1. Lo spoils system e il rapporto tra politica e amministrazione

Ciclicamente, a scadenze precostituite, si ripropone nel dibattito pubblico, il tema del rinnovo delle nomine dei dirigenti pubblici preposti agli apparati di vertice delle pubbliche amministrazioni ovvero degli organi costituzionali. E ritorna contemporaneamente il problema se sia coerente col nostro ordinamento la figura del cosiddetto spoils system, sistema di selezione dei dirigenti di vertice delle amministrazioni pubbliche, largamente in uso nell’ordinamento statunitense, in forza del quale al cambio del quadro politico conseguente all’insediamento di un nuovo governo, si assiste alla sostituzione dei soggetti preposti ai vertici dell’apparato burocratico.

La questione doveva inevitabilmente rientrare nell’agenda politica di questi giorni per due ordini di ragioni. Innanzitutto, è prossima la scadenza dei consigli di amministrazione di alcune tra le più importanti aziende partecipate dallo Stato quali ad esempio Eni, Enel, Leonardo, Poste e Terna, per cui ha già avuto inizio il confronto, specialmente all’interno della maggioranza parlamentare, in merito all’avvicendamento nei ruoli di vertice di queste società. In secondo luogo, circola da qualche settimana negli organi di stampa la notizia dell’avvenuta sostituzione ai vertici di alcune amministrazioni statali, di segretari generali di ministeri e di capi dipartimento. Questi rinnovi si aggiungono ad altri già effettuati dal governo in carica.

E qui si tratta di verificare se, per come è configurato il sistema amministrativo italiano, possa risultare conforme la scelta diretta da parte della classe politica, una volta conseguito il diritto a governare, delle figure apicali dell’amministrazione, allo scopo di favorire una continuità non contrastata tra determinazione degli obiettivi politici e attuazione mediante l’amministrazione. Va detto, infatti, che non sempre questa continuità garantisce l’efficacia, l’efficienza e la trasparenza dell’azione amministrativa, ove la scelta dei burocrati risulti gravata da ipoteche di natura ideologica e non assistita dalla valutazione delle specifiche competenze preordinate all’esercizio delle funzioni di direzione tecnico-gestionale.

Ora, in termini generali, il problema restituisce la questione del rapporto tra politica e amministrazione. Rapporto che rimonta lontano nel tempo ma che nello stato di diritto tende ad assumere una fisionomia particolarmente definita, posto che il potere amministrativo – quello che tradizionalmente la dottrina pubblicistica definisce spesso potere d’imperio della pubblica amministrazione – trova la propria ragione di esistere nella legge in quanto espressione di razionalità oggettiva.

Nei fenomeni statuali più risalenti, ma soprattutto nelle monarchie assolute antecedenti alle Rivoluzioni del XVIII secolo, questa separazione non era percepibile se è vero che, almeno tendenzialmente, amministrazione e legge risultavano addensate nella persona del monarca, della cui volontà costituivano una manifestazione unitaria e non scindibile. Uno dei caratteri fondamentali dello stato di diritto appare invece la progressiva separazione tra amministrazione e legge, dato che la prima costituisce quell’apparato organizzativo funzionale a dare esecuzione o attuazione al contenuto della seconda. È stato compiutamente Max Weber a rilevare l’esigenza di una struttura organizzata, dotata di competenze, conoscenze e saperi viepiù specializzati, i quali rappresentano la forza, l’essenza e la giustificazione stessa dell’apparato burocratico.

Ma col tempo, complice l’estensione e l’allargamento degli interventi pubblici e conseguentemente l’articolazione capillare degli ambiti della vita sociale coinvolti dall’esercizio dei poteri pubblici, si assiste allo sviluppo di una tensione crescente tra l’amministrazione e la politica di modo che, in fasi diverse, quasi a cicli alternati, finisce per prevalere nella determinazione delle scelte di fondo l’uno o l’altro dei due ambiti. È infatti accaduto spesso che i burocrati tendessero a determinare o quanto meno condizionare le scelte o gli orientamenti politici, mentre, in altri momenti, che fossero i politici, proprio per mantenere salda la propria posizione di potere, ad avvalersi dell’apparato tecnico-burocratico, sino talvolta a confondersi con esso.

Intorno a questa relazione, vissuta in termini piuttosto contrastati, si inizia a parlare anche in Italia dell’opportunità di definire per legge un sistema costruito intorno alla dicotomia politica e amministrazione. Da una parte, agli organi di governo risultano attribuite funzioni di indirizzo politico cui conseguono le annesse responsabilità, misurabili, secondo la logica del principio democratico, all’atto del rinnovo delle cariche tramite il voto. Dall’altra parte, in maniera del tutto speculare, viene legalmente definita la posizione dei dirigenti dell’amministrazione ai quali spetta l’adozione degli atti e dei provvedimenti utili per dare concreta attuazione all’indirizzo politico. In questi termini, si raggiunge anche la separazione tra le rispettive responsabilità: politica da un lato, gestionale e amministrativa dall’altro.

