Il cambio di denominazione del Ministero dell’Istruzione, con l’aggiunta …e del Merito, stabilito dal Governo Meloni, ha dato il via a parecchi commenti e riflessioni, inevitabilmente di segno diverso.

Vittorio Pelligra, su «Il Sole 24 Ore» (Istruzione, il ministero ora è anche del «Merito». Ma attenti alla retorica, 23 ottobre 2022), muove dalla nota correlazione di causalità fra rendimento scolastico e svantaggio familiare, tant’è che uno dei fattori principali di una scuola «di successo» è la qualità delle famiglie d’origine degli studenti. Sottolinea poi la necessità di definire la nozione, tutt’altro che univoca, di merito (a suo dire, si commisura con quelle di talenti, intesi come predisposizioni naturali, e abilità, quali capacità fondate sugli stessi talenti e sviluppate attraverso l’impegno). Conclude, mettendo in guardia dalla retorica meritocratica, che, in senso generale, si «trasforma velocemente in una forma di autolegittimazione delle élites, un meccanismo di trasmissione dei privilegi, di amplificazione delle disuguaglianze e di  colpevolizzazione di chi rimane indietro». Evidenti e negative le ricadute di una tale visione sulla scuola.

Intervistato da Federico Di Bisceglie (Sulla scuola troppa ideologia. Il merito è giusto. Parla Crepet, «Formiche.it», 25 ottobre), lo psichiatra, noto volto televisivo, si diffonde in una difesa a spada tratta del principio del merito, «sacrosanto» per insegnanti e studenti. Con esso, i  primi sono sospinti a migliorarsi nell’esercizio della loro funzione; i secondi ad acquisire la consapevolezza della scuola e dell’istruzione come veri motori del paese. Ovvio, quindi, l’apprezzamento per la scelta governativa. Durissima, invece, la critica verso i sindacati: «iper-conservatori , nell’accezione più nefasta del termine. Propalano un’idea pre-stalinista di scuola per l’istruzione». Conclusione: la scuola meritocratica «è quella che serve al Paese».

Su «Avvenire» (Istruzione. Merito? Ragioniamone al plurale e non diventi il perno della scuola, 29 ottobre), Paolo Santori (Università di Tilburg, Olanda) fa sua la tesi di Amartya Sen circa il carattere piuttosto vago di concetti come meritocrazia e merito: quest’ultimo condizionato dalle nostre opinioni su che cosa sia una “buona società”. Nel caso della scuola, il punto di partenza di una discussione sensata consiste nel domandarsi che cosa la renda “buona”, ovverosia qual è il suo telos. Da lì si possono allora capire gli “sforzi” e le “caratteristiche” che si vogliono premiare; in altre parole, ciò che costituisce la “base” del merito. Spunti conclusivi: fra gli scopi della scuola figura la valorizzazione delle diversità e dei meriti individuali; altrettanto fondamentale è la promozione del senso di cittadinanza, costituzionalmente fondato; merito e successo non sono la stessa cosa (se lo si dimentica, la meritocrazia diventa «legittimazione etica della disuguaglianza»).

Per Ernesto Galli della Loggia (La scuola svalutata, in «Corriere della sera», 27 ottobre), chi, nell’aggiunta «del merito» a Ministero dell’Istruzione, ravvisa un attacco alla «scuola dell’uguaglianza» non si rende conto che, in realtà, quella italiana è «scuola della diseguaglianza». Tra Nord e Sud, tra regione e regione, nonché negli stessi plessi scolastici (per es. nella formazione delle classi). Sulla base della menzione costituzionale de «i meritevoli» (art. 34), l’autore è indotto ad asserire: «l’istruzione comporta di per sé la centralità del merito. Che il governo Meloni si è solo preoccupato un po’ enfaticamente di ribadire». Senza, per altro, chiarire il significato di merito, Galli della Loggia ritiene che si debba precisare come esso vada «costruito» in rapporto ai contenuti disciplinari da apprendere. Questione che rinvia a un discorso più ampio, riguardante la necessità di promuovere una seria «discussione pubblica» sullo «stato critico della nostra scuola».

A questo articolo ha fatto seguito, sul medesimo quotidiano (30 ottobre), l’editoriale di Angelo Panebianco, Un lungo demerito. In sostanziale accordo con la tesi di fondo del precedente, dà per acclarata la situazione deficitaria della nostra scuola, dovuta soprattutto al misconoscimento, ad ogni livello, del merito. I colpevoli, più che i politici, i quali rispondono alle pressioni di «cittadini» e «gruppi organizzati», risultano, nell’ordine: gli intellettuali appartenenti all’«élite culturale»; i professori universitari, da sempre refrattari alle vicende scolastiche; i «sociologi della domenica», favorevoli all’abolizione di «promozioni e bocciature»; i sindacati. A questi ultimi la responsabilità maggiore di avere trasformato la scuola in «una macchina che serve per assorbire occupazione, non per dare una buona istruzione agli alunni». Certo, nonostante le «consolidate cattive politiche scolastiche», vi sono «molti docenti bravissimi». Questo non esime dal dire che la questione insegnanti è centrale. E insolubile finché non si definiscono le loro «carriere su basi meritocratiche». Impresa ardua per l’ostracismo dei sindacati.

