Qualche giorno fa ho ricevuto una telefonata da un conoscente che fa il professionista e che era scandalizzato dalle ultime norme varate dal governo in materia di concordato. “Pensa un po’ – mi ha detto – il 2023 è stato per me un anno negativo, forse il peggiore da quando ho iniziato la mia attività, e ho quindi dichiarato 71.000 euro. Quest’anno gli affari hanno ripreso l’andamento abituale e quindi avrei dovuto dichiarare più di 350.000 euro. Ora, se aderisco al concordato, sarò tenuto a dichiarare solo 73.000 euro per il 2024, e 75.000 per il 2025, indipendentemente dai miei guadagni effettivi, con un risparmio, ogni anno, di 70-80.000 euro di imposta: è evidente che lo farò”.  Per quanto si tratti di un caso limite, esso dimostra che tutti coloro che per una ragione o un’altra prevedono entrate crescenti per il prossimo anno aderiranno al concordato (con relativa perdita di gettito per lo Stato), così come aderiranno coloro che, forniti di un’ISA (Indice sintetico di affidabilità) basso, faranno anche il condono, liberandosi da possibili accertamenti relativi agli ultimi anni, e beneficiando di aliquote drasticamente ridotte, anzi addirittura ridicole. Altro che contrasto all’evasione! Vi è la massima comprensione e tutela degli evasori che avviene oggi alla luce del sole, senza remore e senza vergogna.

Questa vicenda mostra non solo una visione e una concezione della materia tributaria da parte del governo priva di ogni principio, razionalità o senso etico, ma anche un evidente affanno, se non panico vero e proprio, data la impossibilità di distaccarsi dai vincoli e dai programmi europei, da un lato, e dalle promesse elettorali dall’altro.

La conferma di questo stato d’animo si trova nelle reazioni del tutto esagerate di fronte all’annuncio del ministro Giorgetti secondo cui i contribuenti beneficiari del bonus 110% avrebbero dovuto rivalutare le rendite catastali dei propri immobili. Giù le mani dalla casa! hanno iniziato tutti a gridare. No pasaran! Senza rendersi conto che la norma che impone l’adeguamento delle rendite esiste da tempo per ogni ristrutturazione immobiliare effettuata, e che nel caso specifico la stragrande maggioranza degli interventi effettuati col 110% ha riguardato le prime case che sono esenti da Irpef ed Imu, e quindi non c’era materia su cui contendere.

In sostanza, la destra si trova in una situazione in cui l’unica proposta identitaria avanzata in materia fiscale, la flat tax per tutti, nonsoloè scomparsa dal dibattito, ma non è presente neanche nel programma economico che dovrebbe riguardare i prossimi 4-7 anni. Quindi il nervosismo tende a prevalere, nella consapevolezza che non ci sono, e non ci saranno, le risorse per rispettare le promesse fatte. Salvo quelle che riguardano la tutela dell’evasione e degli evasori, che rappresenta la vera (e unica) stella polare della politica tributaria del governo Meloni.

E questa affermazione non rappresenta una forzatura polemica, ma una semplice descrizione della realtà, come dimostra un esame consapevole delle varie misure finora adottate. Per esempio, poco tempo fa è stato varato un decreto delegato in tema di riscossione che incide fortemente sulle penalità applicabili in caso di evasione accertata, e quindi sul rischio collegato al mancato pagamento delle imposte: i contribuenti che devono al fisco fino a 120.000 euro (che non sono pochi) potranno limitarsi a comunicare all’Agenzia delle entrate di non essere in grado di pagare per ottenere una rateizzazione del debito fino a 10 anni. Al di sopra dei 120.000 euro sarà necessario trasmettere qualche elemento di informazione circa la carenza di liquidità in cui si trova il contribuente per ottenere una analoga rateizzazione, trascurando il fatto che ci si può trovare, o apparire, a corto di liquidità ed essere invece pienamente solvibili. In questo modo viene meno ogni effetto di deterrenza della normativa tributaria rispetto all’evasione fiscale, e il ricorso alla rateizzazione tende a diventare un metodo alternativo di finanziamento rispetto ai normali canali creditizi. Inoltre, come è ben noto, è pratica diffusa che una volta pagata la prima rata dovuta, non pochi contribuenti scompaiono facendo affidamento sul fatto che nessuno li andrà a cercare.

Ma la misura più scandalosa, di cui è in parte responsabile anche il governo Conte I, è l’introduzione di un regime forfettario per i lavoratori autonomi e le imprese individuali per fatturati dichiarati fino a 85.000 euro (limite che il governo vorrebbe portare a 100.00) i quali, previo un abbattimento variabile a seconda della attività svolta, possono pagare un 15% forfettario in sostituzione di Iva, Irpef, addizionali regionali e comunali. Questi contribuenti sono inoltre esenti dall’Irap, e quindi non partecipano al finanziamento della sanità, oltre a quello dei servizi pubblici locali.

Va inoltre considerato che il forfait è riservato a contribuenti che secondo i dati ufficiali sono responsabili di una evasione media delle imposte dirette del 67-70%. In altre parole, essi guadagnano 100 e dichiarano 30-33. Ciò significa che il limite di 85.000 euro corrisponde in realtà in media ad un livello di fatturato effettivo di circa 280.000 euro, ed è facile calcolare che un contribuente forfettario evasore, a quel livello di fatturato e di reddito risparmia, rispetto a un lavoratore dipendente con lo stesso livello di reddito, poco meno di 80.000 euro di tasse l’anno. Scusate se è poco!

Questa è la situazione del fisco italiano oggi, che apparirebbe ad ogni osservatore esterno inaccettabile e indecente. Tanto più che, al di là della evasione, una parte considerevole dei redditi prodotti sono esclusi dalla tassazione o beneficiano di trattamenti agevolati, mentre una attenzione particolare viene riservata alle imprese, anche quelle che, per le loro dimensioni, non evadono o evadono poco.

In sostanza il governo Meloni rappresenta e tutela i lavoratori indipendenti, le piccole imprese, i professionisti, gli affaristi, e considera i lavoratori dipendenti e i pensionati, soggetti sacrificabili su cui scaricare, tra tasse e contributi, buona parte del peso della finanza pubblica. Al tempo stesso le statistiche sull’evasione vengono ridimensionate non solo per un recupero effettivo di gettito che pure c’è stato grazie alla fatturazione elettronica, ma anche perché i contribuenti forfettari, ormai più della metà del totale, vengono esclusi dalle stime ufficiali dell’evasione e considerati corretti, anche se non lo sono affatto.

Si tratta di una situazione inaccettabile, inaudita, ma diventata senso comune e non combattuta dall’opposizione e dai sindacati con la dovuta radicalità. Non è sufficiente polemizzare sull’evasione e sulla sua entità e denunciare genericamente le ingiustizie del fisco italiano. Sarebbe necessario farne un oggetto centrale di lotta politica, sia in Italia che all’estero, fornendo le cifre, spiegando i meccanismi, e senza timore di perdere voti. Si tratta della principale contradizione del governo Meloni, e sarebbe assurdo non approfittarne. Stando così le cose, discutere di imposte patrimoniali va bene, ma bisogna evitare che diventino un alibi o una fuga in avanti rispetto alla situazione reale.

(Foto di Jon Tyson su Unsplash)

  • Vincenzo Visco

    Economista, professore di Scienza delle Finanze, ha insegnato all'Università di Pisa, alla Luiss e alla Sapienza di Roma. E' stato membro del Parlamento per sette legislature, Ministro delle Finanze e del Tesoro in numerosi governi, e periodi consecutivi. E' Presidente del centro studi Nens.