La questione dell’ergastolo ostativo è stata al centro del dibattito negli ultimi giorni, ma è da due anni che se ne discute tra legislatore e Corte costituzionale.

In principio, infatti, era stata sollevata una questione di costituzionalità da parte della Corte di cassazione (giugno 2020) sull’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario.  Il quesito posto alla Corte costituzionale si può sintetizzare così: sono compatibili con la Costituzione le disposizioni che non consentono al condannato all’ergastolo per delitti di mafia –  il quale non abbia utilmente collaborato con la giustizia – di essere ammesso al beneficio della liberazione condizionale, pur dopo aver scontato la quota di pena prevista (ventisei anni) e pur risultando elementi sintomatici del suo ravvedimento?

La Consulta, dopo due rinvii per permettere al legislatore di intervenire in materia, ha deciso di rimettere la questione alla Cassazione, essendo nel frattempo intervenuto il decreto-legge n. 162 del 31 ottobre 2022.

Il primo decreto del Governo Meloni – che ricalca un disegno di legge della scorsa legislatura a firma PD, M5s, Lega e Forza Italia – ha inteso apparentemente regolare le condizioni perché i condannati possano beneficare della liberazione condizionale.

Di fatto però le condizioni fissate impediscono la concessione dei benefici. Non solo: la platea di detenuti a cui sarà difficile concedere i benefici è aumentata, comprendendo gli ergastolani che hanno commesso i reati cosiddetti “ostativi” (ovvero i reati commessi per finalità di terrorismo, contro il patrimonio, contro la PA, a sfondo sessuale, etc.), quindi non solo i reati mafiosi.

Toccherà ora alla Cassazione verificherà gli effetti della nuova normativa circa la questione di costituzionalità sollevata e decidere se riproporla. Si prospetta quindi solo un ulteriore passaggio il cui esito, salvo soprese, sarà una nuova proposizione della questione da parte della Cassazione e la declaratoria di incostituzionalità della nuova normativa (sulla base dei principi già enunciati dalla Consulta con l’ordinanza n. 97 / 2021).

La decisione della Corte costituzionale desta perplessità sotto vari profili dal punto di vista tecnico. Solo per citarne uno, come ha sottolineato Salvatore Curreri su Il Riformista di sabato 11 novembre (p. 6), essendo il decreto un intervento d’urgenza e precario, sarebbe stato preferibile che la Corte avesse atteso il termine di sessanta giorni per la conversione, in modo tale da verificare se e come verrà convertito il decreto. D’altra parte, Andrea Morrone, sulle pagine del Domani dell’8 novembre (p. 10), aveva giustamente sottolineato come la Corte non avrebbe potuto decidere nel merito, essendo cambiato l’oggetto del giudizio (dalla legge sull’ordinamento penitenziario al nuovo decreto legge).

Al di là delle ragioni processuali del rinvio, il punto è che nel nostro ordinamento rimane una condanna senza fine per gli ergastolani, senza possibilità di ridurre la pena, tenendo conto del percorso di ciascuna persona. Si tratta, come ha riconosciuto la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, di un trattamento inumano e degradante, in aperto contrasto con la finalità rieducativa della pena.

Come ha scritto Vladimiro Zagrebelsky su La Stampa del 31 ottobre 2022, la questione dell’ergastolo ostativo ripropone più a fondo un alternativa tra due visioni di giustizia: tra chi pensa che per determinati reati, i condannati debbano ricevere pene esemplari e non rivedibili e, d’altro, chi ritiene che la «personalità del condannato non resta segnata in maniera irrimediabile dal reato commesso in passato, foss’anche il più orribile; ma continua ad essere aperta alla prospettiva di un possibile cambiamento» (come ha scritto la Corte costituzionale).

Il decreto legge, purtroppo, va nella prima direzione; bisognerà attendere e sperare in un nuovo intervento della Consulta per riprendere il cammino rieducativo della pena indicato dalla Costituzione. E, a proposito della Carta, non stupisce purtroppo che Fratelli d’Italia abbia nel frattempo depositato un disegno di legge costituzionale per la revisione l’art. 27 della Costituzione, tendando di rimuovere il fine rieducativo della pena (qui la notizia).

(Foto di copertina di Emiliano Bar on Unsplash)

  • Andrea Michieli

    Avvocato, dottore di ricerca in Diritto pubblico dell’economia presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca; consigliere dell’associazione di Città dell’uomo e membro del gruppo di coordinamento della rivista web Appunti di cultura e politica.