Sta cambiando il peso del mondo cattolico in politica? Ha iniziato a porre il tema un lungo articolo di Marco Damilano su «Il Domani» del 4 luglio (Il ritorno dei cattolici sul fronte dei diritti). Egli ha lanciato la suggestione secondo cui si potrebbe ancora raccogliere oggi quanto di meglio seppe fare in altre stagioni, anche non troppo lontane da noi, la complessa realtà del cattolicesimo democratico. Tale ipotesi troverebbe una sua congiuntura favorevole nell’accoppiata della leadership della Chiesa globale e di quella italiana, nelle persone di papa Francesco e del card. Zuppi neopresidente della CEI. Damilano osservava come ci fosse ad esempio un chiaro segno di innovazione nel modo con cui sta svolgendo recentemente negli ambienti cattolici il discorso sui diritti civili (la moderazione delle reazioni all’abolizione negli USA della sentenza Roe vs. Wade sull’aborto sarebbe indicativa). Egli collegava poi il tutto a tentativi di ritessitura sociale, a un dinamismo dal basso, civico e amministrativo, evidente a suo dire nel caso di Damiano Tommasi, eletto sindaco a Verona contro ogni aspettativa.

Su “Settimana news” il tema è stato rilanciato con un articolato editoriale di p. Lorenzo Prezzi uscito il 7 luglio. Egli sottolineava altre esperienze, come i convegni sul Mediterraneo di ispirazione lapiriana proposti dal card. Bassetti. In sostanza, egli notava la peculiarità della cultura cattolico-democratica sviluppata nel nostro paese, come germe di resistenza nei confronti di un individualismo proprietario liberale e cultura capace di tessere mediazioni per il bene comune.

Tornava sempre sulla stessa rivista online Franco Monaco l’11 luglio, in cui apprezzava gli spunti iniziali di Damilano, non senza osservare che occorrerebbe precisare meglio il senso dell’espressione “cattolicesimo democratico”, in cui alla mediazione si dovrebbe aggiungere un elemento di progettualità anche radicale; e notava non pour cause che nel dibattito recente sulla guerra questo non era emerso in primissimo piano.

Dopo altri interventi di Giuseppe Boschini e Giuseppe Savagnone, interveniva il 5 agosto Stefano Zamagni sulla stessa rivista. Identificando il problema soprattutto nell’illusione cattolica di fermarsi alla questione prepolitica del potere come influenza, trascurando quella del potere come potenza, collegata all’altra illusione di poter agire come lievito nella pasta di partiti plurali. Occorre invece oggi affrontare la questione etica delle società postmoderne: “la ricerca di una via attenta al rispetto del pluralismo etico e al tempo stesso capace di suggerire una comunanza etica significativa è la grande missione del mondo cattolico in questo tempo.” Il che sembra suggerire una presenza come cattolici in politica, attorno al recupero della centralità del bene comune. Si echeggiava qui la riflessione del gruppo “Insieme” sulla presenza politica da credenti. 

Il dibattito sulla rivista online dei dehoniani è proseguito poi con altri articoli molto interessanti. 

Tornando sulla questione, Andrea Riccardi (“Corriere della sera” 17 agosto) si è interrogato sulla perdita apparente di rilevanza, notando come comunque, al di là della decadenza possibile sottolineata da molti osservatori e interlocutori (anche da Lucio Caracciolo su “Limes”), la Chiesa sia la più grande rete sociale del paese.

Ha rilanciato Claudio Tito su “Repubblica” il 21 agosto, sottolineando una “cambio di marcia” della Chiesa di Bergoglio rispetto al passato, identificato in una più netta neutralità politica da osservare in campagna elettorale, nonostante la sottolineatura di valori permanenti.

Enzo Bianchi su “Repubblica” il 22 agosto prendeva in considerazione un aspetto della questione, e in particolare l’uso da parte di Salvini dello slogan “Credo”. Osservava che al di là della polisemia del termine, la fede rimanda a un atteggiamento globale in cui aver fiducia del prossimo garantisce un approccio solidale e aperto nella vita quotidiana.

Sul “Corriere della sera” del 29 agosto tornava su tema Ernesto Galli della Loggia, partendo anch’egli dalla constatazione di una netta irrilevanza dei cattolici nel discorso pubblico (eccettuata la voce il papa). E identificava la causa in una perdita di consistenza dell’identità cattolica, resa evanescente da molte divisioni interne. Il cattolicesimo non avrebbe retto l’onda della secolarizzazione. L’esaurimento del ruolo dei cattolici nel centro-sinistra sarebbe l’ultima conseguenza di questa deriva. A suo parere, per rilanciare un ruolo che sarebbe utile al paese, sarebbero due le condizioni: accettare di parlare da cattolici non a nome della Chiesa, e accettare lo schieramento e quindi l’eventuale collaborazione con altre culture e forze. La conclusione sembra però così un poco in contrasto con il ragionamento precedente.

Il 30 agosto su “Il Domani” Lorenzo Prezzi sottolineava come in realtà il silenzio della Chiesa in campagna elettorale rispetto agli schieramenti non aveva impedito di prendere posizioni significativi sia in termini di apprezzamento per i portatori di un approccio positivo ai contributi alla convivenza civile (Pnrr, legittimazione della democrazia), sia attorno ad alcune questioni prioritarie (ecologia, immigrazione).

Su “Avvenire” del 2 settembre, Agostino Giovagnoli si interrogava se veramente di irrilevanza si dovesse parlare o se il problema non fosse che la politica, come altri spezzoni del paese, facesse sempre più fatica a cogliere la rilevanza della presenza sociale cattolica. Diverso è il discorso sull’abbandono dello schema democristiano, che era stato più una parentesi che una costante nella storia contemporanea del cattolicesimo. La “irrilevata rilevanza” dei cattolici sarebbe quindi sostanzialmente un sintomo ulteriore di crisi della democrazia.

Non trascuriamo di ricordare alcune prese di posizione collettive sviluppate proprio in campagna elettorale da alcuni esponenti del mondo cattolico (che si trovano qui). Un dibattito destinato a non chiudersi nemmeno dopo le recenti elezioni.

(Foto da “Toscanaoggi”)