1.‘Quello che sta accadendo in questi giorni alla Rai, non sembra diverso da quello che è sempre accaduto’ Cosi si sente dire spesso. Esisterebbe da sempre una “lottizzazione”, che vuol dire ripartizione degli incarichi, soprattutto editoriali, secondo il peso dei partiti (Celebre definizione di Alberto Ronchey).
Questo rito si svolgerebbe in una stagione prestabilita che sarebbe quella successiva all’insediamento di un nuovo Governo. Per l’esattezza il Governo, dopo il suo insediamento e la ripartizione dei Ministeri, dopo lo spoils system, tra i dirigenti apicali, dopo la ripartizione degli enti strumentali, si occuperebbe dell’informazione e soprattutto della televisione pubblica.
Leggiamo sulle prime pagine dei giornali di Amministratori delegati che lasciano bruscamente il posto, in precedenza ambito, e di altri che arrivano. Leggiamo di celebri conduttori (Fazio) che cambiano televisione e di grandi giornaliste (Annunziata) che lasciano programmi di successo. Leggiamo di Direttori editoriali e di direttori di Testata che si avvicendano platealmente e repentinamente.
In effetti a me pare che questo copione sia diverso dal passato. Cambiamenti così ampi e radicali non si sono visti molto spesso nella storia della Rai. Se fossimo di fronte ad una squadra di calcio, verrebbe da dire che il rischio che corre la proprietà è molto grande perché cambiare contemporaneamente tutti o quasi tutti i giocatori, vuol dire fare decisamente un salto nel vuoto.
Per inquadrare le cose in modo appropriato è necessario però fare un passo indietro e mettere nel giusto ordine i problemi.

2.La Rai radiotelevisione italiana, come molte altre grandi televisioni europee, è una società che appartiene alla sfera pubblica. All’inizio della sua storia (intorno agli anni ’20 del 1900) è stata gestita dallo Stato in regime di monopolio.
Negli anni ’70 il monopolio è stato superato, per effetto di interventi della Corte costituzionale e del legislatore.  La Rai pur continuando a restare in mano pubblica ha avuto il nuovo compito di gestire un pubblico servizio.
Bisogna ricordare bene i principi (tuttora validi) che pose la sentenza n.225 del 1974.
“Gli organi direttivi della società non devono essere costituiti in modo da rappresentare direttamente o indirettamente espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo”. La società deve garantire il pluralismo, l’autonomia e l’obiettività e i giornalisti debbono attuarla nel rispetto solo della loro deontologia. I programmi di informazione devono essere ispirati a criteri di imparzialità e i programmi culturali, nel rispetto dei valori fondamentali della Costituzione, devono rispecchiare la ricchezza e la molteplicità delle correnti di pensiero. Il Parlamento deve avere poteri di indirizzo e di controllo. Devono essere posti limiti alla pubblicità e riconosciuto e garantito il diritto anche del singolo alla rettifica che si inquadra nel fondamentale  diritto all’informazione.
La legge n.103 del 1975 che ne è seguita ha posto nel suo primo articolo gli elementi essenziali di quella nozione di servizio pubblico che si ritroverà poi in tutte le leggi successive.
La Rai deve svolgere “un servizio pubblico essenziale ed a carattere di preminente interesse generale, volto ad ampliare la partecipazione dei cittadini e il concorso allo sviluppo sociale e culturale del Paese in conformità ai principi sanciti dalla Costituzione”.
Come non ritrovare in queste parole un’assonanza assoluta con quanto sta scritto nell’art. 3, secondo comma, della Costituzione.
“L’indipendenza, l’obiettività e l’apertura alle diverse tendenze politiche, sociali e culturali, nel rispetto delle libertà garantite dalla Costituzione, sono principi fondamentali della disciplina del servizio pubblico radiotelevisivo”. Questo è ancora il testo dell’art.1 della legge n.103/75
L’insieme di questi concetti si ritrova ancora più chiaramente nel Protocollo di Amsterdam del 1997 che collega direttamente “il sistema di radiodiffusione pubblica alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società nonché all’esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di comunicazione.”