Massimo Recalcati (Merito al merito, in «la Repubblica, 31 ottobre») esprime perplessità circa gli interventi della sinistra più ideologica sul tema; interventi volti a “demonizzare” il merito, considerato alternativo a un’idea di scuola inclusiva. Egli è del parere che la questione, considerata  nella prospettiva promozionale di ogni alunno propria della Costituzione, può essere vista in maniera diversa. Questo lo induce a ravvisare, nella vita scolastica, la coincidenza del merito «con il potenziamento dei propri talenti». In simile ottica, il merito si configura «per principio antigerarchico e singolare», in linea, quindi, con lo sviluppo della «capacità generativa» propria della scuola, che significa cura per il pieno sviluppo umano di ciascun alunno/studente. A questo proposito diventa cruciale la figura dell’insegnante. Nella maggior parte sono «capaci e meritevoli». Ma ve ne sono di inadatti. La loro imperizia didattica e la mancanza di empatia producono danni sulla positiva crescita, non solo intellettuale, degli allievi. Per tale motivo l’autore rivendica «il valore insostituibile del merito […] nella pratica dell’insegnamento».

Con riferimento a Galli della Loggia, lo scrittore Paolo Giordano (I miraggi del merito a scuola, in «Corriere della sera», 2 novembre) dichiara di essere tra coloro che si sono «stracciati le vesti» per l’aggiunta di «merito» a Ministero dell’Istruzione. Egli contesta l’affermazione della Meloni, secondo la quale avremmo «rovinato la nostra scuola, declassando il merito». In realtà, il sistema d’istruzione «ha sempre funzionato» nei confronti degli alunni «meritevoli», che sarebbe più corretto definire «adeguati alle richieste». Al di là di nostalgie e mitizzazioni di esperienze scolastiche andate, la scuola odierna, se per un verso appare più inclusiva di quella di ieri, per un altro verso incontra inedite difficoltà, perché deve «assorbire e gestire buona parte della complessità sociale lasciata intatta dalle altre istituzioni e dalla politica stessa». Quanto all’editoriale di Panebianco ‒ sopra citato ‒ Giordano dissente totalmente su due punti. Primo, non è vero che, se il merito è secondario, si crea uno stato di cose tale per cui chi proviene da condizioni svantaggiate non sarebbe incentivato a studiare seriamente, pregiudicando così la possibilità di ascesa sociale: è piuttosto la situazione stessa di svantaggio a porre all’alunno ostacoli motivazionali complessi e a volte insormontabili. Secondo, gratuita l’accusa agli intellettuali letterati di disinteressarsi della scuola: l’autore produce a supporto anche la sua biografia.

Roger Abravanel, autore di Meritocrazia (Garzanti, 2008), interviene sul quotidiano di via Solferino con Tre domande sul merito (3 novembre). D’accordo con Galli della Loggia, sostiene che «una scuola di qualità favorisce la crescita economica e sociale proprio di quei gruppi che i detrattori del merito dovrebbero difendere». Ciò detto, l’autore intende offrire un contributo su come e dove promuovere il merito nell’istruzione, ponendo tre «domande concrete» a Giorgia Meloni. La prima: che significa «più merito nella scuola» e dove? Il problema riguarda non tanto i migliori Licei (nei quali, per incrementare la meritocrazia, basterebbe lasciarli liberi di selezionare gli studenti per merito, con test d’ingresso) quanto gli Istituti tecnico-professionali, in troppi casi ‒ soprattutto al Sud ‒ poco attendibili circa la valutazione degli allievi e non in grado di soddisfare le esigenze di aggiornata preparazione al mondo del lavoro. Seconda domanda: «come intende promuovere il merito nella scuola?». Per l’autore, la chiave starebbe in una seria azione valutativa dei singoli Istituti e del loro personale, anche recuperando il meglio di progetti e iniziative passate (ad es. dell’ex Ministra Gelmini e del Governo Renzi), nella consapevolezza tuttavia di doversi scontrare con dure opposizioni (in primis, dei sindacati). Terzo interrogativo: «perché il merito solo nella scuola e non nell’università?». Abravanel parla di «disastro» dei nostri atenei, incapaci, salvo pochi casi, di tenere il passo delle migliori esperienze straniere. Un appiattimento verso il basso anche per l’«endemico e cronico rifiuto», da parte dei docenti, delle dimensioni competitiva e valutativa della loro attività. Perciò, «se all’estero le università sono i templi della meritocrazia, da noi sono i bastioni del nepotismo». Va da sé allora che l’inserimento del merito nell’istruzione «è una ottima priorità per il governo Meloni».

In (provvisoria) conclusione: la questione del merito nell’istruzione è oltremodo complessa e, alla stregua di altre, inevitabilmente divisiva. Non può essere affrontata con pregiudiziali ideologiche e luoghi comuni, da pamphlet d’accatto, come si rileva in molti commenti di queste settimane. A monte di essa sta una determinata visione della scuola e, più in generale, della società, nonché della stessa democrazia.

(Photo by Taylor Flowe on Unsplash)

  • Luciano Caimi

    Presidente dell’associazione Città dell’uomo e direttore di Appunti di cultura e politica; già ordinario di Storia della pedagogia e dell'educazione presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore.