Colpisce, nelle pagine del 56° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese nell’anno 2022, pubblicato all’inizio di questo mese, il ricorso alla parola pazienza. Sì, perché è a questa virtù che viene interpellata la società italiana del tempo presente. Dinnanzi a un lento declino verso uno stato entropico, di disgregazione in una indefinita sequenza di microcosmi – lo rilevava acutamente Mauro Magatti sul «Corriere della Sera» dello scorso 9 dicembre – il nostro Paese sembra versare in uno stato di sospensione, stretto com’è tra una regressione ostacolata grazie allo sforzo e ai rischi individuali da una parte e, dall’altra, l’assenza di una spinta propulsiva capace di innescare processi di maturazione e crescita. In altre parole, osservano i redattori del Rapporto Censis, si assiste ad una latenza di risposta, ad una non-reazione, malgrado gli stimoli «a mettersi sottosforzo»; ci si trova immersi, in definitiva, in una società ferma, stagnante.
La sintomatologia di questa condizione risiede nel vuoto generato dalla rassicurazione di fronte all’imprevedibile rapidità delle trasformazioni, indotte dagli eventi epocali appena dietro di noi e in mezzo a noi: il capitalismo finanziario inceppato, la pandemia, la guerra. Di fronte a questo convulso incedere dei fatti, si moltiplicano le rassicurazioni («andrà tutto bene», «faremo tutti un passo avanti», «daremo risposte immediate ed efficaci ai problemi del Paese»), ma si devia dal sentiero principale, cioè dal rafforzamento della responsabilità collettiva. La rassicurazione, nell’emergenza, ha una logica perché innesta speranza e fornisce la percezione di uno slancio proattivo che opera da argine rispetto alla crisi. Ma siccome la nostra epoca è costellata da fasi critiche successive e fatalmente inarrestabili, il ricorso all’argomento rassicurante non basta, produce, appunto, un vuoto, una latenza di reazione, come ricorda il Censis.
La situazione impone dunque, forse ora più di prima, una diffusa e pervasiva operazione di ripensamento dei paradigmi sociali ed economici. In tale direzione, il rapporto Censis sembra sollecitare il recupero della forza trainante di un orientamento collettivo verso obiettivi condivisi, capaci di rifondare il senso della politica come presupposto dell’azione dei corpi intermedi, come delle pubbliche amministrazioni. È possibile che questo scenario debba potersi costruire anche sulla scorta dell’esigenza «di ritornare a sperimentare innovazione istituzionale, di ritrovare il gusto e il coraggio dell’inquietudine, di rilanciare una nuova fase dei meccanismi decisionali».
Progredire verso questa prospettiva, richiede l’esercizio della pazienza, in considerazione della facile constatazione che le emergenze (crisi finanziaria, pandemia, guerra) si presumeva potessero rimanere contenute in un orizzonte temporale relativamente breve il quale invece si sta dilatando.
Secondo il Censis è proprio questa cornice a costringere l’esercizio di una sorta di pazienza operosa. Infatti, in questo anno non si può certo dire che siano mancati i segnali «di un intenso e fertile lavoro di ricucitura interna e di recupero di credibilità della politica italiana sia nello scenario nazionale, sia sul piano internazionale». Lo dimostra lo spostamento dei contenuti di cui si sostanzia oggi quella che potremmo definire una nuova domanda politica. In essa si addensano temi quali la guerra, la crisi energetica, la carenza di materie prime e di componenti, il contrasto al degrado ambientale e al riscaldamento globale. Questi, si legge ancora nel Rapporto Censis, sono esempi di un ritrovato campo d’impegno delle decisioni politiche e delle loro concrete attuazioni.
Per queste ragioni, è speculare la richiesta al politico di dibattiti, scelte e decisioni idonee a determinare prospettive di lungo periodo che sappiano rianimare una struttura sociale ansiosa di ripartire e che, ad un tempo, ritrovi quei nessi di solidarietà e corresponsabilità senza i quali è difficile mantenere salda la relazione di continuità tra le persone.