C’è un eccesso di cronaca nera nei nostri notiziari mainstream (ossia “i canali, mezzi e prodotti comunicativi più radicati e con un più ampio spettro di diffusione”). Soprattutto in rapporto con i Tg europei. (per approfondire si leggano gli ottimi articoli di Professione Reporter QUI e di lavoce.info QUI)

Perché al di là delle notizie che non possono mancare (comunque sempre più spesso date con dovizia di particolari, il numero delle coltellate, il sangue ripulito, l’occultamento dei corpi, il tormento della vittima e dei sopravvissuti, eccetera), ci si ritorna su nelle giornate successive al ritrovamento della vittima e all’apertura delle indagini, con presunti (o sedicenti?) aggiornamenti anche quando una nuova pur minima notizia non c’è. Dallo studio si dà la linea ai luoghi della tragedia, per “rappresentare” una diretta che, nei fatti, non aggiunge nulla di nuovo. Ma non c’è nessun problema, l’importante è appassionare. Ho ascoltato giorni fa dal tg nazionale Rai una scaletta televisiva che prevedeva un primo lancio “in testa” al giornale, con il racconto del cronista che, in diretta, esponeva quello che già si sapeva ma non poteva dire altro che non c’era nessuna novità rispetto a quanto già detto nelle ore precedenti a crimine appena avvenuto, ma, ritornata la linea allo studio, la speaker raccomandava di stare in collegamento perché “ovviamente” (testuale) sarebbero tornati su caso.

Perché? Perché la cronaca nera fa ascolto, tira, come si dice in gergo giornalistico, e nella guerra per conquistare spazi pubblicitari quindi introiti, ogni strada viene percorsa. Purtroppo, è il caso di dirlo, anche del cosiddetto servizio pubblico, dalla Rai. E non da oggi.  Ma adesso mi sembra che i livelli di “offerta” di cronaca nera abbiano raggiunto livelli mai visti prima.

Ma non è solo una questione di business, di share, audience, ascolti (dai quali, bisognerebbe, a mio modesto avviso, tenere fuori i TG). È la creazione di premesse grazie alle quali si prepara il terreno fertile per la costruzione di una opinione pubblica… “adeguata”. A dispetto del refrain sulla “egemonia culturale della sinistra”, l’impianto di una certa opinione di destra si fonda su alcuni elementi antropologici di base: l’essere umano nasce per confliggere con i suoi simili, e da questo conflitto derivano la competizione, la battaglia, l’odio, la guerra. Inevitabilmente. Siamo fatti così. E anche il crimine si basa su questa pasta di cui è intessuto il genere umano. Non ci si può fare nulla. Ostinarsi a parlare di educazione, riscatto, riforme, misure alternative, solidarietà, comunità, e quant’altro di simile, è pura utopia. Contro le tragedie prodotte dai crimini non si può fare altro che controllare e punire. Severamente. E se poi – sia detto per inciso – in questa operazione di reprimenda si incappa in “errori” delle forze dell’Ordine, abusi, sciagurate operazioni di disprezzo dei diritti e dell’elementari forme di rispetto della dignità umana anche di chi è sospetto di reati, ecco, cosa volete che sia… Il mondo sta andando verso la violenza inaudita non si può cedere a questa deriva…

La cronaca nera è sempre stata (nel tempo) funzionale ad una (termine abusato, ma utile) narrazione politica della gestione del potere, in vista di un controllo che alza il tiro fino a presentarsi come necessariamente portato a tradire la Costituzione e i suoi principi fondamentali.

A mio giudizio, ne vedremo ancora, diciamo così, “delle brutte”. Si tratterà allora di fare, nel piccolo delle nostre comunità educanti (piccole o grandi che siano, che ci sono fortunatamente, anche se sempre più stressate), due operazioni che alla lunga potrebbero funzionare: prima, che i dati che abbiamo (sul numero dei reati che calano negli anni; e che le misure alternative al carcere riducono la reiterazione dei reati a beneficio dei singoli e delle comunità) sarebbero rassicuranti e vanno conosciuti e diffusi. Seconda operazione culturale, che i linguaggi televisivi (non solo parole, ma tecniche di montaggio e rappresentazioni) non nascono a caso: andrebbero conosciute e smontate. E i giovani, se formati con criterio, ci si divertono anche.

Possiamo pensare che qualche illuminato educatore di questi circoli (lo so, sempre più ridotti, ma comunque esistenti) vi dedichi qualche piccolo corso, chiamiamolo così, di cittadinanza attiva e intelligente?

 

 

Crediti foto: Nijwam Swargiary su Unsplash

  • Vittorio Sammarco

    Giornalista pubblicista, docente di Comunicazione politica e Opinione Pubblica, Università Pontificia Salesiana.