Merita di essere letto il libro di Marco Ascione, giornalista del Corriere, su “La profezia di CL” edito da Solferino. Sia perché è un testo ricco di informazioni, sia perché il cuore tematico di esso è rappresentato dalle ragioni all’origine delle dimissioni di don Carron quale responsabile del movimento. Dimissioni che, complice il suo riserbo, hanno avuto un’eco modesta, ma a monte delle quali sta palesemente il travaglio del movimento. Qui finalmente se ne dà conto. Come proverò ad argomentare, meno persuasivo o comunque non adeguato è lo scavo dell’autore. Comprensibilmente, essendo egli un pur bravo giornalista e non uno studioso. Trattandosi di materia che chiama in causa molteplici competenze: teologiche, sociologiche, politologiche, pedagogiche.
Quali, in estrema sintesi le tesi dell’autore? Le seguenti (mi scuso per la necessitata schematizzazione): un giudizio generoso, privo di ombre, sul carisma e sull’opera di Giussani (già nel titolo la “profezia” di CL); l’asserita perfetta coerenza con il fondatore del successore Carron, effettivamente scelto e voluto dallo stesso Giussani, da lui preferito a un italiano più interno alle origini e alla vicenda del movimento; la degenerazione politica e affaristica di alcuni esponenti di CL culminata nel caso Formigoni; la correzione “spirituale” della linea di CL operata da Carron in sintonia con i rilievi e le misure disciplinari adottate più di recente da Papa Francesco che hanno investito i vertici del movimento e segnatamente la sua comunità adulta (i “memores”); la resistenza da essi opposta e – nelle pagine finali del libro – la spinta a sconfessare e a cancellare la “svolta” impressa appunto da Carron.
Cosa non torna, a mio sommesso avviso? Giussani ebbe effettivamente una intuizione semplice, efficace e aderente allo spirito del tempo: mettere a tema il rapporto (in crisi) tra fede e vita, porre l’accento sul carattere esperienziale del cristianesimo, mostrare i limiti di una interpretazione astratta, intellettualistica e moralistica, di esso. Non si spiega altrimenti la presa sui giovani e l’espansione del movimento. Tra i corollari di tale “moderna” intuizione, l’investimento sull’apostolato di ambiente (scuola, università, lavoro, contesti urbani), a fronte di una certa autoreferenzialità delle parrocchie e dell’associazionismo cattolico tradizionale nell’immediato dopo Concilio. Intuizioni che Giussani sosteneva di avere appreso da Giuseppe Lazzati, che in verità, poi, negli anni a seguire, fu critico con l’impostazione di CL (a suo dire “una chiesa nella chiesa”) e che, di riflesso, fu bersaglio di critiche corrosive e calunniose (lo si dipinse come cattivo maestro, propugnatore di una distorta lettura delle distinzioni maritainiane degenerate in separazione tra fede, cultura, politica; persino accusato di “neoprotestantesimo”). Accuse mossegli dal settimanale ciellino Il Sabato che poi fu costretto a scusarsi. E tuttavia, come abbiamo argomentato in uno studio multidisciplinare di qualche anno fa (“il caso CL”, edizioni Il Margine), taluni nodi irrisolti, diciamo pure talune storture, affiorate più avanti, erano già riscontrabili in nuce nell’impianto di Giussani: una ipostatizzazione del movimento inteso come Chiesa esso stesso non adeguatamente armonizzato con la Chiesa-istituzione e l’intero popolo di Dio sito in un territorio, in concreto con le chiese particolari raccolte intorno al loro pastore (diocesi e parrocchie); cioè una riluttanza a riconoscersi e a inserirsi organicamente nella Chiesa di tutti; una visione e soprattutto una prassi apostolica e politica incline a fare ricorso ai “mezzi del mondo”; un’enfasi esorbitante sulle opere del movimento spinta sino a una confidenza stretta e talvolta malata con il potere; l’adozione di un modello educativo ove il principio di autorità fa premio sull’autonomia personale. Ascione dà conto delle degenerazioni pubbliche nei comportamenti di uomini forgiatisi in CL, ma sottovaluta il loro nesso con l’impianto “teorico” del movimento. Meno si occupa Ascione del versante ecclesiale ove pure non sono mancate né tuttora mancano tensioni con i pastori e con le altre forme aggregative laicali. Lo esprimo brutalmente: Giussani muore nel 2005, CL nasce a cavallo tra fine anni sessanta e inizio anni settanta del novecento. Un tempo lungo. Nei trentacinque anni in cui egli fu padre e leader carismatico incontrastato del movimento, se solo lo avesse voluto, avrebbe potuto intervenire a correggere le distorsioni lobbistiche e politiche già da gran tempo visibilissime. Sul punto, non hanno torto Formigoni ed altri a lui legati a rivendicare di non essere degli alieni, ma figli legittimi di CL e del suo carisma. Una rivendicazione che, nel dopo Carron, sembra orgogliosamente si riaffacci. In certa misura – ci informa Ascione – anche nei responsabili succeduti al sacerdote spagnolo. Antonio Socci, noto opinionista formatosi in CL, con apprezzabile schiettezza, non ha avuto esitazione a giudicare disastrosa l’opera di Carron e a bollare il libro di Ascione che ne prende le difese come una operazione orchestrata dalla “lobby del Corriere”. Un classico di CL il vittimismo da underdog (oggi lo si chiama melonianamente così) di un movimento che pure con l’establishment e con il potere economico, politico ed ecclesiastico (sotto i Papi più graditi) ha intrecciato rapporti assai stretti e vantaggiosi.
