Dopo le sconfitte nelle Marche e in Calabria, meno attesa nelle sue dimensioni la prima, è arrivata la vittoria in Toscana. I risultati hanno confermato i sondaggi: la coalizione progressista, con il Movimento Cinque Stelle, ha vinto con il 53,92%; la destra si è fermata al 40,90; Toscana Rossa, che univa Rifondazione, Potere al Popolo, Insieme, ha ottenuto per la candidata presidente il 5,18% ma, per una delle assurdità della legge elettorale, essendo l’unica lista sotto la soglia del 5, non entrerà in Consiglio.
Partecipazione bassa e votanti spariti
Ora il rischio per i progressisti è di non mettere sotto i riflettori le criticità. Vediamo le principali. La partecipazione degli elettori è crollata: 47,73. La più bassa dal 1970, anno di nascita delle Regioni a Statuto ordinario. Un toscano su due non ha votato e le giustificazioni individuate “a caldo” dai vertici nazionali e regionali del Pd mi sembrano superficiali davanti alla serietà del fenomeno: toscani all’estero, assenza di referendum etc. Veniamo ai voti conquistati dai partiti, lasciando da parte le percentuali, spesso fuorvianti. Prendiamo in considerazione il 2025 e il 2020, le precedenti elezioni regionali: il Pd ha avuto 437.313 voti, nel 2020 536.116, una perdita di 98.803 consensi. Nel comune di Firenze i voti sono 36.535, contro i 61.490 del 2020, più del 40% in meno; Fratelli d’Italia 340.202, cinque anni prima 219.165, un incremento di 121.037; Casa Riformista, con all’interno Italia Viva, 39.915 voti in più. Sono aumentate anche Alleanza Verdi-Sinistra di 13.722 voti e Forza Italia di 8.948. La Lega, a trazione Vannacci, è crollata passando da 353.514 voti a 55.684, 297.830 consensi in meno, neanche la metà recuperati dagli alleati. Anche il Movimento Cinque Stelle ha registrato una perdita di 58.678 voti, passando da 113.836 a 55.158. Per le anomalie della legge elettorale regionale, Toscana Rossa con 57.246 voti, più di quelli conquistati da Lega, È Ora, Noi Moderati, dagli stessi Cinque Stelle, non avrà rappresentanza in Consiglio.
La coalizione progressista, con la partecipazione per la prima volta del Movimento Cinque Stelle, un valore politico aggiunto, con quasi il 54% dei consensi ha avuto 752.484 voti; nel 2020 l’alleanza PD, Italia Viva e +Europa, Sinistra Civica Ecologista ottenne il 48,62% e 864.310 voti. Si sono persi 111.826 voti!
Se volessimo cogliere tendenze di lungo periodo, nel 1995, prima elezione diretta dei presidenti di Regione, la coalizione di centrosinistra, all’esordio, vinse con una percentuale del 50,1% e quasi 1 milione e 200.000 voti: la destra ne ebbe 850.000, il 36%, Rifondazione Comunista, all’opposizione, quasi 300.000 e l’11%. votò l’80% degli aventi diritto.
Un politica debole allontana i cittadini
Le interpretazioni dei dati sono ovviamente soggettive. Non vi è bisogno di uniformità di partenza, ma di una discussione ampia.
Mi limiterò poco più che ai titoli. La personalizzazione della politica e l’elezione diretta dei capi dell’esecutivo, nelle Regioni come nei Comuni, quale che sia la valutazione di merito, non ha favorito la partecipazione. Il “pancostituzionalismo” – dopo avere per anni predicato le virtù taumaturgiche del semipresidenzialismo francese – si sta arrampicando sugli specchi per sfuggire all’evidenza che non ci sono modelli perfetti. Le ricette istituzionali senza la politica non sono sufficienti e la politica, senza partiti che la esprimano e formino classi dirigenti adeguate, è lontana dalle persone. Oggi a un senso diffuso che destra e sinistra sono uguali, si accompagna quello dell’irrilevanza del voto. In Italia, nel campo progressista, non ci sono partiti per cultura, strumenti di ricerca, organizzazione, all’altezza delle sfide del XXI secolo. Il modello è il partito personale, gestito in modo autoritario o mite, oppure i movimenti.
Nel Pd si sono compiuti errori con una gestione centralistica non della politica delle alleanze, da costruire poi sul territorio, ma dei candidati alla presidenza, a cui è seguito il “patto” con De Luca, non certo catalogabile nella buona politica. Questi deficit si inseriscono in un confuso panorama delle nostre istituzioni: leggi elettorali regionali diverse l’una dall’altra; quattro sistemi elettorali differenti per Comuni, Regioni, Parlamento nazionale ed europeo; data delle elezioni fissata dalle singole Regioni, salvo lamentarsi poi dell’assenza di un election day; spostamento netto degli equilibri di potere verso i presidenti delle giunte regionali, con gli assessori ridotti a staff e le assemblee prive di reali strumenti di autonomia politica e controllo, per il permanere del “simul stabunt, simul cadent”; nessuna responsabilità istituzionale nazionale con un rigoroso Bundesrat italiano. Dobbiamo eterna gratitudine alla Corte costituzionale che ha impedito la dissoluzione della coesione paese con l’autonomia differenziata, ma restano divari nell’impostazione, non nell’attuazione, ad esempio del servizio sanitario. In aggiunta: mancata riforma dei Comuni, eclissi della Provincia come ente intermedio.
Gli aspetti locali
Ci sono stati anche errori in salsa toscana: la messa in discussione a tre mesi dal voto del presidente uscente; una coalizione progressista senza un programma comune, con un’intesa a due Pd-Cinque Stelle, recepita come contributo dal candidato alla presidenza; scelta, per la prima volta, anche dal Pd del listino bloccato di partito – altra anomalia – finora utilizzato solo dalla Lega; liste poco discusse e molto interne agli equilibri tra correnti; campagna elettorale per lo più come competizione tra candidati. La vittoria è stata dovuta all’impegno di tanti che al Pd continuano a guardare con speranza e non meno a errori della destra: candidato presidente deciso all’ultimo, marchio di Vannacci sulla campagna elettorale, zoccolo duro di elettori che diffidano di una destra al massimo a-fascista. Questa volta è bastato: ma continuare con autoreferenzialità, presunzione, superficialità non è una buona ricetta.
Crediti foto: Regione Toscana, CC BY 3.0 IT, via Wikimedia Commons