Numerose sono state le reazioni da parte dell’opinione pubblica alla diffusione della recente Nota ministeriale contenente le indicazioni sull’utilizzo dei telefoni cellulari e di analoghi dispositivi elettronici nelle classi.
A una superficiale lettura del testo, il Ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara sembra enunciare il divieto di utilizzare in classe il cellulare, espressamente considerato come strumento di distrazione dall’attività didattica e come presunta manifestazione di mancato rispetto nei confronti dei docenti. Un’analisi più attenta della comunicazione ministeriale rivela, tuttavia, che il divieto era stato sancito già in precedenza sia dallo Statuto delle Studentesse e degli Studenti sia in una Circolare a firma del Ministro Fioroni nel lontano 2007. Il divieto, pertanto, è stato solo ribadito – non introdotto ex novo – e le sanzioni applicabili alla sua inottemperanza restano immutate. Ciò che maggiormente colpisce, analizzando la reazione dei media alla diffusione della circolare è l’omesso riferimento alle importanti deroghe a tale divieto. L’utilizzo del cellulare è infatti consentito, su autorizzazione del docente, e in conformità con i regolamenti di istituto, per finalità didattiche, inclusive e formative.
Personalmente sono convinta che gli smartphone rappresentino una notevole opportunità per la didattica e per l’educazione alla cittadinanza: tra i possibili impieghi del cellulare mi limito a ricordare quelli legati alla ricerca di informazioni, alla lettura dei quotidiani in formato digitale e alla fruizione di software come Google Classroom e Mentimeter, strumenti collaborativi che favoriscono l’interazione tra docente e alunni. Ha ragione Antonio Polito il quale, considerando la comunicazione del Ministro alla stregua di una grida manzoniana, propone provocatoriamente di vietare l’uso del cellulare fuori dalla scuola, ove i rischi derivanti dall’iper-connessione sono più elevati. La scuola dovrebbe infatti educare alla saggezza digitale mediante le tecnologie innovative, attuando in concreto quell’autonomia didattica, prevista per i singoli Istituti scolastici e loro riconosciuta sin dal 1999, troppo spesso negletta.
Occorre ricordare, inoltre, che il cellulare, durante la pandemia, ha rappresentato uno strumento di inclusione: la didattica a distanza è stata possibile grazie all’uso degli smartphone laddove non ci fosse un computer disponibile. E anche oggi, per l’attuazione delle iniziative previste dal Piano Nazionale Scuola Digitale e dal Piano Scuola 4.0, molte studentesse e studenti utilizzano il proprio cellulare nell’ottica “BYOD” (Bring your own device) per partecipare in modo attivo alle lezioni. È utile ricordare che il sistema “BYOD”, espressamente previsto nel Piano Nazionale Scuola Digitale, comprende le politiche finalizzate all’utilizzo di dispositivi elettronici personali (cellulari, tablet, laptop) durante le attività didattiche. Gli ambienti d’apprendimento possono infatti aprirsi a soluzioni flessibili, che permettano a tutti gli studenti e docenti della scuola di utilizzare un dispositivo, anche proprio.
Sicuramente per il conseguimento del benessere digitale molto resta da fare: insegnare la libertà da qualsiasi dipendenza (anche tecnologica) è un compito fondamentale dei docenti e degli educatori; è possibile farlo chiedendo agli studenti di riporre il cellulare nello zaino durante alcune fasi della lezione per poi utilizzarlo in momenti maggiormente interattivi. È anche utile consigliare agli studenti di monitorare il tempo di utilizzo del cellulare durante la giornata, avvalendosi delle apposite applicazioni. La logica proibizionista, come più volte emerso in altri ambiti sociali e giuridici, ha invece effetti controproducenti e tendenzialmente deleteri.
(Foto di Chivalry Creative su Unsplash)
Talvolta capita che insistere sul presente faccia perdere la memoria. I docenti reggono il filo della storia quindi i più non si sono preoccupati di commentare o opporsi al ministro