Nel 2024 sono spariti nel nulla 59.000 cittadini stranieri; e, inspiegabilmente, nessuno se ne preoccupa. È un po’ come nel film del 2004 “Un dia sin mexicanos”, dove camerieri, operai, badanti spariscono improvvisamente dalla California, lasciando nella disperazione autorità e datori di lavoro. Qui però tutto tace, anche se la sparizione non è una invenzione cinematografica, ma è del tutto reale e addirittura più misteriosa di quella del film.

Ci riferiamo ai dati relativi agli ingressi per lavoro di cittadini extra Unione europea, quelli dei famosi “decreti flussi”, quelli che “decidiamo noi e non gli scafisti chi far entrare”; quelli che, nella vulgata politica, arrivano in modo ordinato e controllato, in contrasto con la “migrazione di massa” asseritamente favorita dai governi precedenti.

I numeri della “sparizione”

Ma come è avvenuta la “sparizione”? Come è noto, il sistema di “ingressi regolari” in Italia è basato  sui seguenti atti, in successione: la domanda di assunzione da parte del datore di lavoro che deve essere riferita a un cittadino straniero residente all’estero; le verifiche della Questura e dell’ufficio del lavoro; il rilascio del nulla osta da parte dello Sportello unico immigrazione; la trasmissione del nulla osta all’ambasciata del paese di residenza; il rilascio del visto di ingresso al lavoratore; l’arrivo in Italia; la sottoscrizione con il datore di lavoro del contratto di lavoro; infine, a condizione che tutto sia andato liscio,  il rilascio del permesso di soggiorno. Il tutto entro i numeri massimi fissati dai decreti-flussi annuali (oggi triennali) e da ciò la corsa ad arrivare per primi in occasione dei vari click-day.

Ebbene i dati della campagna “Ero straniero” (che redige periodicamente un accurato report sull’andamento dei decreti flussi, sempre basato sui dati forniti dal ministero dell’Interno) ci dicono quanto segue: nel 2024 il governo Meloni aveva previsto una quota di ingresso di 151.000 lavoratori (altrettanti erano previsti nell’ambito del primo “decreto triennale” nel 2023 e 2025, per un totale di 497.550 nel triennio); ha ricevuto 717.000 domande da parte di datori di lavoro; ha  rilasciato però solo 83.000 nulla osta. E già qui una prima “sparizione”: perché, essendo i nulla osta in numero ampiamente inferiore ai posti disponibili, non sono state “ripescate” altre domande, una volta giunti a quota 83.000?  Possibile che tutte le restanti 634.000 domande siano state esaminate e respinte perché irregolari? Assolutamente impossibile, ma la domanda su chi e perché avrebbe “cestinato” queste domande non ha una risposta.

Ma proseguiamo. A fronte degli 83.000 nulla osta rilasciati (che dunque corrispondevano a 83.000 domande di datori di lavoro esaminate e riscontrate regolari) le ambasciate hanno rilasciato il visto soltanto a 24.000 richiedenti. E dove sono finiti tutti gli altri? Possibile che per tutti i restanti 59.000 nulla osta il lavoratore abbia cambiato idea e abbia preferito restarsene in Bangladesh o in Marocco?   Assolutamente impossibile, (tanto più che i dinieghi espressi di visto sono stati solo 1.600). E quindi dove sono finiti i 59.000 nulla-osta? Nessuno ha dato risposta.

E proseguiamo ancora. Si potrebbe almeno sperare che i 24.000 rimasti abbiano potuto finalmente stipulare il contratto di lavoro e concludere felicemente la loro avventura burocratica. Ma non è così: incredibilmente, i contratti sono stati solo 9.331. Dove siano finiti i restanti quasi 15.000 nulla-osta+visti nessuno lo sa e chi lo sa preferisce non spiegarlo: per la quasi totalità si tratta di datori di lavoro che non hanno più voluto stipulare il contratto o perché (nel migliore dei casi) avevano nel frattempo dovuto sopperire diversamente all’esigenza lavorativa (d’altra parte, quale datore di lavoro è in grado di programmare una assunzione con 6 mesi  e più di anticipo?); oppure perché erano sin dall’inizio datori di lavoro fittizi, riusciti a passare attraverso le maglie dei controlli.

Due certezze: un sistema che non funziona e produce danni

In questo susseguirsi di misteri solo due cose sono certe. La prima è che il complesso sistema degli ingressi sulla base dei decreti-flussi presenta un grando di efficienza del 6%: il decisore politico dichiara che le domande del sistema economico possono essere accolte nel limite di 151.000 lavoratori, ma alla fine di un complicatissimo sistema di controlli, autorizzazioni, visti riesce a coprirne solo 9.331, pari appunto al 6%. In qualsiasi azienda un sistema così clamorosamente inefficiente verrebbe abbandonato dopo pochi mesi. Da noi regge da 27 anni e sempre con i medesimi tassi di efficienza (i dati degli anni precedenti sono simili).

