Stato e delle istituzioni. Occorre tentare di dare segnali diversi. Uno Stato giusto ha il dovere di difendere i più deboli, tra questi i minori. Una politica coraggiosa, uno Stato serio deve mettere la faccia su ciò che è difficile da risolvere. Intendiamo agire e metterci la faccia. In Italia non possono esistere zone franche. Vale per qui e per le tante Caivano d’Italia.”
Con queste parole Giorgia Meloni si è rivolta alla stampa al termine della sua visita a Caivano, il 31 agosto 2023, accettando l’invito del parroco, don Maurizio Patriciello. La Presidente del Consiglio ha poi proseguito indicando le due direttrici dell’azione governativa: “la fermezza dello Stato contro criminalità e illegalità. Bonificheremo il territorio e voi vedrete presto i frutti della nostra azione in termini di controllo del territorio. E la seconda fondamentale direttrice è la necessità di dotare questo territorio di servizi”.
L’obiettivo dichiarato dal Governo, per bocca della stessa Meloni, è “bonificare il territorio”. Al di là dello sconcerto sull’utilizzo di un termine così tecnico, un briciolo di coerenza in più non guasterebbe. Infatti Giorgia Meloni guida il Governo che ha decurtato dal PNRR quei progetti di rigenerazione urbana, investimenti per potenziare servizi e infrastrutture sociali, volti a ridurre l’emarginazione e il degrado delle periferie.
Nella dichiarazione ai giornalisti (ancora una volta senza possibilità di domande) ha snocciolato cifre, impegni economici e tempistiche. La Presidente del Consiglio ha la responsabilità politica di sintonizzare le sue parole con i suoi gesti e le scelte del suo Governo. Altrimenti dietro alla propaganda politica rimarrà il vuoto.
Sul linguaggio scelto da altri responsabili istituzionali, a margine della violenza registrata a Caivano, segnaliamo che il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, ha invocato “l’assedio militare per un anno”. Dubito che bastino divise sparse per Caivano. Servono anche quelle? Certo. Assieme a reti sociali ed educative, perché la povertà relazionale (dentro e fuori le mura di casa) trovi percorsi educativi, formativi, lavorativi, dove il rispetto della dignità della persona e dei suoi bisogni divenga prioritario. Quando i politici si concentrano su soluzioni repressive, perché tutto è riconducibile a ordine e sicurezza, quale visione di società esprimono? Si pongono la domanda di come dare più umanità alle relazioni sociali? La storia italiana insegna, tra l’altro, che la lotta contro la criminalità organizzata non la vince mai lo Stato da solo. O la si combatte tutti insieme, con strategie di contrasto che ridiano speranza alla società civile, oppure perderemo tutti. Anche i politici e le istituzioni.
Tra la “bonifica” della Meloni e “l’assedio militare” di De Luca nel fronteggiare la cultura dell’abuso suggeriamo la politica come arte della cura. Che cosa significa per la politica di oggi prendersi cura delle periferie urbane? La cura presuppone la responsabilità. La cura è lungimirante perché sa vedere ciò che ancora non c’è. Ci auguriamo che la Presidente el Consiglio scopra presto la cura, termine alieno al suo lessico politico. Perché la cura genera e rinnova la comunità. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo intervento al Meeting di Rimini ci ha ricordato che “sono le relazioni sociali a determinare la concretezza di esercizio dei diritti”. Solo la comunità è quel nodo che può riallacciare il filo tra la politica e i cittadini.
La politica come arte della cura ha bisogno, tuttavia, di un’avvertenza nello stile comunicativo. Dopo il naufragio di Cutro del febbraio scorso, il Ministro dell’Interno Piantedosi dichiarò che “la disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”. Come dire “è colpa dei genitori irresponsabili che fanno partire i figli, se questi ultimi muoiono”. Allo stupro di gruppo di Caivano ha fatto seguito un commento sconcertante di Andrea Giambruno, noto giornalista di Mediaset e compagno di Giorgia Meloni: “se eviti di ubriacarti magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche perché poi il lupo lo trovi”. Vicende diverse ma con l’analogo copione di colpevolizzare le vittime e provare a sfumare, quando non ribaltare, la realtà dei fatti. Nel caso della violenza sulle donne questa strategia genera una sorta di concorso di colpa e le scoraggia a denunciare quanto subìto. Il rovesciamento della realtà avviene attraverso affermazioni che disorientano e che possono giungere a manipolare la verità, fino a rendere chi le ascolta indifferenti alla stessa. Il filosofo Byong-Chul-Han, nel suo ultimo libro Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete afferma che “la democrazia ha bisogno di parresia cioè ha bisogno di persone che osano dire la verità”. Non di persone che ribaltano la realtà, o che propongono versioni alternative, legittimando una cultura di colpevolizzazione delle vittime.
Ecco, uno Stato serio che voglia “mettere la faccia su ciò che è difficile da risolvere”, che pretenda di essere “giusto” e di “difendere i più deboli”- come dichiarato da Meloni a Caivano – ha bisogno di maggiore onestà intellettuale nella comunicazione.
Ai noi cittadini il dovere civico di vigilare perché queste subdole strategie comunicative non compromettano i nostri anticorpi democratici.