Questo processo evolutivo, avviato all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso con la cosiddetta «privatizzazione del pubblico impiego» – anche se ingenerosamente non sempre si ricorda il primo organico riassetto della dirigenza pubblica, contenuto nel d.P.R. n. 748/1972 recante una disciplina ampiamente disattesa – ha assunto una sua compiuta tipicità con l’approvazione del decreto legislativo n. 165/2001 (e con le successive modificazioni), che ha funzionato da testo unico su questa materia, recependo tutti i passaggi normativi in cui la distinzione tra i due ambiti si è progressivamente consolidata.

2. Spoils system e dirigenza di vertice

È senz’altro da escludere che ogni discussione sullo spoils system, possa prescindere dal quadro normativo sinteticamente riepilogato. 

Per questo motivo anche lo spoils system richiede che si osservi una razionalità di fondo. Nel caso di specie questa non può che essere originata dalle disposizioni costituzionali che regolano la pubblica amministrazione. Ci si riferisce in particolare agli artt. 97 e 98 da cui si evince l’esigenza di razionalizzare l’esercizio dell’amministrazione, anche nella selezione del personale dirigente (e non solo), conformandola ai principi di legalità, imparzialità e buona andamento.

E proprio obbedendo al necessario rispetto delle norme costituzionali che sono state fissate delle regole precise per disciplinare la designazione dei dirigenti generali. Tale ordinamento, in forme e modalità diverse, coinvolge tutti i livelli di governo, dal Comune allo Stato, passando per la Provincia (o quanto ne rimane) e la Regione (basti porre mente al problema della nomina dei direttori generali delle Aziende sanitarie od ospedaliere). Infatti, dopo ripetuti assestamenti normativi, sia nella legislazione statale che in quella regionale, ma soprattutto in forza di alcune fondamentali pronunce della Corte costituzionale, il sistema di reclutamento dei dirigenti contempla sotto forma di eccezione la possibilità che quelli collocati in posizione «apicale» siano selezionati in base al criterio dell’intuitu personae, giacchè per essi la continuità con l’organo politico giustifica meccanismi di selezione diretta, che potrebbero anche risultare ispirati a contiguità di natura latamente politica. Obbedisce alla stessa logica la previsione, per tali figure dirigenziali, della cessazione automatica dall’incarico, decorsi novanta giorni dal voto di fiducia al Governo (art. 19, d.lgs.vo n. 165/2001 e successive modificazioni).

Il rapporto tra organi politici, deputati a determinare l’indirizzo politico-amministrativo, e dirigenti generali di vertice, responsabili verso i primi dell’efficienza dell’amministrazione, incentrato sul criterio dell’intuitus personae, è plausibile nella misura in cui favorisce la possibilità che anche questo tipo di scelta possa essere oggetto di valutazione in sede di rinnovo delle cariche politiche tramite il voto popolare. Si vuole, in altre parole, sostenere l’idea che insieme alla valutazione del buon andamento dell’azione amministrativa, per la quale è verificabile la responsabilità dei dirigenti verso l’organo politico, al corpo elettorale sia offerta la possibilità di giudicare i politici anche per avere designato figure dirigenziali apicali rivelatesi inadeguate, laddove la nomina abbia obbedito a criteri di natura esclusivamente politica, dunque prescindendo da valutazioni sulla competenza tecnica a ricoprire quel dato incarico.

Ora, non vi è dubbio che un criterio di selezione così configurato sia di molto prossimo al meccanismo di spoils system, ma questo sistema costituisce per certi aspetti una ricaduta dell’avvenuta accentuazione della separazione tra politica e amministrazione, che ha comportato l’esaltazione dell’elemento fiduciario nella scelta dei dirigenti che operano a più stretto contatto con l’organo politico. In quest’ottica, non appare irragionevole che l’organo di governo, dovendo rispondere politicamente dell’indirizzo politico, possa scegliere i dirigenti che con esso direttamente collaborano, in quanto reputati più idonei a dare attuazione al programma. In questa scelta, inevitabilmente, potrebbe giocare un ruolo determinante anche l’orientamento politico del soggetto selezionato. Ma come si è visto, anche questo criterio può diventare oggetto di valutazione della responsabilità del politico, ove in ipotesi il dirigente immesso nel ruolo si riveli inadeguato a ricoprire l’incarico. E questo rischio dovrebbe indurre a non sottovalutare le capacità tecnico-professionali dei candidati.