La seconda è che il sistema non solo non raggiunge l’obiettivo perseguito, ma produce danni: sia perché una parte rilevante di quelle 717.000 domande corrispondevano a incontri già avvenuti sul territorio nazionale con lavoratori privi di un titolo di soggiorno idoneo e quindi l’autorizzazione a “regolarizzare” i relativi rapporti di lavoro sarebbe stata utile alle parti e alla collettività; sia – soprattutto – perché i 15.000 che, giunti regolarmente, non hanno potuto stipulare il contratto sono andati certamente ad accrescere la schiera degli invisibili senza permesso (salvo i pochi ai quali alcune questure hanno concesso discrezionalmente un permesso di un anno per ricerca lavoro). E ciò, paradossalmente, dopo aver pagato, spesso in buona fede,  somme variabili tra i 5.000 e i 15.000 euro a soggetti che – talvolta lecitamente, svolgendo un compito non vietato di intermediazione, più spesso illecitamente, avvalendosi di meri prestanome – avevano organizzato il reperimento del datore di lavoro e il viaggio in Italia; somme dunque che, se la legge lo consentisse,  avrebbero potuto   più ragionevolmente essere utilizzate per soggiornare regolarmente in Italia per il tempo necessario a reperire una occupazione ed entrare poi nel circolo virtuoso dei titolari di permesso per lavoro.

Tutta la vicenda resta quindi avviluppata nel segno delle contraddizioni.

Le novità del governo Meloni

Come noto, il governo – accogliendo le pressioni del mondo imprenditoriale e delle famiglie, ma senza sbandierare troppo la notizia, per ovvi motivi – ha deciso di ampliare notevolmente i numeri del decreto flussi: 452.000 nel triennio 2023/2025 e 497.550 nel triennio successivo, quindi oltre 150.000 l’anno. La media nei 10 anni precedenti al 2023 era stata di 38.665 ingressi autorizzati all’anno: solo il governo Prodi nel 2007 e il governo Berlusconi nel 2008 avevano segnato numeri superiori.

Il balzo è notevole. E vi è di più: la posizione del governo (espressa in particolare nella audizione del 29 luglio scorso del sottosegretario Mantovano all’apposito Comitato parlamentare) è nel senso di ampliare le ipotesi di ingressi “fuori quota”, cioè la possibilità, fermo il sistema della chiamata dall’estero,  di assumere in ogni periodo dell’anno e senza limiti, anche oltre il numero massimo stabilito nel decreto flussi. Ed è una posizione del tutto condivisibile. Attualmente, a seguito delle modifiche via via introdotte dal governo Meloni, possono essere assunti “fuori quota” i lavoratori che hanno svolto corsi professionali all’estero, i lavoratori addetti alla cura di disabili e anziani ultra ottantenni e bimbi sotto i 6 anni, i lavoratori altamente qualificati (con un titolo corrispondente alla laurea triennale), i lavoratori provenienti da paesi che abbiano stipulato accordi per facilitare i rimpatri (curiosa e macchinosa ipotesi di scambio del tipo “ne riprendi uno e ti consento di farne entrare un altro”). Dunque, potenzialmente un numero assai elevato, che va ad aggiungersi ai quasi 500.000 del decreto flussi triennale e per di più secondo uno schema finalmente più flessibile, non sottoposto alla tagliola del click-day.

Il tutto accompagnato da una serie di modifiche, via via introdotte dai 3 decreti-legge che il governo ha varato in materia, che ondeggiano tra semplificazioni, indispensabili per accelerare la procedura (e realizzate prevalentemente appaltando a privati, consulenti del lavoro e associazioni datoriali in testa, interi pezzi della procedura amministrativa) e maggiori controlli volti ad evitare abusi. Con effetti peraltro assai discutibili: come ad es. quello del sostanziale blocco dei visti da tre paesi considerati a maggior rischio (Pakistan, Bangladesh, Marocco) che ha di fatto impedito l’arrivo di lavoratori che avevano già trovato un lavoro e ottenuto il nulla-osta.

Certo, della (silenziosa e tardiva) presa di coscienza in ordine alla necessità di dare risposta alla domanda del sistema economico ci si deve sicuramente rallegrare, ma ulteriori domande – oltre a quelle sugli stranieri “spariti” – rimangono aperte.