3.La trama fondamentale che definisce struttura e compiti della Rai, società concessionaria del Servizio pubblico radiotelevisivo è chiara ed assomiglia a quella delle grandi televisioni pubbliche europee: la BBC in Inghilterra, France Television in Francia, ARD e ZDF in Germania, la TVE in Spagna.
Il problema però da noi, come altrove, risiede nel modo in cui si interpreta il modello di governance, i criteri in base ai quali si scelgono concretamente gli organi di vertice.
Le variabili sono infinite ed anche in Italia dal 1975 fino ad oggi abbiamo conosciuto molti modelli diversi.
Questo è il motivo per il quale è improprio dire che la “lottizzazione” (cioè la ripartizione per aree politiche dei top manager)  è stata sempre la stessa.
Ci sono stati tanti modelli di lottizzazione diversi per quanti sono stati i modi diversi di scegliere i vertici della televisione pubblica e questi modelli sono variati anche in base alla statura delle personalità che hanno ricoperto questi ruoli. Come dire che la “forma di governo” varia a seconda degli interpreti.
È difficile fare paragoni con presidenti come Paolo Grassi o Sergio Zavoli  e con i grandi intellettuali che sono stati membri dei vari Consigli di amministrazione della Rai. Da Volponi a Firpo a Elena Croce a Tecce, da Lipari a Rigobello, a Pedullà a Vacca e a Cheli.
È ancora più difficile confrontare Fabiano Fabiani, Umberto Eco, Andrea Camilleri, Emilio Rossi, Andrea Barbato, Emanuele Milano, Massimo Fichera, Albino Longhi, Giovanni Minoli, Agostino Saccà con tanti altri direttori di Rete o di Testata che si sono succeduti nel tempo.

4.I fuoriclasse però non possono esserci sempre ed allora diventano importanti le regole.
Purtroppo nel 2015 è stata fatta una riforma della Rai che ha consegnato nelle mani del Governo la nomina dell’Amministratore delegato, la figura più importante dell’azienda.
Una riforma palesemente viziata da incostituzionalità alla luce dei chiari principi contenuti nella sentenza della Corte costituzionale che abbiamo ricordato. Il confronto è netto ed impietoso.
Purtroppo non sempre è facile portare all’attenzione della Corte costituzionale le leggi in contrasto con la Costituzione. Il percorso è difficile e non sempre le vittime hanno interesse a ricorrere, magari nella segreta speranza di una nuova opportunità più favorevole, in Rai o altrove.
Ed è così che il soggetto più forte diventa come un gigante dai piedi di argilla che nel momento di difficoltà abbandona la nave che invece dovrebbe guidare e proteggere.
Quello che si è svolto in questi giorni è di lampante semplicità. Il Re è nudo, sarebbe facile commentare. Chi aveva il compito di pilotare e di tutelare il veliero è sceso repentinamente senza fare scudo all’indipendenza dell’azienda.
Passando sulla terra ferma, si potrebbe dire che è stata aperta un’autostrada in discesa all’ingresso degli emissari del nuovo governo che ha utilizzato una legge incostituzionale ma preparata da altri.
Cambiando ancora la metafora si potrebbe concludere che gli altri dignitari rimasti nel Castello hanno celermente abbassato il ponte levatoio e si sono dichiarati pronti a trattare con i nuovi occupanti. Il resto è nella cronaca dei giornali di questi giorni.

 

 

Crediti foto:Laky 1970, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

  • Roberto Zaccaria

    Professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico presso l’Università di Firenze. È stato membro della Camera dei deputati nella XIV, XV e XVI legislatura e Presidente della RAI dal 1998 al 2002. È giornalista pubblicista, iscritto all’Ordine dei giornalisti e collabora con l’Unità.