3. L’istituto del concorso

A differenza di quanto stabilito per i dirigenti apicali, per i quali si applica lo spoils system, rimane sottoposta alla regola generale del concorso, inscritta nell’art. 97, ultimo comma della Costituzione, la scelta dei dirigenti di livello generale (ma non collocati al vertice dell’apparato burocratico coinvolto), per i quali continua a prevalere la rilevanza della competenza professionale e tecnica. Una regola di questo tipo, del resto, è idonea a tutelare il dirigente da forme di revoca automatica dell’incarico, dovute solo ed esclusivamente al rinnovo dell’organo politico, senza che l’attività svolta sia stata oggetto di una preventiva valutazione dei risultati conseguiti. Infatti, il giudice costituzionale ha spesso guardato con sospetto meccanismi di decadenza automatica dagli incarichi dirigenziali, soprattutto quelli non apicali, senza che fosse previamente individuato un sistema di valutazione della professionalità degli interessati.

Tale differente condizione è conseguente al fatto che questo tipo di figura dirigenziale deve risultare garantita dalla stringente osservanza dei principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione. Il primo di essi si riflette nella selezione del candidato giudicato più idoneo rispetto alle competenze richieste, senza che la scelta sia gravata da apprezzamenti di natura squisitamente politica. Il secondo riecheggia nell’esigenza di assicurare la continuità dell’azione amministrativa, misurabile secondo i criteri di efficienza ed efficacia in relazione ai risultati che il dirigente è chiamato a perseguire, dando così attuazione all’indirizzo politico determinato dagli organi di governo dell’ente. In questo modo, la garanzia della loro posizione è data dall’applicazione di un parametro oggettivo di apprezzamento della professionalità, il quale, almeno tendenzialmente, protegge il dirigente dall’inevitabile mutamento dell’indirizzo politico conseguente al rinnovo degli organi.

D’altra parte, è appena il caso di rilevare che mediante questa forma di tutela si rende in concreto possibile che i dirigenti operino «al servizio esclusivo della Nazione», secondo quanto dispone l’art. 98, primo comma, della Costituzione.

4. Conclusioni 

Il risalto dato alla separazione tra funzione di indirizzo politico-amministrativo e direzione tecnico-gestionale permette l’identificazione dei rispettivi ambiti di responsabilità, con la conseguenza che gli organi politici sono chiamati a rispondere delle proprie scelte, nell’ambito del circuito dei processi di formazione delle decisioni sulla base del principio democratico, mentre la burocrazia professionale risponde per i risultati dell’azione e del perseguimento degli obiettivi individuati a livello politico.

La concreta fisionomia del funzionamento dei pubblici poteri si definisce alla luce della continuità intercorrente tra determinazione degli obiettivi politici e loro esecuzione sotto forma di amministrazione, così che resta fondamentale identificare i perimetri delle rispettive responsabilità. 

Insomma, è al necessario rispetto di queste condizioni che risponde la generalizzazione della distinzione tra politica e amministrazione, e dunque, nell’ordinamento italiano, l’applicazione di meccanismi di spoils system – potrebbe dirsi – razionalizzati.

Come si può agevolmente rilevare, per entrambe le figure dirigenziali il regime differenziato di costituzione del rapporto di lavoro e di servizio è il precipitato dei medesimi precetti costituzionali.

Il che porta a concludere che il meccanismo dello spoils system, lungi dal riprodurre una funzionalità in tutto e per tutto affine a quella propria dell’ordinamento nordamericano, risulta assistito da precise garanzie che provano a bilanciare l’autonomia della politica nell’individuazione dei fini e il funzionamento dell’amministrazione in vista del perseguimento dell’interesse generale.

Pertanto, rispetto alle nomine che attendono il governo in carica nei prossimi mesi, va ribadita la delicatezza della posta in gioco, attesa la rilevanza strategica delle aziende coinvolte nel rinnovo degli incarichi di vertice, come pure, allo stesso tempo, risulta cruciale la designazione di alcune fondamentali figure degli apparati ministeriali. Si tratta di passaggi sensibili, amplificati dalla fase storica che attraversiamo e che dunque sollecitano la ricerca di un armonico equilibrio tra due ordini di valutazione: da un lato, la legittima esigenza di fare affidamento su una dirigenza idonea a garantire un’azione amministrativa conforme all’indirizzo politico espresso dal circuito rappresentativo; e dall’altro lato, l’inderogabile necessità di poter contare su personale dirigente libero da opacità o cointeressenze che possano prevalere sul peso da riconoscere alla competenza e alla professionalità. In questa direzione non v’è dubbio che il rispetto della Costituzione rappresenti l’unica strada percorribile.

 

Foto di Michal Matlon su Unsplash

  • Vincenzo Satta

    Ricercatore confermato di Diritto costituzionale e docente di Dottrina dello Stato presso l’Università Cattolica di Milano. È Vice-presidente dell’associazione Città dell’uomo.