Tre  domande alla politica…

La prima nasce dai dati che abbiamo descritto. Se l’attuale sistema ha un tasso di efficienza così basso, non è forse il momento di fare – anche a sinistra – un atto di coraggio e di prevedere sistemi di ingresso “per ricerca occupazione”, cioè antecedenti il reperimento del posto di lavoro, con ingressi adeguatamente sponsorizzati da chi si addossa il costo di una presenza temporanea in Italia, che consenta l’incontro tra domanda e offerta secondo le normali regole che disciplinano il mercato del lavoro?

La seconda riguarda la famosa distinzione tra “migranti economici” e “tutti gli altri”: e  consiste nel chiederci se una parte di quei 151.000 posti di lavoro che il governo ha ritenuto utile coprire con lavoratori stranieri non possa trovare risposta anche in coloro che già sono qui, comunque siano arrivati e che attualmente passano le giornate in un sistema di accoglienza precario e frammentato che ha subito dal governo in carica ulteriori tagli; e che invece, se venisse loro offerta qualche possibilità in più, potrebbero rispondere anch’essi a quelle esigenze produttive, con beneficio di tutti. E allora la ostentata divisione, della quale si nutre il dibattito pubblico, tra immigrati “buoni”, quelli del decreto flussi e immigrati “cattivi”, quelli degli sbarchi, ha davvero ancora senso?

Terza. In mancanza di quanto sopra il sistema, ancora una volta, non funzionerà e il tasso di successo resterà a numeri da prefisso telefonico; ma se, per assurdo, così non fosse e se i numeri fossero davvero quelli programmati? E se, dunque, gli stranieri extra Ue passassero in 6 anni da 3.500.000 a 4.500.000? La relazione di accompagnamento al decreto flussi 2026-2028 afferma che le quote sono state stabilite anche tenendo conto della capacità di assorbimento complessivo del sistema, quindi, par di capire, anche dei riflessi sociali dell’arrivo. Dal che si dovrebbe dedurre che i lavoratori in arrivo, pur essendo destinati ad avere una retribuzione media inferiore di un terzo rispetto a quella, già molto bassa, dei lavoratori italiani (il dato lo conferma il ministero del Lavoro), troveranno, ad es., un alloggio alla loro portata, in un paese che ha la percentuale di alloggi pubblici tra le più basse d’Europa. Evidentemente non è così: della promessa della presidente Meloni sbandierata allo scorso meeting di Rimini, circa un fantasmagorico piano-casa, si è persa ogni traccia.

…e una domanda ai “remigrazionisti”

L’ultima riflessione è in realtà un invito ai “remigrazionisti” – sia a quelli radicali del tipo MAGA-Salvini, sia a quelli solo apparentemente più moderati – a mettersi una volta tanto d’accordo con sé stessi. Perché i portatori di valori, culture e religioni diverse da quelle occidentali di cui loro si proclamano paladini, non sono necessariamente coloro che sbarcano a Lampedusa. Anche l’operaio senegalese e il muratore marocchino entrati con i flussi hanno diritto di avere una moschea dove pregare, una macelleria halal dove fare acquisti, una moglie che porta il velo, se lo desidera; e hanno diritto di ricongiungersi con i loro figli e con i genitori, magari ancora più legati alle loro tradizioni, ma indispensabili per curare i loro bimbi e consentire anche alla mamma di cercare lavoro e avere una vita dignitosa.

Anche loro, dunque, sono “altro”. E allora dovreste dirci, cari remigrazionisti, se anche i 500.000 del nuovo decreto flussi (circa quattro volte quelli che chiederanno di entrare per richiesta asilo dal mare o dalle alpi) fanno parte della “sostituzione etnica” che secondo Trump e i suoi accoliti porterà alla fine dell’Europa; perché, se ne fanno parte, non si spiega perché ne programmiate un ingresso così esteso; e allora, per coerenza, chiudete tutto e vediamo che succede. O forse pensate che non ne facciano parte perché le considerate solo braccia, al più appiccicate a un corpo e a una mente che pensate di forgiare fino a che diventeranno identici a voi. Ma sarebbe un programma aberrante e, per fortuna, irrealizzabile.

In realtà, l’unico modo per sciogliere la contraddizione è prendere atto che una società multiculturale e multietnica non è solo eticamente buona e giusta (perché ingiusta è la divisione della ricchezza nel mondo), ma è anche una società più efficiente e funzionale. E una società efficiente e funzionale è, a sua volta, una cosa buona e giusta per tutti, perché può creare uguaglianza e con essa ridurre i conflitti sociali.

L’alternativa non c’è. E se la politica non prende coscienza di questo continuerà l’infinita schizofrenia tra campagne mediatiche xenofobe e finte aperture a ingressi inesistenti.

(Foto di Tim Mossholder su Unsplash)

  • Alberto Guariso

    Avvocato, in precedenza ha lavorato come funzionario sindacale presso la CISL di Milano.