«La Germania è tornata, saremo un partner molto forte dentro l’Unione europea e faremo avanzare l’Europa»: questo ha dichiarato Friedrich Merz nel corso della conferenza stampa in cui è stata annunciata la raggiunta intesa tra Cdu-Csu e Spd per un governo di legislatura. L’ambizione del prossimo cancelliere è indubbiamente grande, visto che l’obiettivo dichiarato è quello di rilanciare la competitività tedesca e la leadership del suo paese, al momento assai sbiadita, sul vecchio continente.
Ambizioni programmatiche e intese limitate
Un primo risultato è stato comunque raggiunto. Merz ci teneva a concludere le consultazioni per il nuovo governo prima di Pasqua, e così è stato. Di regola questo tipo di trattative impegna i leader delle forze politiche per tempi assai più lunghi delle sei settimane che sono bastate questa volta. Molto dipende anche dal fatto che su tanti punti del programma si è preferito definire delle linee piuttosto generiche rimandando poi l’applicazione concreta a data da destinarsi nel corso della legislatura, con la clausola della “riserva di finanziamento”, ovvero solo se il bilancio lo consentirà.
In effetti le 144 pagine del “contratto di coalizione”, denominato “Responsabilità per la Germania”, sono ricche di promesse che vanno dai tagli alle imposte per i redditi medio-bassi alla riduzione delle tasse sulle imprese, dalla sburocratizzazione della pubblica amministrazione ai massicci investimenti per la digitalizzazione, dal sostegno all’auto elettrica alle drastiche misure sull’immigrazione che prevedono chiusura dei confini, forte limitazione alle richieste d’asilo, blocco della naturalizzazione accelerata, sospensione dei ricongiungimenti famigliari, incremento dei rimpatri per gli irregolari. La politica migratoria perseguita da Merz, come già si era potuto vedere in gennaio, quando aveva provato a far passare in parlamento un pacchetto di norme restrittive con l’appoggio dei deputati di AfD, ha un marcato profilo “securitario”, probabilmente con la speranza di togliere il terreno sotto i piedi alla destra estrema. Niente ritorno al nucleare, almeno per ora, come pure aveva promesso la Cdu in campagna elettorale, e niente tassa patrimoniale come invocato dalla Spd. Un punto saliente del programma è lo stanziamento di un fondo straordinario di 400 miliardi per la spesa militare, ovvero per investimenti destinati alle forze armate. Due misure care alla sinistra come il reddito di cittadinanza (Bürgergeld) e l’incremento del salario minimo a 15 euro sono rimaste in stand by: il primo sarà radicalmente ridimensionato, mentre gli aumenti per il secondo saranno introdotti solo se la situazione economica lo permetterà.
Intese da perfezionare nella “Grosse koalition”
Tutto bene, dunque, per la Grande coalizione guidata da Merz? Niente affatto. La strada è ancora in salita. Intanto ci sono da definire i posti dei ministeri, accontentando le esigenze di tutti i partner. Ma su questo fronte non sarà troppo complicato trovare la soluzione, anche perché la Spd è disponibile a cedere la poltrona degli Esteri (che di prassi va ad un esponente del secondo partito) in cambio di quelle delle Finanze e della Difesa. Sulla carta ci sarebbe anche la necessità di far approvare dai rispettivi partiti il contratto di governo: la Cdu lo farà senza problemi in un congresso straordinario che avrà luogo il 28 aprile, mentre la Spd ricorrerà ad una consultazione interna tra gli iscritti (circa 400mila), nella quale è probabile che emerga qualche mal di pancia sotterraneo. Ma alla fine tutti i partiti daranno il via libera, non foss’altro perché nell’attuale quadro politico non si vedono alternative praticabili. I contraenti sanno perfettamente che questa edizione della Grosse Koalition non è un matrimonio d’amore, ma di puro interesse, frutto di un’intesa obbligata più che di una vera e propria consonanza politica.
E poi ci sono i sondaggi demoscopici che ormai anche in Germania sono divenuti uno strumento ineludibile della dialettica politica e che registrano unanimemente un grande scetticismo e pessimismo. La maggioranza dei tedeschi non nutre molta fiducia nel governo Merz e non si aspetta soluzioni reali dei problemi. Secondo il Politbarometer (“barometro politico”) del secondo canale della televisione pubblica ZDF solamente il 30% dei cittadini crede che le promesse scritte nel contratto di coalizione saranno mantenute nell’arco della legislatura, soprattutto quelle relative all’economia e alla politica migratoria. L’ostacolo politico principale è dato dalla crescita sempre più inquietante di Alternative für Deutschland, che i sondaggi danno al 24-25%, in crescita rispetto alle elezioni di febbraio e ormai alla pari (se non addirittura davanti) del partito dei cristiano-democratici. Infine, l’economia: nell’anno corrente la Germania rischia di sperimentare un altro anno di decrescita dopo il -0,2% del 2024. In una situazione internazionale sempre più irta di insidie tra guerra ucraina che non accenna a concludersi e dazi americani incombenti, uno studio della Bundesbank, la Banca centrale tedesca, evidenzia come nel periodo 2021-2023 l’inflazione ha colpito duramente riducendo di circa l’11% la ricchezza media delle famiglie tedesche.
Una fiducia parziale: la questione del debito
Lo scetticismo verso la coalizione che si accinge a guidare la Germanie nei prossimi quattro anni trapela anche in molti editoriali e commenti della stampa tedesca, soprattutto di quella conservatrice: molti non perdonano a Merz di avere sospeso la Schuldenbremse, il “freno del debito”, un dogma di fede incrollabile, almeno fino allo scorso febbraio, per l’establishment economico-finanziario tedesco, e di avere fatto troppe concessioni ai Verdi (investimenti per la transizione ambientale) in cambio del loro via libera, indispensabile nell’ultima seduta parlamentare della precedente legislatura, per la modifica costituzionale necessaria per sbloccare il freno del debito. Un’accusa ricorrente è quella di avere sottoscritto un programma con troppe reticenze e incognite, col rischio concreto di fare la fine del precedente esecutivo “semaforo”, quello guidato da Olaf Scholz, caduto vittima fin dai primi passi di interminabili discussioni e logoranti conflitti al suo interno.
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