Da alcuni decenni la Caritas gode nel nostro paese non solo di una consistente autorevolezza a livello ecclesiale, ma anche di un significativo riconoscimento pubblico nell’ambito della società civile. L’accentuarsi delle diseguaglianze e la crescita delle povertà, con una vera e propria escalation negli ultimi anni a causa di una serie di fenomeni devastanti – crisi finanziaria 2008, pandemia, guerra ucraina –, hanno reso più evidente il suo enorme apporto allo sviluppo della vita sociale in un’area allargata di situazioni di marginalità.

In questo contesto, particolare importanza riveste, dunque, l’accurato studio di Cesare Baldi, docente di Pastorale missionaria presso l’Università Gregoriana di Roma e fino a due anni fa responsabile della Caritas algerina, l’autore riflette criticamente sull’identità di tale organismo ecclesiale, fornendo piste feconde per la sua evoluzione futura. La ricerca ruota attorno all’interrogativo presente nel titolo, che pone in alternativa “lavoro” e “missione”. Si sviluppa attraverso un percorso di tre parti, riguardanti: l’aspetto storico, quelli identitario-giuridico e socio-pastorale.

Nella prima parte Baldi dà anzitutto un ampio resoconto del processo che ha portato alla nascita della Caritas e della graduale definizione del suo profilo, rilevandone sin dall’inizio il carattere complesso e polimorfo, con conseguente difficoltà a pervenire a una sintetica visione d’insieme. L’esigenza di un organismo del genere è legata al clima creato dall’enciclica Rerum novarum di Leone XIII (1891), con la quale la Chiesa affrontava, non senza accese polemiche interne ed esterne, la questione operaia. Lorenz Werthmann, sacerdote e segretario dell’arcivescovo di Freiburg im Breisgau, fonda nel 1895 la prima Caritas, che la Conferenza episcopale tedesca riconosce come “braccio sociale” della Chiesa cattolica.

Nei primi decenni del Novecento si assiste alla nascita della Caritas in diverse nazioni europee:  Svizzera, Olanda, Francia. A Basilea, nel 1928, si costituisce la Caritas Catholica, divenuta, nel 1947, Caritas Internationalis, con sede a Lucerna.

Più complesso è stato il processo ‒ ampiamente esaminato nel libro ‒ attraverso il quale si è giunti  alla costituzione della Caritas italiana, data la presenza di due istituzioni già dedite alla carità sociale, come la POA e l’ONARMO. Di fronte all’emergenza dell’ultimo dopoguerra, la prima si occupò prevalentemente dei profughi, la seconda di assistenza sociale e sanitaria, realizzando ambulatori, colonie ecc. Il passaggio da questi enti alla Caritas imponeva la soluzione di complesse questioni amministrative, burocratiche e di personale, che inevitabilmente ne rallentarono la nascita, avvenuta il 2 luglio 1971, auspice la Conferenza Episcopale Italiana. Il decreto istitutivo la qualificava come «organismo ecclesiale».

La seconda parte del testo ruota intorno all’identità della Caritas, approfondita attraverso l’esame  dei decreti di erezione, degli Statuti e del concreto esercizio della prassi quotidiana nei vari contesti in cui si è installata. Sono presi in esame quattro paesi di aree geografiche e culturali assai diverse: Italia, Francia, Algeria e Mauritania. In essi la presenza della Caritas assume fisionomie diverse. Le ragioni di ciò vanno ricondotte anche alle prese di posizione della Chiesa di Roma, intervenuta più volte e con direttive non univoche. Determinante, a tale riguardo, il chirografo Durante l’ultima cena (16 settembre 2004) di Giovanni Paolo II, che definisce la Caritas «persona giuridica pubblica», la quale deve esercitare la propria attività in stretto rapporto con la Segreteria di Stato e con il dicastero per lo sviluppo umano integrale. In questo modo, la Caritas vede assottigliarsi la propria originaria fisionomia di organizzazione non governativa per assumere quella di «organismo governativo della Santa Sede», che la rende, a tutti gli effetti, istituzione ecclesiale con una funzione eminentemente pastorale e, secondo Paolo VI,  “pedagogica”.

Nel solco di questi orientamenti va inscritto quello assunto dalle Caritas nei quattro paesi segnalati, dove emergono aspetti convergenti e divergenti. Mentre in Italia, pur superando la mentalità assistenziale per una prospettiva più dinamica di promozione umana integrale e di coordinamento degli altri gruppi impegnati nella carità sociale, la Caritas risulta in stretto rapporto di dipendenza dalla Conferenza episcopale, in Francia il Secours Catholique – questo il nome della Caritas francese – si configura come associazione laica, non ecclesiale, dotata perciò di piena autonomia gestionale, ben articolata nelle sue modalità di presenza locale, nazionale e di cooperazione internazionale. Diversa è la situazione delle due Caritas extra-europee prese in esame: quella algerina, sciolta di recente, dopo decenni d’importante servizio senza riconoscimento giuridico ufficiale, era costituita da una rete di quattro organismi diocesani, facenti capo ad un organo ecclesiale centrale; quella Mauritana, tuttora in piena attività, ha il carattere di una «ONG umanitaria e di sviluppo», dotata di una struttura efficace e impegnata con il Governo locale in progetti per ridurre diseguaglianze e povertà.

