Esattamente 110 anni fa Giuseppe Dossetti fu battezzato nella solennità della Annunciazione del Signore dell’anno 1913, il 25 marzo. Cosi volle che fosse scritto sulla sua lapide tombale, a Monteveglio, a cui venne aggiunto il dies natalis: «chiamato al giudizio di Dio la domenica Gaudete 15 dicembre 1996».
Per una curiosa e, pensiamo, casuale circostanza proprio l’altro giorno il presidente della Repubblica Mattarella, nel nobile intento di stimolare tutti: istituzioni e cittadini a rimboccarsi le maniche ed agire per il bene comune, avendo di mira gli impegni del PNRR, pensati soprattutto a vantaggio nelle nuove generazioni, ha utilizzato una frase famosa: «mettersi alla stanga», che fu al centro di un duello, non solo oratorio, tra Dossetti e De Gasperi, risalente ai primi anni del dopoguerra.
Dopo la grandissima vittoria elettorale della Dc il 18 aprile 1948, inattesa nelle sue proporzioni e pertanto molto impegnativa circa l’indirizzo politico ed economico da dare al Paese, il governo De Gasperi mirava a consolidare la propria posizione e si dimostrava sensibile alle istanze e alle richieste dell’ala liberale e conservatrice dello schieramento politico, di cui si facevano esponenti Einaudi e Pella (e il conte Sforza in politica estera), mentre veniva rimandato il «terzo tempo sociale», che la corrente dossettiana reclamava a gran voce sulle colonne di «Cronache sociali».
Passato un anno, si tenne a Venezia il Congresso nazionale del partito e, da tutti sollecitato, intervenne anche Dossetti, il quale, dopo aver riconosciuto la positività dei risultati fin li’ ottenuti dal Governo, chiese che fosse compresa «l’ansia di coloro che desiderano esser il pungolo per quello che c’è ancora da fare». De Gasperi ribatté, in modo puntuale, riconoscendo a sua volta che ogni Governo ha bisogno di uno stimolo, ma che la parola pungolo non gli piaceva perché gli ricordava i buoi. E, in modo polemico, proseguiva così: «io posso anche accettare il pungolo, ma alla condizione che quelli che stanno pungolando scendano dal carro e si mettano alla stanga». In altre parole: anche a loro spettava il dovere di trainare il carro.
Tuttavia, De Gasperi e il gruppo dirigente che lo attorniava, non poterono o non vollero dar seguito a questa offerta di collaborazione perché la nuova segreteria uscita dal Congresso comprendeva solo uomini della tendenza vincitrice, con Taviani segretario politico.
Soltanto dieci mesi dopo, nell’aprile 1950 quando l’azione del Governo dava segni di affanno ed erano apparsi su «Cronache sociali» vari articoli assai critici nei confronti della politica governativa, fra i quali l’ampio saggio di La Pira sulle «attese della povera gente», De Gasperi accolse l’idea di mettere alla stanga Dossetti e i suoi, con il capocorrente nominato vicesegretario politico di Gonella e collocato al coordinamento dei gruppi parlamentari. Questa era una posizione strategica che diede ottimi frutti. Nel breve giro di un anno furono approvate la riforma agraria generale, quella stralcio sulla Sila e la Cassa del Mezzogiorno. La stagione riformatrice durò poco, ma fu luminosa e con effetti di lungo periodo. Dossetti e i suoi restarono alla stanga, a tirare il carro delle riforme, fino all’estate del 1951. A luglio, quella breve stagione si concluse.
Forse vale la pena di esplicitare, per quanto ci è lecito fare, la metafora di Mattarella, richiamando un argomento saliente del dibattito degli anni 1949-‘50. Se la nostra meta resta quella del raggiungimento della democrazia sostanziale – un progetto che Dossetti non ha mai rinunciato a rilanciare continuativamente – allora tre erano, e permangono, le direttive di marcia: sviluppo concreto e sostanziale di alcuni principi posti nella Costituzione (a cominciare dalla spinta propulsiva dell’uguaglianza di cui all’art.3); coordinamento delle riforme sociali; profonda ristrutturazione della compagine statale e della pubblica amministrazione.
Sono temi e problemi che abbiamo di fronte anche oggi, che la sapienza del Presidente ci ripresenta come doveri ineludibili. Se sappiamo ascoltare.
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