Da quando è salito al potere nel 2002, la strategia di politica estera di Erdoğan ha mirato a stabilire la Turchia come potenza regionale, concentrandosi su due concetti chiave: autonomia strategica e neo-ottomanesimo. Il primo enfatizza l’indipendenza in materia di energia e difesa, mentre il secondo cerca di espandere l’influenza della Turchia in Medio Oriente, con un occhio di riguardo per la Libia, i Balcani, l’Armenia-Azerbaijan e l’Asia centrale. La guerra di Gaza, con le sue estensioni libanesi e siriane, così come l’attuale sforzo militare della Russia in Ucraina, hanno offerto a Erdoğan l’opportunità di riaffermare la sua leadership nella regione, se non di posizionarsi come arbitro principale del futuro della Siria, dopo la caduta il 7 novembre 2024 della sua dinastia regnante cinquantennale: gli Assad.
L’influenza di Erdoğan nella regione ha beneficiato della sua crescente forza, anche se unita alla crescente debolezza dei suoi avversari. La forza del Presidente deriva dalla sua salda presa sulle questioni politiche e sociali interne, dai continui miglioramenti dell’economia (nonostante l’inflazione si aggiri ancora appena sotto il 50% entro la fine del 2024), dagli investimenti significativi nell’industria della difesa e dal carisma di cui gode in gran parte del mondo islamico. Al contrario, i suoi rivali regionali stavano affrontando enormi sfide. Le ambizioni dell’Iran erano frustrate dal confronto con Israele e dal ruolo ridotto di Hezbollah, pesantemente colpito dagli attacchi delle Idf, l’esercito israeliano, alle loro basi in Libano e dall’eliminazione dei suoi leader, a partire da Nasrallah. Erdoğan non ha mai mostrato affinità con Hezbollah e Nasrallah. Nel frattempo, il suo alleato, Putin, stava affrontando difficoltà a causa della guerra in Ucraina e di un’economia malata. Tutto ciò lo ha lasciato incapace di continuare a proteggere il regime di Bashar al-Assad. Tra il 2022 e il 2024 Erdoğan ha provato a riconciliarsi con Assad, cercando di ripristinare il loro precedente stretto rapporto, ma senza successo.
Putin, per molti anni, ma soprattutto dopo il 2011, quando è iniziata la guerra civile siriana, è riuscito a frenare le ambizioni di Erdoğan in Siria, spinte dall’interesse strategico della Russia, sin dalla Guerra Fredda, nel Paese come sbocco sul Mar Mediterraneo. Erdoğan non poteva permettersi di sfidare Putin. La Russia era molto più forte della Turchia. Putin era in qualche modo un modello per Erdoğan. Inoltre, il processo di Astana (un accordo tra Russia, Iran e Turchia riguardante la Siria settentrionale lanciato nel gennaio 2017) mentre scongiurava scontri militari tra forze turche e russe nella regione di Idlib, a sud-ovest di Aleppo, rappresentava una chiara vittoria della Russia e di Assad, accettata dalla Turchia, ma sostanzialmente respinta dall’opposizione siriana. Per rafforzare questo cessate il fuoco, Erdoğan ha ribadito il suo impegno a salvaguardare l’integrità territoriale della Siria, come ha continuato a fare dopo la caduta del regime di Assad. La presenza della Turchia, questa è la sua argomentazione, non è un’occupazione ma una salvaguardia contro il terrorismo curdo e la sua estensione siriana, le milizie Ypg.
Tuttavia, da febbraio 2022, la forza relativa tra Putin ed Erdoğan ha iniziato gradualmente a cambiare, questo a causa dell’aggressione russa all’Ucraina. Quanto avrebbe dovuto essere, nel progetto di Putin, una guerra lampo, è diventata una guerra di logoramento, distruggendo molte risorse russe, umane e materiali. Nello stesso periodo la forza politica ed economica della Turchia è aumentata. In un certo senso la Russia è divenuta dipendente dalla Turchia: l’unico paese non ostile tra i membri della Nato, l’unico a mantenere un dialogo aperto, l’unica tra le nazioni più ricche del mondo a non applicare sanzioni, e così via. Gradualmente Erdoğan ha eroso terreno a Putin. Il relativo indebolimento di quest’ultimo è diventato evidente in Siria con il venir meno della sua presenza militare, principalmente come numero di soldati (regolari e mercenari) e aerei da guerra, assorbiti dalle esigenze della guerra in Ucraina.