Nell’intento di far venire pienamente alla luce l’identità della Caritas, Baldi esamina poi  l’esperienza di tre diocesi italiane: Novara, Torino e Milano, mettendole a confronto. Le Caritas novarese e torinese hanno finalità e strutture simili, riconducibili alla centralità assegnata alla funzione pastorale, con prevalente finalità pedagogica e l’inserimento entro il quadro delle aree che definiscono la natura della Chiesa, riconducibili all’esercizio del triplice compito: annuncio della Parola, celebrazione dei sacramenti, servizio della carità. Quest’ultimo, pertanto, risulta strettamente collegato alle altre due funzioni pastorali. Di conseguenza, le Caritas novarese e torinese, che sviluppano una feconda attività assistenziale centrata sui “servizi sociali”, si configurano come istituzioni ecclesiali sotto la diretta dipendenza dall’autorità ecclesiastica. In parte diversa l’impostazione data alla Caritas ambrosiana. Essa, non sostituendosi alla pastorale della carità, alla quale riconosce un campo più ampio, si colloca in una logica di “sistema”, dando vita a una complessa rete di servizi, che la rendono operativamente efficace anche nell’offerta di  elementi utili all’esercizio “pedagogico” di testimonianza della carità.

Infine, nella terza parte Baldi prova a individuare le prospettive per il futuro, coinvolgendo in questa ricerca protagonisti/operatori che, a diversi livelli, agiscono nelle Caritas. Dall’indagine emergono, da un lato, i rischi sui quali vigilare (delega alla Caritas di tutta l’attività caritativa,  settorializzazione dell’attività pastorale, marginalizzazione dei laici per l’accentuata dipendenza clericale), dall’altro, le potenzialità che si aprono, grazie alla sempre maggiore credibilità acquisita nella società civile, a motivo della riconosciuta efficacia dell’azione svolta.

Sulla scorta di queste premesse, Baldi approfondisce alcuni aspetti promettenti, adottando un modello di simulazione dinamica, con il ricorso a una lista di parametri e a una griglia di valori in grado di misurare le potenzialità presenti nelle Caritas e di favorirne la crescita.

Di considerevole interesse sono i “dati sensibili” prodotti da queste simulazioni nelle diverse aree toccate. A venire in luce sono: l’eccesso persistente di dipendenza dall’istituzione ecclesiastica; il rapporto ancora non ben precisato con la Confederazione internazionale, per la difficoltà a trovare il giusto equilibrio tra esigenze locali e strategie globali; l’importanza di un alto livello di professionalità, per una sempre più rilevante efficacia operativa.

Il perseguimento di un obiettivo di riforma deve sciogliere poi alcuni nodi critici – ritorna qui l’interrogativo di partenza: lavoro o missione? – legati a una forma di bipolarismo che si traduce nell’opposizione tra operatività e spiritualità, tra carità assistenziale (aiuto agli indigenti) e carità promozionale (formazione delle coscienze). Sono istanze diverse ma non alternative, da considerarsi piuttosto in una logica d’integrazione e di attenzione globale ai problemi degli “ultimi” accelerati dai vorticosi mutamenti della società.

Non possiamo concludere senza richiamare l’attenzione su due rilevanti presupposti teologici che fanno da sfondo all’intera trattazione. Il primo è il concetto di “comunione”, qualificante la Chiesa conciliare. La fecondità del lavoro delle Caritas è legata all’esercizio costante della dimensione comunionale, linfa vitale che deve animare la vita dell’intera comunità cristiana. Il secondo presupposto è costituito da un’esigenza insuperabile: porre al centro dell’impegno Caritas la promozione umana integrale dei poveri ‒ auspicabile criterio prevalente dell’intera pastorale ‒, restituendo loro la dignità di soggetti autonomi, chiamati a partecipare, come tali, alla propria liberazione.

In definitiva, un testo, quello di Cesare Baldi, che per la ricchezza dei contenuti e il rigore della loro esposizione merita di essere letto (e meditato) non solo dagli operatori Caritas, ma da tutti coloro che, avendo a cuore l’annuncio della “buona notizia” evangelica, sono impegnati (o intendono impegnarsi) nel servizio pastorale.

 

 

 

 

 

 

  • Giannino Piana

    Già docente di Etica cristiana all’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Libera Università di Urbino e di Etica ed economia alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino, collabora con diverse riviste,