L’avvio della campagna referendaria fa registrare una differenza. Nel mentre la maggioranza di governo è compatta sul sì, l’opposizione sconta distinguo che ne minano la determinazione e le chance di successo. Anche chi, nell’opposizione, ha opinioni discordanti sul merito, dovrebbe riflettere sulla oggettiva e rilevante portata politica e, di più, costituzionale della contesa che, a mio avviso, trascende largamente l’oggetto del referendum. E semmai considerare, in positivo, la singolare opportunità per l’opposizione rappresentata da un no che finalmente la potrebbe vedere unita. In vista della partita che più conta: le politiche. Specie se paragonata a una riforma che, persino i suoi autori, riconoscono di modesta portata (quanto allo stretto merito di essa) e comunque inidonea a risolvere i veri problemi della giustizia. Sorprende perciò che, persino dentro il Pd, vi sia chi mostri di non rendersene conto: o per subalternità politico-culturale o perché privilegia un eccentrico approccio da leguleio.

I legami tra le “riforme” costituzionali

Chi ragiona politicamente si dovrebbe domandare se, nel calcolo costi-benefici, sia saggio dare una mano al fronte del sì. Avallando così il metodo dispotico e unilaterale seguito dal governo nel mettere mano alla Costituzione e, circa il merito, il dichiarato proposito di esso (governo) di fare seguire altri strappi alla Carta nella logica che preside al baratto interno alla maggioranza a tre. Dopo la separazione delle carriere cara a Fi, premierato e autonomia differenziata. Rispettivamente bandiere di Fdi e Lega ancora non ammainate. Non si può fingere di ignorare che questo è il “pacchetto” e operare una valutazione complessiva al riguardo. Meloni è stata chiara: la “madre” delle riforme, quella che ne riassume senso e prospettiva d’insieme, è quella del premierato, che stravolge gli equilibri della Costituzione vigente.

Chi fa politica, insisto, non può fare l’anima bella. Al punto da esorcizzare il contesto e perfino il dichiarato obiettivo nel quale si inscrive l’azione del governo, che va al di là della legge in oggetto. Quello di una guerra alla magistratura su un gran numero di fronti e, più in genere, un ridisegno degli equilibri tra i poteri dello Stato a tutto vantaggio dell’esecutivo e a discapito delle istituzioni di garanzia. Colpisce la leggerezza con cui settori dell’opposizione e interni allo stesso PD rimuovono questo macigno. Smarrendo il senso delle proporzioni e delle priorità.

Il nesso cronologico con le elezioni prossime

Di più: come ignorare la tempistica ravvicinata e il carattere prodromico del referendum rispetto alle prossime elezioni politiche? È di palmare evidenza che l’esito del referendum influirà sulle elezioni politiche a seguire. Esso (referendum), nella sua logica binaria, come si è detto, coagula più agevolmente intorno al no chi fa più fatica a fare unità intorno a un programma di governo alternativo. Che, sia chiaro, va sollecitamente elaborato. Ma esordire con la divisione su materia costituzionale certo non giova a che, in progress, si attenda alla sua costruzione. Perché non concepire e volgere la battaglia referendaria come un’opportunità? Chi non si rassegna a rinunciare a un’alternativa sa bene che ciò passa attraverso un compromesso nel quale ciascuno dei partner rinuncia a qualcosa (e così pure dovrebbero ragionare, dentro ciascun partito, le sue varie componenti e sensibilità). Perché non cominciare con questa disposizione unitaria già con il referendum che, in senso lato, è parte della competizione politica che seguirà? Sarò ingeneroso, ma ho come l’impressione che, anche su questo, in certi smarcamenti nel campo delle opposizioni vi sia quasi il gusto di distinguersi, magari in una logica di competizione interna ai partiti e alla coalizione. Puntigli, ricerca di visibilità, rendite di posizione. Del resto, incredibilmente, lo si fa persino su materia delicatissima e drammatica come l’antisemitismo.

Un Comitato rappresentativo per il no

Di sicuro, partire nella campagna referendaria all’insegna di distinguo e incertezze non è un buon viatico ai fini del risultato. Si apprende di un gran discutere su come impostare la campagna referendaria. Legittimo, naturale. Sempre che non ci si faccia risucchiare in un tatticismo fine a sé stesso. Perché è difficile convincere altri se si trasmette l’idea che non siamo convinti noi stessi. In questo quadro, tuttavia, va positivamente registrata una buona notizia: l’affidamento a Giovanni Bachelet della presidenza di uno comitato per il no largamente rappresentativo di una ricca gamma di realtà civiche e associative. A rimarcare che la posta in gioco riguarda non gli addetti ai lavori (politici e magistrati) ma, di più, i diritti dei cittadini, quelli scolpiti in una Costituzione che si vorrebbe sfregiare.

  • Franco Monaco

    Pubblicista, già presidente dell’associazione «Città dell’uomo» e parlamentare della Repubblica; fa parte del gruppo di coordinamento della rivista web Appunti di cultura e politica.