Del resto, anche su Carron, mi permetto un rilievo. Ascione lo dipinge come un teologo di vaglia e soprattutto gli attribuisce una coerenza di indirizzo nella conduzione del movimento. Quantomeno si dovrebbero distinguere due tempi (e qualche contraddizione) nella stagione di Carron. Del primo tempo fa parte la lettera corrosiva da lui stilata o comunque da lui firmata sull’episcopato di Martini, che tanto imbarazzo procurò al cardinale Scola, del quale si sponsorizzava la nomina ad arcivescovo di Milano, e che instillò una diffidenza mai compiutamente dissolta in diocesi nel tempo del suo ministero episcopale ambrosiano. Le scuse successive non cancellano la sgrammaticatura e l’irritualità di quella missiva, né essa può essere derubricata a semplice episodio. Neppure si può fare intendere che i provvedimenti adottati da Papa Francesco – ancorché non limitati a CL ma da inscrivere nel più generale quadro di una correzione di rotta mirata a ricondurre l’esuberanza e l’autoreferenzialità dei movimenti laicali dentro la “regola” della Chiesa universale e particolare – siano consentanei con l’azione di Carron. Non a caso le sue dimissioni furono originate anche dalla regola introdotta da Francesco che impone un fisiologico avvicendamento nella guida di tali movimenti, ode evitare derive leaderiste e l’incrostazione di poteri personali. Regola che si applicava allo stesso Carron, alla guida (formale) di CL da quasi venti anni. Vero è invece che, durante l’intero suo mandato, si è avuta l’impressione che l’autorità formale di Carron non fosse da tutti riconosciuta, specie da parte dei responsabili della vecchia guardia.
Il libro riesce invece persuasivo quando, in conclusione, accenna alla circostanza che l’eredità migliore dell’ultimo Carron è sub iudice. Basti notare che i problemi sono in parte ancora lì. Nonostante nel recente meeting di Rimini ci si sia affannati a smentirlo, la politicizzazione dell’evento e anche il suo posizionamento politico di parte sono stati palesi. Con la solita passerella dei ministri del governo in carica. Va notato che la vetrina/tribuna del meeting, da sempre corteggiata dai politici, attesta due circostanze: l’inclinazione di CL a sostenere chi sta al governo al centro e nei territori (non disdegnando, nelle ex regioni rosse, collaborazioni e liaison con le amministrazioni di sinistra, generose di sussidi alle opere legate al movimento) e, tuttavia, la palese predilezione per lo schieramento di centrodestra, cui più naturalmente conducono la mentalità e le prassi relazionali ed educative caratteristiche del movimento. Ideologicamente diffidente verso il portato della modernità di matrice illuminista e liberale. Un posizionamento che tuttavia si spiega non solo in chiave ideologica, ma anche alla luce di più concrete ragioni legate alla densità del “corpo” del movimento e delle sue estese propaggini, cioè al pervasivo sistema di potere legato direttamente e direttamente ad esso e diffusosi nei campi più diversi. Con particolare densità nella scuola, nelle università, nella sanità, ma anche nel mondo delle imprese e della cooperazione grazie allo strumento della Compagnia delle opere. Un solo esempio: da vari decenni – è cosa oggettiva e risaputa – usa considerare normale la circostanza che i vertici dei nosocomi e delle aziende sanitarie lombarde siano apertamente spartite tra i partiti e le correnti politiche del centrodestra, nominalmente chiamate Lega, Fi, CL, An (oggi Fdi). Ove CL è a tutti gli effetti assimilata a un centro di potere.
Ci fu un tempo – in particolare negli anni ottanta – nel quale fu singolarmente vivace la dialettica tra anime diverse della cattolicità italiana I più attemparti tra noi rammentano la disputa degli anni ottanta tra “cultura della presenza” e “cultura della mediazione”, rispettivamente intestate a CL e alla più tradizionale Azione cattolica, alla Fuci e al Movimento dei laureati cattolici (più tardi Meic). Un tempo di dispute vivaci non prive di punte polemiche. Sarebbe fuori luogo nutrire nostalgia. E tuttavia la ripresa di un’abitudine al confronto, oggi francamente appannato tra il laicato cattolico, non guasterebbe. Abbiamo appreso che, nella menzionata edizione di quest’anno del meeting riminese, varie realtà associative di ispirazione cristiana hanno diffuso un documento comune titolato “piano B” che si proporrebbe di dare nuovo impulso a un protagonismo civico e politico dei cattolici italiani. Potrebbe essere interessante. Merita tuttavia porsi un paio di domande: se esso sia stato adeguatamente istruito e discusso in un’agorà larga e partecipata e se la tribuna, tanto connotata e controversa, del meeting ciellino fosse la più idonea per prospettare un piano d’azione che si vorrebbe condiviso.
Merita infine segnalare una singolarità: come abbiamo osservato, tra i motivi di discussione e di controversia vanno annoverati due profili del vissuto di CL ovvero a) la marcata esposizione politica di un movimento che si definisce ecclesiale-educativo, b) una certa tensione tra il suo autonomo protagonismo, il suo “carisma” e l’istituzione (al plurale: la Chiesa e lo Stato). Ciononostante, da vari anni, proprio nei meeting, che rappresentano il vertice della visibilità pubblica e politica del movimento, i massimi vertici della Chiesa e della Repubblica non si sottraggono al rito della propria partecipazione. Una generosa benedizione/predilezione?