In assenza di partiti strutturati qualsiasi sistema politico-istituzionale funziona male, anche il semipresidenzialismo francese. Triste è leggere che i commentatori e gli stessi corrispondenti dalla Francia non conoscono abbastanza le istituzioni della Quinta Repubblica e non si occupano che molto marginalmente dei partiti francesi ovvero di quel che rimane di loro. La conseguenza è che, nel migliore, non molto frequente, dei casi al lettore viene offerta una cronaca e una descrizione dei fatti, praticamente mai una spiegazione.
La storica “quadriglia bipolare” francese
Sono molto affezionato ad una frase del giurista e politologo francese Maurice Duverger, che si trova nel suo giustamente famosissimo libro Les partis politiques (1951): “Chi conosce il diritto costituzionale classico e ignora la funzione dei partiti, ha un’idea sbagliata dei regimi politici contemporanei; chi conosce la funzione dei partiti e ignora il diritto costituzionale classico ha un’idea incompleta ma esatta dei regimi politici contemporanei”. Questa frase mantiene tutt’oggi la sua validità e bisogna farne tesoro analitico. Anni dopo, pur fiero oppositore del gen. de Gaulle e inizialmente delle istituzioni della Quinta Repubblica, Duverger diventò sostenitore e cantore del semipresidenzialismo, modello di governo poi diffusosi con successo in Portogallo e in non poche democrazie postcomuniste dell’Europa centro-orientale.
Fedele alla sua impostazione, oggi Duverger, a lungo brillante commentatore per “Le Monde”, suggerirebbe di guardare alle notevoli difficoltà di funzionamento della Quinta Repubblica, non dal punto di vista dell’instabilità, che esiste, dei governi, né delle ripetute manovre politico-parlamentari, evidentissime, del presidente Macron, ma del ruolo dei partiti nell’assetto costituzionale semipresidenziale e, in special modo, della dinamica del sistema dei partiti francesi.
Infatti, dal punto di vista che è più interessante e decisivo, vale a dire, stringatamente: “stabilità politica, efficacia decisionale, possibilità di alternanza”, tutto questo è venuto in essere ed è durato al meglio quando il sistema dei partiti si strutturò sotto forma di quadrille bipolaire. [Ne hanno scritto positivamente in chiave opportunamente comparata Stefano Ceccanti, Oreste Massari e Gianfranco Pasquino, Semipresidenzialismo. Analisi delle esperienze europee, Bologna, il Mulino, 1996].
L’espressione, coniata proprio da Duverger, si riferiva alla salutare competizione fra la coppia di centro-destra gollisti-giscardiani e la coppia di sinistra socialisti-comunisti. Con qualche adattamento e con lievi mutamenti, questa modalità di competizione partitica è durata fino ai primi anni Duemila. L’avanzata dei lepenisti a partire dalle fatidiche elezioni presidenziali del 2002, segnala che il sistema di partiti francesi deve essere letto e interpretato come pluralismo multipartitico. Neppure le elezioni presidenziali fino al 2017, nelle quali, pure, la vittoria ha arriso ancora soltanto ai candidati gollisti e ai socialisti, hanno potuto ridare fiato e sostanza al bipolarismo francese.
Lo scompaginamento di Macron e il suo fallimento
Il colpo di grazia al “sistema”, disastrandolo in maniera irreversibile, gli è stato inferto quando, per ambizioni personali e non per ben più legittime preoccupazioni sistemiche, Emmanuel Macron scompaginò e sconvolse l’assetto dei partiti dai gollisti alla sinistra, peraltro ormai fatiscenti. Nel 2016 diede vita ad un’aggregazione denominata La République en Marche, composito schieramento che gli servì per giungere alla presidenza della Repubblica, ma che, invece di contribuire alla ristrutturazione del sistema dei partiti, è risultato essere uno, forse il più importante, degli artefici della persistente destrutturazione.
Fintantoché i partiti gollista e, in maniera appena inferiore, il Parti Socialiste hanno saputo raccogliere e organizzare larga parte del consenso dell’elettorato, la Francia, che, è opportuno ricordarlo, veniva dall’esperienza disastrosa della Quarta Repubblica (1946-1958), ha acquisito dinamismo, si è modernizzata, ha dato vita a energizzanti alternanze al governo e grande spolvero alla sua grandeur. Indebolitisi i partiti per molte ragioni, una delle quali è il declino delle qualità delle loro leadership, è diventato più difficile acquisire e mantenere un funzionamento soddisfacente delle istituzioni semipresidenziali.
Dalle urne non esce più nessuna indicazione univoca di governo. Il Nouveau Front Populaire è un cartello (socialisti, ecologisti, comunisti, Place publique con maggioranza a La France Insoumise) stracolmo di contraddizioni, ma incapace di ottenere la maggioranza assoluta di seggi all’Assemblea nazionale. Ensemble, la coalizione presidenziale di Macron, aggrega otto variegate e altalenanti componenti e controlla poco più di un terzo dei seggi all’Assemblea Nazionale. L’unico partito strutturato è il Rassemblement National, ma un partito estremo, non votato dal 65 per cento degli elettori, non può né pretendere né ottenere di formare il governo. Pas du tout. I discorsi buonisti, in realtà aperturisti alle destre, che si oppongono alla discriminazione nei confronti di Marine Le Pen, sono non solo patetici, ma anche molto sbagliati. Per vincere bisogna riuscire a trovare alleati. Altrimenti, tant pis.
Finora il circuito istituzionale semipresidenziale ha tenuto e mostrato notevole resilienza. Di più ne sapremo con la prossima elezione presidenziale che deve svolgersi entro aprile del 2027. Non potrà, comunque, essere risolutiva. In assenza di una effettiva e significativa ristrutturazione del sistema dei partiti, alla quale nessuno sta lavorando, il funzionamento del sistema politico francese non migliorerà. Peraltro, non mi pare politicamente scientificamente legittimo parlare di crisi della democrazia e neppure di crisi costituzionale. Piuttosto, bisognerebbe che i francesi si interrogassero sull’incapacità della loro società, spesso non proprio “civile”, di costruire modalità di rappresentanza e di responsabilizzazione adeguate e soddisfacenti. Con grande probabilità troverebbero accoglienza e slancio nel semipresidenzialismo. Gilets jaunes e Bloquons tout non sono proposte, ma brutti e balordi segnali che i partiti non sanno svolgere le loro funzioni di rappresentanza e di mediazione. Le istituzioni semipresidenziali riescono a supplire solo molto parzialmente, ma fino a quando?
(Foto di Anthony Choren su Unsplash)