Questo cambiamento di forza relativa a suo vantaggio, ha spinto Erdoğan a fare un significativo balzo in avanti: liberandosi da ogni dipendenza da Putin e portando, indirettamente, il colpo di grazia al regime di Assad. Negli sviluppi tra il 28 ottobre 2024 (occupazione di Aleppo da parte delle forze ribelli) e il 7 novembre dello stesso anno (caduta di Damasco), la Turchia sembra essere l’orchestratore nascosto: spinge la situazione in avanti ma ne rimane ai margini. L’offensiva è stata guidata da Hayat Tahrir al-Sham (Hts), un derivato di Al-Nusra, sostenuto da Erdoğan sin dai primi giorni della guerra siriana. Altre milizie filo-turche, raggruppate sotto l’Esercito nazionale siriano (Nsa) e fortemente anti-curde, si sono unite ad Hts nella sua offensiva su Aleppo.
Come è stata possibile la fulminea conquista-resa di Aleppo? Da dove sono venute l’organizzazione e la disciplina per permettere a Hts e Nsa di fare in dieci giorni quanto non sono riusciti a fare in oltre dieci anni? Un simile tipo di azioni ha successo solo se c’è una lunga e meticolosa preparazione alle spalle. Solo i servizi segreti esperti hanno la capacità e i mezzi per portare a termine un’operazione del genere. Inoltre, queste azioni non possono essere pianificate a tavolino, devono essere presenti sul posto, per istruire i combattenti. Millî İstihbarat Teşkilatı (Mit), i servizi segreti turchi, ha tutte queste caratteristiche e possibilità. Il piano poteva essere pronto solo da molto tempo, e lasciato in stand-by in attesa del momento giusto per lanciarlo. Questo momento è arrivato quando le azioni militari di Israele hanno indebolito l’Iran e Hezbollah, mentre Putin si è gradualmente indebolito con la guerra portata in Ucraina
Il governo turco vede questi sviluppi come un modo per facilitare il ritorno di tre milioni di rifugiati siriani, la cui presenza è sempre più sgradita alla popolazione turca e un peso per le finanze pubbliche. Inoltre, la nuova Siria del dopo Assad potrebbe facilitare la lotta contro le forze Ypg, considerate la longa manus del Pkk.
E Putin? La sua umiliazione è stata duplice. Primo, perché chi si immaginava di conquistare l’Ucraina in dieci giorni, non solo era ancora lì dopo più di mille giorni, ma in dieci giorni si è trovato “neutralizzato” in Siria. Secondo, perché per continuare a rimanerci ha bisogno del potere di Erdogan. Infatti, attraverso la sua influenza sugli insorti, Erdoğan sta assicurando la protezione e (possibilmente) la permanenza delle basi navali e aeree russe nel territorio siriano.
“La Russia sta mantenendo un dialogo con la Turchia per discutere del futuro della Siria dopo il crollo del regime di Bashar Assad”, sono parole pronunciate il 17 dicembre 2024 da Andrey Buravov, console generale russo a Istanbul, sottolineando l’importanza della collaborazione tra i paesi, dati i loro legami di lunga data con la Siria. “Stiamo discutendo su cosa si può fare in queste nuove circostanze, considerando la nostra tradizionale amicizia con la Siria e il suo popolo”, ha aggiunto.
Il futuro delle basi militari russe in Siria resta incerto, al momento sono in corso negoziati trilaterali tra i rappresentanti del governo ad interim siriano, quelli della Turchia e della Russia. Quest’ultima sta cercando soluzioni alternative in Egitto, Libia e Algeria. In Libia la Russia ha costantemente sostenuto il governo cirenaico del generale Khalifa Haftar, dispone già di una forte presenza militare, rafforzatasi dall’agosto 2024.
La debacle siriana, fa della Turchia una super potenza regionale, super in quanto il Sultano ha dato scacco matto allo Zar, costretto a chiederne l’aiuto. Inoltre, e questo è il paradosso, potrebbe comunque rafforzare ulteriormente, tra Egitto, Libia e Algeria, la presenza russa nella sponda sud del Mediterraneo.
Il tutto mentre l’Europa sta a guardare.
Crediti Foto World Economic Forum from Cologny, Switzerland, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons